Alice nel Paese delle Lettere 8. Compagno Bastone

di Tazio Purzleber

Tutt’a un tratto si produsse un silenzio di tomba. I capifazione, tra due ali di folla, erano finalmente l’uno al cospetto dell’altro e avrebbero pronunciato il loro tanto atteso discorso.

Per primo prese la parola Compagno Bastone, che rappresentava la fazione votata al futuro e dunque aperta alle lettere leggere. Naturalmente, con l’intento di asservirle: “Compagni, dobbiamo essere uniti per poter vincere e per essere davvero uniti dobbiamo essere tutti uguali. In futuro, anche le famiglie meno usate saranno stampate al pari di tutte le altre”. Nel dire questo, e il tono di quel che seguì non cambiò, Compagno Bastone intendeva rassicurare, e al contempo intimidire, la fazione delle Grazie. Alice lo intuì subito e non le piacque per più motivi.

Il primo motivo era che non si può rassicurare intimidendo e intimidire rassicurando. Si rivolse alle lettere che aveva più vicine a voce bassa, perché ancora non osava rivolgersi ai due capifazione: “È una cosa contraddittoria e dalle contraddizioni può venir fuori tutto. Perciò anche qualcosa di buono… può darsi… ma può darsi che invece ne venga fuori qualcosa di brutto. Anzi, senza il può darsi”. Ma perché senza? Perché, a forza di sentire zia Molly che rimproverava lo zio Dogson per i suoi ambivalenti “può darsi”, detti tanto per non darle ragione, aveva finito per considerarli una cosaccia . Le poche lettere che la udirono si allontanarono di corsa, impaurite dalla severità del senza.

Alice si fermò, cioè, smise di parlare. In silenzio, si chiese come facesse Compagno Bastone a dire che l’unità richiede l’uguaglianza. Lei non amava l’ambivalenza, ma amava la diversità e zio Dogson le aveva fatto ammirare la molteplicità di piante che, in naturale disordine, erano state disposte nel giardino-paesaggio di cui faceva parte il laghetto di Carrollby: “Non provi anche tu una sensazione di straordinaria unità?” Questo era il secondo motivo, che Alice non ebbe il coraggio di esprimere ai due capi. (Soprattutto, non voleva sembrare subito di parte.)

Non c’è due senza tre e il coraggio Alice lo trovò invece per il terzo motivo, provocando uno sbigottimento generale, in entrambe le schiere, che si sommava a quello ovvio dei due capifazione, di fronte a qualcuno che non era una lettera ma osava intervenire nei loro affari, per giunta in un momento tanto solenne. Consapevole di questo, Alice, misurando ogni parola per rassicurare i “concilianti”, non poté fare a meno di invitarli a far più attenzione alla proposta di Compagno Bastone, il quale ne fu contento, non rendendosi conto che Alice  intendeva un’altra cosa: cioè li sollecitava ad avere qualche dubbio, perché per lei quella proposta era un’astuta manovra nell’interesse dei Bastoni. Che Alice intendesse questo fu chiaro anche a lui quando Alice continuò: “Non solo è dubbio che il buon fine giustifichi i mezzi non buoni, perché anche ogni mezzo è un fine e ogni fine è un mezzo per qualcos’altro, ma è ancor più dubbio l’uso dell’inganno per conseguire un fine che non si sa se è buono o no”.

Compagno Bastone trasalì. Un attimo dopo, ripresosi da un simile affronto, con un sorriso di superiorità si rivolse al popolo: “C’è fra voi, bastoni e grazie, anche una sola lettera che non sia convinta di una cosa: che la sopravvivenza del Nostro Paese è un buon fine?” Un unanime “NOOOOO!” si levò spontaneo. Detto in positivo, tutti erano convinti che la sopravvivenza fosse un buon fine. Una volta che Zio Dogson era andato a sentire il discorso di una persona “importante” nella piazza di Carrollby, tornò a casa e invece di riferire il discorso a Zia Molly borbottò con un sospiro di rassegnazione: “Quando non si sa dire la verità, si dice qualcosa su cui i presenti siano tutti d’accordo. Non si dice nulla.” Allora, Alice aveva pensato che lo zio avesse bevuto per colpa degli amici che aveva in città. Adesso si rendeva conto che lo zio non   aveva bevuto.

Non solo fra i bastoni ma anche fra le grazie quel “NOOOOO” si trasformò in un boato che non dava segno di diminuire, generando una maestosa onda in cui si rispecchiava la coerenza del popolo. Impressionata da quella reazione collettiva, Alice non se la sentì di intervenire di nuovo.

“Bene – proseguì Compagno Bastone – allora è deciso. Comunicheremo con il massimo ossequio la nostra disponibilità. Staremo alle direttive dei Vassoi e nel frattempo ci infiltreremo. Dobbiamo capire i loro punti deboli. Abbiamo solo bisogno di prepararci, investire di più nella ricerca, per capire come funziona la loro arma, la lettricità.”

“La parola adesso spetta a me e io non ho bisogno di pregarvi gentilmente di ascoltarla perché so quanto profondo è in voi tutti il senso della Bellezza. Dunque, non abbiamo ancora deciso nulla. Oh, Bastone, Bastone! Fa tutto semplice, lui. Ma il mondo è com-ples-so”. A questo punto le minuscole d in corsivo e le grandi S di prima si lasciarono andare, ripetendo in coro “Com-ples-so!” Sua Ricciolezza proseguì: “E lui, che non è in grado di capirlo, vi porterà al disastro. Lasciate che l’armonia entri nelle vostre aste”.

Questo fu solo l’esordio, facilmente comprensibile, del tortuoso discorso di Sua Ricciolezza che, costretta a vincere la sua nobile noia di fronte alla volgarità dei tempi, contestò in seguito l’uso di ogni subdola manovra. Di ciò, Alice fu molto contenta, anche se non si può dire lo stesso per il modo in cui Sua Ricciolezzaera andata avanti: un discorso forbito quanto incomprensibile, lungo perché lento, fatto di frasi sciolte l’una dall’altra e confezionate unicamente allo scopo di generare meraviglia, un discorso che un avvocato come Cicerone avrebbe tenuto unicamente se convinto che la causa era persa. Non occorre qui riassumerlo. Piuttosto, ecco come Sua Ricciolezza concluse: “Non mi è, pertanto, possibile credere che il Nobile Popolo delle Lettere sia disposto a tradire i suoi ideali macchinando contro le volgari macchine. O qui c’è qualcuno che ha già dimenticato gli ideali del Nostro Paese?”

Un altro non meno unanime “NOOOOO!” si levò, non meno roboante del primo e un’altra onda si produsse, interferendo con la precedente e generando  qua e là schizzi di lettere fuori dal piano. Non a caso, la solita H finì tra i capelli di Alice. A quel punto Sua Ricciolezza, dopo una pausa studiata, avanzò la Sua Proposta: sarebbe stata inviata una delegazione oltre le montagne per spiegare ai barbari la Bellezza, cioè la meccanica delle curve lisce, cioè le vere curve delle vere lettere, il grande dono delle forme fondamentali che plasmano la materia, “il dono che è apertura al mondo, perché chi ha peso può anche farne a meno, ma chi non ha peso non potrà mai acquistarlo” (il peso, s’intende, non il dono, che essendo un dono, non s’acquista).

Beninteso, onde evitare che ridicoli fraintendimenti turbassero il popolo, Sua Ricciolezza non si candidava a guidare la delegazione. Lo sottolineò con studiata enfasi: “A differenza dell’Innominabile” [Compagno Bastone, che peraltro aveva nominato], non è che io non voglia, è che non posso candidarmi a guidarla”. Infatti, i diurni rituali di purificazione richiedevano la Sua presenza, quale sacerdotessa della Grazia. I bastoni malpensanti, con in testa Compagno Bastone tradussero: il viaggio era rischioso e Sua Ricciolezza aveva semplicemente paura, paura che la sua forma perfetta fosse in qualche modo danneggiata.

E se non poteva essere lei a guidarla, chi allora? Sua Ricciolezza raccomandò che la delegazione fosse composta per metà da una famiglia di umili bastoni e per l’altra metà da una famiglia di nobili lettere, “perché in fondo la Bellezza ci pervade tutti quanti”. Una simile concessione doveva esserle costato. I tempi però erano quelli che erano, senz’ombra di dubbio, e la concessione ebbe un benefico effetto: contribuì infatti a ristabilire una pur minima fiducia reciproca tra bastoni e grazie.

Come si è già visto, Alice era rimasta contenta dell’esordio di Sua Ricciolezza. Borbottò piano piano: “Sì, è antipatica, eppure … almeno su un punto mi ha dato ragione. Quanto alla proposta, non so se funzionerà”. Visto, però, il risultato del suo precedente intervento, ci pensò due volte a esprimere le sue riserve. Si limitò a scuotere la testa in maniera ostentata. Le lettere di entrambe le fazioni capirono che quel gesto voleva dire qualcosa, ma cosa? Non ne intesero il significato e per una volta l’incomprensione fu un bene per tutti.

Nonno Moore le aveva detto che la Bellezza è indefinibile e che è impossibile convincerne chi è convinto del contrario: la Bellezza s’intuisce o non s’intuisce. I barbari, che usavano i vassoi luminosi, l’avrebbero intuita? “Non è bello che non ci sia modo di convincere qualcuno di qualcosa”. Questa era l’intuizione di Alice. Ma la Bellezza è qualcosa di molto, molto,  particolare. Come i ragionamenti. E il ragionamento con cui nonno Moore era arrivato a concludere che la Bellezza è indefinibile, lasciando a bocca aperta suo figlio, cioè zio Dogson, Alice non l’aveva capito, però intuiva che i ragionamenti sbagliati sono brutti e che intuire qualcosa è bello. Quindi nonno Moore, senza volerlo, poteva aver detto tre cose diverse invece di una sola. Ma non perdiamo il filo del discorso.

 

***

 

Compagno Bastone osservò: “Mio Amato Popolo, la proposta di Sua Ricciolezza non è in contrasto con la mia.  Dichiaro di essere disponibile ad accoglierla. Non c’è tempo da perdere”.

Con il consenso di tutte le famiglie, la strada era dunque tracciata. Restava da decidere quali bastoni e quali grazie dovevano far parte della delegazione. Su questo la discussione andò avanti per tutto il giorno. Neanche domani o dopodomani si sarebbe trovato un accordo. Ogni famiglia di bastoni voleva essere lei a rappresentare tutti i bastoni e lo stesso succedeva con le famiglie delle grazie. Ogni famiglia si vedeva replicare che per rappresentarle tutte doveva rinunciare alla propria identità. Nessuna era disposta. Ma come si fa a conferire un incarico a non si sa chi?

In passato, Compagno Bastone aveva viaggiato a lungo da una grotta all’altra per convincere i bastoni che non doveva esserci più differenza tra le famiglie. Quindi è facile immaginare quanto fosse indignato con i suoi bastoni per quella manifestazione di volgare attaccamento alla propria famiglia. Le grazie avrebbero riso di lui. E Sua Ricciolezza? Non si trovava in acque migliori. Ogni famiglia delle grazie voleva esserci perché, per prima cosa le spettava in quanto era la più bella, e per seconda cosa (ma nessuno lo disse) temeva che la delegazione avrebbe agito a beneficio proprio, a discapito delle altre famiglie che non ne facevano parte. Così, in entrambe le fazioni c’erano continui veti incrociati. L’ombra lunga di antiche rivalità rischiava di vanificare la proposta di Sua Ricciolezza. Inutilmente Compagno Bastone ricordava a tutti l’urgenza di inviare una delegazione oltre le montagne: la storia era scritta e non si poteva farla attendere. Ad Alice venne da dire: “Se la storia era scritta, doveva esserci scritta anche l’attesa”, ma si mise subito una mano sulla bocca.

Non ne poteva più. E pensare che voleva aiutare gli esserini. No, ora voleva solo tornare a casa. Ebbe un’idea: usare un’esca come fa lo zio Dogson, anche di pesci non ne prende mai. Cioè, chiamare Compagno Bastone e Sua Ricciolezza per far loro una richiesta. Se l’avessero aiutata a ritrovare (subito!) la via di casa, potevano venire anche loro due. Zio Dogson conosceva personalmente un editore di spartiti. Alice ci avrebbe messo una buona parola e così loro due, e chi altri?, sarebbero finalmente riusciti in un’impresa unica, sognata da generazioni e generazioni di lettere senza che nessuno l’avesse mai realizzata: raggiungere la Terra Vibrante ove vivono le note musicali. Lì i bastoni avrebbero avuto una legatura e le grazie una barretta orizzontale di sopra o di sotto. Unendo note e lettere, il mondo sarebbe cambiato!  Per merito di Compagno Bastone e Sua Ricciolezza. Quell’antico, misero, impiego di bastoni e grazie su spartiti destinati al canto sarebbe finito e anche ogni articolo di geometria sarebbe stato una canzone. Compagno Bastone avrebbe guidato una marcia, Sua Ricciolezza scoperto la melodia dei pianeti nascosta nella sua anima. Alice li avrebbe portati direttamente dagli Editori, tenendo entrambi i due capi in palmo  di mano perché non si affaticassero (Compagno Bastone aveva un corpo sproporzionato in grassetto) e non si scalfissero le soavi curve (come temeva Sua  Ricciolezza). Con tutto il rispetto per il venerabile sasso ardesiano, Alice ne aveva abbastanza.

Si fermò in tempo: “Se lettere e note si uniscono davvero, il violino della zia che fine farà? E il flauto che mi ha regalato? E se la musica di 3 × 7 = 21 non mi piacesse? Sarà anche bella l’unione di lette e note, pensieri e musica, ma …” No, non poteva rischiare. Soprattutto, anche potendo, non poteva lasciare Letterlandia in quello stato, portata alla rovina da lettricità e maghnetismo – le armi dei Vassoi. Ormai era in ballo e non poteva non ballare. “Come al solito dovrò cavarmela da sola. Già, trovare un modo per muovermi e aiutare gli esserini a risolvere il problema: mica facile”.  Le venne un’altra idea. E questa volta chiamò, con la gentilezza che la contraddistingue, Compagno Bastone e sua Ricciolezza. Aveva ripensato a quando zia Molly le offre di fare lei i compiti al posto suo, “Visto che Alice si è stancata a rifarsi le trecce”. Quel tono la indispettiva perché la faceva sentire in colpa …. eppure, qualche volta, era stato efficace: pur di smentire la zia, aveva fatto i compiti. Adesso bastava imitare il tono della zia, con una piccola modifica: evitò di suggerire ai due e alla loro oceanica cassa di risonanza che finora non si erano comportati bene.

Con voce suadente e in tono pacato, Alice annunciò che era disposta ad andare lei dai barbari a spiegare le difficoltà che avevano creato a Letterlandia. Lei non apparteneva né alle grazie né ai bastoni, perciò potevano fidarsi che sarebbe stata imparziale. Lei aveva a cuore le sorti del Paese non meno di loro. Non spiegò il perché, arrivando subito al dunque: “Se mi sarà concesso quest’onore, farò di tutto per intavolare una trattativa che assicuri il futuro delle uniche, vere, Lettere”.

A questo punto, bisogna dirlo per onestà, Alice si era calata proprio nei panni di zia Molly, cioè, si aspettava che Compagno Bastone e Sua Ricciolezza si sentissero, almeno un pochino, in colpa: ringraziandola per l’offerta, l’avrebbero declinata e, per riconoscenza, l’avrebbero aiutata a tornare a Carrollby. Se non fosse che in questo modo lei non li avrebbe più aiutati. E se non fosse che Compagno Bastone e Sua Ricciolezza, anche se non avevano la minima idea di com’è che una bambina era capitata lì, non riuscivano a pensare che qualcuno potesse desiderare vivere in un altro posto. Non sapevano che il punto-cerchio era in realtà un portale tra mondi, collegato allo specchio in camera di Alice. Sapevano solo che Alice era apparsa proprio lì, nel luogo sacro (anche per i bastoni) e questo faceva di lei una specie di araldo. Perciò la loro reazione fu diversa da quella che Alice si aspettava. Invece d’invitare le rispettive fazioni a pentirsi dei loro precedenti rancori e dei loro attuali sospetti reciproci, i due capifazione la presero in parola, alla lettera e senza pensarci due volte.

Compagno Bastone e Sua Ricciolezza corsero subito a riferire la proposta ai rispettivi consiglieri, naturalmente scelti a caso, uno per famiglia, rispettivamente dei bastoni e delle grazie, e questi ne parlarono ai loro familiari, finché tutti ne furono informati. E poi, via, se le cose fossero andate male, nessuna fazione ne sarebbe stata responsabile. Così, le due fazioni acconsentirono.

 

***

 

Una grande azione è fatta di tante piccole azioni. La prima, in questo caso, era già un problema. Come faceva Alice a scendere dal sasso? Anche lei rimuginava sul problema, pensando la stessa cosa che stavano pensando tutti: “Le leggi vanno rispettate e quel NOOOO che ho sentito appena arrivata qui … vuol dire che ci tengono”. Alice aggiunse di suo: “E se in posti diversi ci sono leggi diverse, o perfino opposte? Ah, ecco perché si tracciano i confini tra un paese e un altro: per evitare contraddizioni. Sta di fatto che io non sono una lettera.”

A Carrollby, Alice poteva muoversi liberamente nei prati. Se qualche volta le sue scarpine finivano su un vecchio foglio di giornale, pazienza.  Lì, nella terra delle lettere (pesanti) la legge numero 7 stabiliva in maniera inequivocabile:  Soltanto le lettere si muovono a contatto con i fogli. Non era un descrizione di un fatto, però. Nel gergo sciatto di chi scrive le leggi, si muovono vuol dire che possono muoversi. “Possono? Io potrei eccome. Invece non posso!”, sbottò Alice ad alta voce, lasciando stupefatti i conciliantii. Per dirlo in modo più antipatico: era proibito a chiunque non fosse una lettera di muoversi a contatto dei fogli. Alice era una bambina, non una lettera, così come la proibizione di muoversi era un fatto, non il muoversi. “Be’, se ho le scarpe, sono loro a contatto dei fogli. Però, dovrebbero star ferme. Allora, per muovermi dovrei toglierle, e poi dovrei togliermi anche le mie calze a strisce come l’arcobaleno, ma allora sarei a contatto con i fogli. Non ho mica le ali”.

Se ne rese conto perfino Compagno Bastone, che in effetti non brilla, e convinse Sua Ricciolezza a chiudere un occhio. Insieme spiegarono al popolo che non si poteva fare diversamente. Va le a dire: bisognava aggirare un’altra legge, la numero 3 per l’esattezza.

Si convenne che una squadra di T, composta da membri di ogni famiglia, avrebbe fato quello che mai a nessuno era stato permesso, pena l’esilio, cioè, di sollevarsi (intenzionalmente) dai fogli e disporsi verticalmente al piano. Alice avrebbe dovuto semplicemente appoggiare i suoi piedini sulle T maiuscole e lasciarsi trasportare. Per attutire i sobbalzi si decise che intorno a ogni T ci fossero delle O, ma minuscole. Il risultato era quello di un fiocco di neve attaccato a un altro fiocco e così via, quanto basta, come un piccolo pavimento a esagoni. Certo, anche le O, prese una per famiglia, ebbero il permesso di disporsi verticalmente rispetto ai fogli (contro la terza legge) e divennero rotelle, come quelle dei pattini.

L’dea era: le O minuscole, ruotando, aiuteranno le T a spostarsi. Ma le O chi le metteva in moto? A questo scopo, per la prima volta, furono sfruttate le inutili correnti circolari che percorrevano Letterlandia. Un gruppo di ingegneri trovò un modo per trasformare l’energia delle correnti in una forza meccanica e istruirono le b e le q, le d e le p di tutte le famiglie a fare da pistoni disponendosi una sopra l’altra, in colonna. Non c’è bisogno di aggiungere che, dovendo tener conto della forma dei piedi di Alice (che continuava, stizzita, a ripetere: “Nei miei piedini non c’è niente di strano!”), la disposizione delle T e delle o fu molto laboriosa e ci volle tutta la notte per arrivare a trovare la configurazione ottimale – o meglio, quella che fu giudicata tale.

Tanta solidarietà, che vide un impegno collaborativo mai visto, dette ad Alice l’impressione di essere accudita più che sfruttata. Questa piacevole impressione riuscì a farle dimenticare il suo dispetto per essere stata presa alla lettera. Dopo prove e riprove, le sue orme erano finalmente pronte. C.B. e S.R. le suggerirono di riposarsi un po’ perché domani il viaggio sarebbe stato lungo. Così Alice si rannicchiò sulle ginocchia, seduta meglio che poteva sull’Origine. Riuscì perfino ad addormentarsi, vegliata dall’intero popolo, raccolto intorno a lei.

Quando si svegliò, fu particolarmente contenta. Tutto era pronto. La squadra era lì ad aspettarla, in perfetto ordine. In verità, le squadre erano due, una per il piede destro e una per il piede sinistro. La differenza era che la squadra di sinistra aveva la forma Too…Too…Too…; la squadra di destra  aveva forma oTT…oTT…oTT. Evidentemente, gli ingegneri non si erano trovati d’accordo. Quelli della prima si chiamavano “positivi”, gli altri “negativi”, anche se le due squadre non erano l’immagine allo specchio l’una dell’altra. Conviene ricordare una cosa: Zio Dogson, prima di parlare ad Alice delle coordinate ardesiane le aveva raccontato di un tale Euclide e di quel che aveva scritto su linee, angoli, triangoli e cerchi. Lo zio aveva anche fatto tanti disegnini buffi. Per Alice era quella la “geometria”. Alla fine lo zio, quasi parlando con se stesso più che con Alice, aveva aggiunto che i principi della geometria non bastano a spiegare quel che succede: perché se succede qualcosa, c’è qualcosa che si sposta e per capire come si spostano le cose ci vogliono i principi di un’altra cosa ancora, che però non succede. Lo zio l’aveva chiamata “fisica”. Alice non era ancora arrivata a studiarla, e quindi a capirla, ammesso che l’esempio di un principio possa capire il principio di cui è esempio.

Preoccupata che le due ombre, o quasi-ombre, ovvero, le sue impronte (“un po’ esagerate”), potessero reggere il suo peso, Alice poggiò delicatamente i suoi piedi sul letto di T circondate da minuscole O e sul letto simmetrico (si fa per dire) e si alzò, stando molto attenta a non perder l’equilibrio. All’inizio ebbe qualche difficoltà a mantenerlo, ma dato che le lettere si muovevano con molta lentezza si adattò a quello strambo modo di camminare senza piegare le ginocchia, proprio come faceva zia Molly, quando si strascicava dal salotto alla camera in pantofole.

Meno male, i portantini erano robusti, le correnti erano sfruttate alla perfezione, e i pistoni, cioè le b e le q, le d e le p, incolonnate lavoravano sodo. Piano piano Alice cominciò a spostarsi. Ci vollero giorni e giorni di viaggio, e notti e notti sulle piccole rocce occasionali che s’incontravano lungo il percorso (per far riposare le squadre). Alla fine le montagne furono raggiunte,  Alice  dovette piegarsi un po’ in avanti lungo la salita e poi, dopo il passo di Gutenberg, all’indietro lungo la discesa che portava alla Terra dei Vassoi. Come gli ingegneri siano riusciti a trasformare il girotondo delle correnti in un doppio ariete, rappresentato dalle due squadre, capace di una simile impresa, non è dato sapere. Forse le correnti di energia solcavano anche le montagne: erano anch’esse un’ombra, l’ombra di una lunghissima stringa a spirale i cui i Postivi e i Negativi scivolavano, ingannando il peso. Durante il viaggio Alice  più volte se ne stupì: “Che strano, sembra che non durino la minima fatica. E io … basta che mi lasci portare. È più che strano: è bello.” I portantini erano portati, e così Alice.

(continua)

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