Alice nel Paese delle Lettere 9. Nella Terra dei Vassoi

di Tazio Purzleber

Giunsero nella Terra dei Vassoi, dove l’esercito delle lettere leggere o finte, secondo le opinioni, stava preparandosi all’assalto finale, non in senso letterale, cioè attraversando le montagne per arrivare allo scontro fisico, ma lasciando che il Paese delle Lettere non avesse più di che vivere. Questa, almeno, era l’idea, data per certa, sulla base dell’intelligenza dei pochi esuli ritornati indietro e delle poche spie mandate apposta. Naturalmente, l’intelligenza è una bella cosa e fare la spia è una cosa brutta, quindi doveva esserci un difetto nell’idea o nel modo ormai comune di parlare.

Alice scese dalle sue impronte e si sgranchì le gambe, seguita come un’ombra dalle due squadre. Si fece indicare da un barbaro il centro di produzione dei vassoi verticali e orizzontali. Si trovava su un isolotto lungo un fiume: il Silicone. Nessun barbaro “comune”, padrone e al tempo stesso schiavo dei Vassoi, poteva varcare il fiume che lo separava dall’isolotto. Su questo  potevano mettere piede soltanto coloro che ne erano degni, e degni ne erano ovviamente i dirigenti del centro e gli ingegneri che disegnavano i vassoi, grandi quanto il tavolo di cucina o piccoli come il taccuino dello zio.

La corrente del fiume era minima e il fiume non era tanto largo e neppure profondo. (Comunque, Alice, sapeva nuotare.) Anche se fosse stato un ruscello, le lettere di piombo sarebbero comunque andate a fondo, quindi, dopo aver rassicurato le due squadre – “Riposatevi. mie cari positivi e negativi, tornerò presto” –, Alice decise di togliersi le scarpe e di mettere in pratica le lezioni di nuoto a farfalla che zia Molly le aveva dato nel laghetto vicino a casa. Così Alice varcò il Silicone.

Una volta attraversato il fiume, si recò a parlare con i degni, i potenti signori dei vassoi, i quali non formavano affatto un unico, compatto, esercito.  (Alice se ne sarebbe accorta di lì a poco e tirò un sospirò di sollievo.) Anzi, erano tanti eserciti, in guerra tra loro, ciascuno convinto di essere il migliore e di agire per il bene di tutti. Come le famiglie a Letterlandia? Sì, ma con qualche differenza … Per dirne una, si passava da un esercito all’altro con disinvoltura, senza sentirsi accusare di tradimento. Oh, le vicende della Terra dei Vassoi erano non meno curiose! Una lunga storia, che merita di essere raccontata un’altra volta, perché si è fatto tardi.

Dal portiere del grande palazzo Alice fu scambiata per la figlia del Supremo Amministratore dei Vassoi Luminosi e con un sorriso le fu indicato la sala del Consiglio in cui suo padre era in riunione con i capi di tutti gli eserciti dei Vassoi. Stette un po’ ad ascoltare i discorsi dei capi, perché la porta era aperta e poi, ancora a piedi scalzi e tutta bagnata, entrò nella sala. I capi, compreso il Supremo, si voltarono verso di lei. Bene, perché aveva da dire qualcosa e siccome era urgente lo disse senza esitare un attimo.

Ma siccome si è anche fatto tardi, andiamo all’essenziale. E l’essenziale è che i potenti, o meglio: quelli che oltre a poter fare i vassoi li facevano, ammirarono l’eloquenza di Alice nel perorare la pace. Un gran bel discorso, quello di Alice, che sta per essere pubblicato come opuscolo gratuito dal Barone de Coubertain e non è permesso anticiparlo.

L’ammirazione suscitata nei potenti le consentì di ottenere un risultato che né C.B. né S.R. (per chi l’avesse dimenticato: Compagno Bastone e Sua Ricciolezza) avrebbero mai sperato.

Ora, l’essenziale dev’essere generico e quanto appena detto lo conferma, a dispetto del topolino Aristotele che abita in cantina e che fa indispettire lo zio perché apprezza non i generici bocconcini di un generico formaggio, ma solo quelli unici di unico tipo di formaggio, pieno di buchi, importato dalla Svizzera. Per venire incontro all’umana curiosità, bisogna nondimeno dire qualcosa di più e fortunatamente il punto del discorso di Alice, come nel resto quello di chiunque altro, quando c’è, non richiede molte lettere, che non hanno bisogno di commenti, perché il significato, come la Bellezza, o s’intuisce o non s’intuisce.

Ecco, con non poche omissioni, quel che Alice disse: “Gentilissime Signore e gentilissimi Signori, innanzitutto mi scuso per aver interrotto la vostra conversazione. […] Ho sentito, voi vi preoccupate dei terremoti che frequentemente affliggono questa valle ed è bello sapere che date una parte dei vostri guadagni per aiutare le famiglie che perdono la loro casetta a causa dai terremoti. Ciò vi fa onore. Vi preoccupate di  […] Ciò vi fa onore. Vi preoccupate di […] Ciò vi fa onore.” A dire il vero, c’era qualcosa che ricordava il discorso di Antonio, ma non importa.

“Allora non potete ignorare che anche quelle cose … le correnti? E le forze misteriose che le fanno funzionare …, insomma, la Lettricità, e quell’altra, che in onore di Pompeo chiamate Maghnetismo, meraviglie delle quali i vostri ingegneri hanno sfruttato le meravigliose proprietà … non potete ignorare che sono anch’esse soggette a ai terremoti. Per esempio, quando gli zii rimettono in ordine le mie cose io non trovo più niente e loro l’hanno fatto a fin di bene. Le vostre cose saranno sicuramente più complicate e io non so come sono fatti i vostri vassoi. Voi, presumo, lo sapete, perché li avete fatti voi. Prima di attraversare il Silicone ho parlato con due bambini che piangevano perché le loro famiglie erano rimaste senza lavoro. Ho visto tanti cartelli di protesta. Mi hanno detto che ogni anno voi costringete un giardiniere a fare il muratore e un muratore a fare il postino. Vi interessano solo i Vassoi? E quel che non ci sta dentro? Qualcuno potrebbe arrabbiarsi e usare Lettricità e Maghnetismo contro i vostri meravigliosi vassoi. Qualcuno potrebbe infilarci dei bachi che si mangiano le parole che ci stanno dentro, fatte di leggere leggere.  No, non importa spendere un mucchio di soldi per evitarlo. Il rimedio può essere semplice. Basta pensare a qualcosa, a qualcosa che è al riparo da questi bachi e da questi terremoti. Esiste già e anche voi lo sapete: si trova nel Paese delle lettere pesanti. Non posso credere che vi facciano paura. Non fate che si sciolgano in soldatini, vi prego. Dalle poche parole che ho sentito, voi amate le storie, la geografia, le favole, i numeri e le forme. Ciò vi fa onore. Voi amate anche altre cose […] Ebbene, i testi che più contano per voi potranno essere conservati grazie alle lettere di piombo e così sarete certi che non verranno persi […] e tutti potranno fare il lavoro che sanno fare, anche le lettere di piombo.”

***

Saltando l’allegra discussione che ne seguì fra i potenti, perché sulle prime pensavano che fosse una specie di spettacolo per la pausa-caffé, basti dire che l’accordo fu presto raggiunto e redatto sui più bei fogli di Letterlandia, ora custoditi nella grotta più ariosa delle grazie, protetta da guardie scelte tra i più robusti bastoni. Al posto di quei fogli tolti dal pavimento della valle, per ricordare l’evento, sono stati collocati vassoi luminosi dei barbari, senza però mettere per ritto i vassoi, s’intende. Oggi nessuno li vede più come una minaccia, ma come semplici pietre miliari lungo le strade, salvo che, trattandosi di una pianura in cui ogni punto vale quanto l’altro, di possibili strade fra due punti qualsiasi ce n’è un’infinità. A dire il vero, le lettere di piombo stanno ancora attente a non sbatterci contro e a non scivolarci sopra, perché non si sa mai.

Quando furono piazzati, quei vassoi rappresentavano una promessa: la promessa di una nuova vita per tutte le famiglie. I potenti avevano fatto  questa promessa ad Alice e la mantennero. “Come è giusto che sia per ogni promessa, non come quelle dello zio che, quando compio gli anni, mi dice che l’anno prossimo preparerà per me il mio dolce preferito, il cheese-cake … e ogni anno prossimo, cioè non quello prossimo ma questo, il cheese-cake non c’è mai”.

L’accordo raggiunto prevedeva che accanto ai testi più importanti per il popolo dei Vassoi, anche ogni contratto per l’edizione di un libro e ogni procedimento giudiziario, conseguente alla violazione di un contratto, fosse redatto in duplice copia, una in lettere leggere e una in lettere pesanti. Se anche di testi importanti per quei potenti barbari non ne fossero stati pubblicati più (perché i giorni pari della settimana i compratori di vassoi si consideravano onniscienti, i giorni dispari erano contenti della propria ignoranza), una cosa era certa: contratti di edizione e atti legali, come quelli  che fa il notaio, non avrebbero mai cessato di essere scritti ogni settimana – così va il mondo a scanso di equivoci –, e dato che ogni lettera leggera era un’imitazione di qualche lettera pesante, e ciò che viene imitato vale di più, il futuro di Letterlandia era assicurato. Questo, almeno, era l’essenziale, di cui non è chiaro quanto Alice si rendesse conto. Sì, è ancora un sunto abbastanza generico, ma accontentiamoci.

E Alice? Non ringraziò i potenti perché, se anche li aveva pregati, non c’era merito a fare quel che il sentimento ci dice che è giusto. Li salutò sorridendo, perché nell’asciugarla le facevano il solletico. “Mi spiace andar via così di fretta. Semmai, un’altra volta torno a trovarvi, così mi spiegate i vostri vassoi. È che devo tornare subito indietro per informare C.B e S.R. dell’accordo e tranquillizzare il popolo. I potenti non capirono quelle sigle ma sorrisero ugualmente.

Rimontò sulle sue orme di lettere e dopo giorni e giorni superò le montagne. “Eccoci di nuovo nel Mondo Liscio!” disse alle due squadre che per la gioia quasi non la fecero rovesciare. Ormai, portata con rinnovata energia dalle sue orme, slittava veloce sul piano liscio come una lavagna.

Lungo il percorso si creò una scia di lettere sempre più fitta. L’attesa, o l’ansia, era grande. Giunta al punto-cerchio, Alice informò il Concilio dell’accordo. C.B e S.R si abbracciarono. (Da quel giorno non si è più avuto traccia di loro.) In un generale tripudio, espresso da un interminabile SÌÌÌÌ fu portata in trionfo, s’intende sulle “sue” due squadre, fatte di T maiuscole e di minuscole O, stranamente simmetriche. Fu un percorso a spirale dal punto-cerchio alle grotte dove ancora erano detenute le ultime lettere ribelli, che finalmente furono liberate.

“Che gentili, disegnando quest’enorme spirale mi hanno fatto scrivere Grazie a Bastoni senza che nessuno abbia preso la penna. Lo so che non si scrive con i piedi. L’espressione va presa alla lettera e allora significa un’altra cosa. E l’hanno voluta scriver così grande che ci è voluto un giorno intero, ma è bastato, grazie alle correnti che non si vedono ma ci sono. Anche se ho perso più di una volta l’equilibrio perché la squadra di sinistra aveva più fretta di quella di destra, non potrò mai dimenticarlo”.

***

Era ormai notte e, messo il puntino sull’ultima i di Grazie a Bastoni, le due squadre erano esauste. Le T si sdraiarono felici e le O si adagiarono intorno alle T perché adesso le loro lunghissime ombre sembravano fatte apposta per abbracciarsi. Alice era stanchissima. Le si chiudevano gli occhi. Certo, non poteva riposarsi stando in piedi e lì d’intorno non c’era alcuna roccia per accovacciarsi e passare la notte.

Però c’era però il vassoio luminoso che aveva ricevuto in dono: il primo vassoio portato nel Paese delle Lettere come simbolo dell’accordo raggiunto,  non tra lettere vere e lettere finte, ma tra lettere pesanti e lettere leggere. Era chiuso in un pacco che Alice non resistette alla tentazione di aprire. Tirò fuori il vassoio e lo appoggiò, accorgendosi subito che era liscio e limpido come uno specchio. Ci passò sopra una mano e, tutt’a un tratto, cominciò a farsi leggera, sempre più leggera, risucchiata dal vassoio. Questa volta lo specchio, ora in forma di vassoio, l’avrebbe spruzzata chi sa dove? Non ebbe il tempo di impensierirsi perché anche i suoi pensieri furono risucchiati e tutto sembrò brevissimo. Si ritrovò d’un tratto a Carrollby.

Era di nuovo a casa degli zii, nella sua graziosa camera con le pareti dipinte di celeste, con l’orologio che segnava la stessa ora di quando l’aveva guardato entrando nello specchio. Non stava in sé dalla voglia di raccontare tutto quanto a Zia Molly e Zio Dogson.

Alice non sapeva che il suo via-vai dalla realtà richiede energia. Tanta. Infatti era saltata la corrente, allacciata da poco – una grande novità per quei tempi.

Quando zia Molly rialzò l’interruttore generale vide apparire dal buio la sua amata nipotina. Alice fece appena in tempo ad aprir bocca per cominciare a raccontare la sua incredibile avventura, durata, per lei, parecchi giorni. Zia Molly fu più svelta: la strinse forte a sé. “Che fulmine! Ah che spavento! Non ti trovavo più. E pensare che oggi è il tuo compleanno!”. La scrutò da capo a piedi, per sincerarsi che la nipotina fosse ancora tutta intera, poi la prese per mano e lentamente si avviarono insieme verso il salotto. Alice si accorse che adesso anche lei, come la zia, strascicava i piedi sul pavimento.

Scosse la testa e, guardando in su, in direzione della faccia rubiconda dello zio, fece un sorriso il cui esatto significato, comprensibilmente, non poteva essere capito. Lo zio ricambiò ugualmente quello spontaneo sorriso: era contento di vedere che Alice era contenta e, accarezzandole le trecce, si piegò per dirle in un orecchio: “Adesso vedrai che sorpresa”.

E la sorpresa fu davvero grande. Zio Dogson aveva preparato il cheese-cake che tante volte aveva promesso ad Alice e poi non aveva mai fatto. L’anno prossimo era finalmente arrivato. Anzi, per l’occasione, c’era anche una decorazione sopra alla torta. Oh, lo zio sapeva usare davvero bene quel cono che chiamava con un nome strano in francese, difficile a pronunciarsi. Con la panna montata che usciva dalla punta del cono aveva scritto “Auguri Attica” sul cheese-cake, con due gonfie maiuscole ancor più ricciolute dei suoi riccioli e con i due puntini sulle i disegnati come cerchietti ornamentali.

Alice buttò le braccia al collo dello zio e chiudendo gli occhi si chiese cosa avrebbero pensato C.B. e S.R. di quelle due parole scritte con la panna su qualcosa che non era né un foglio né un vassoio luminoso. “Caro Dogson, non credi che manchi un bel punto esclamativo?”, domandò zia Molly. Senza lasciarsi pregare, lo zio prese un bastoncino d’incenso venuto dall’Oriente e, prima di accenderlo, tracciò un piccolo solco sul cheese-cake, proprio sopra a una minuscola goccia di panna, caduta per caso dal cono proprio nel posto giusto.

(fine)

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