La bellezza non può durare senza la conoscenza

di Antonio Errico

Diceva Johann Wolfgang Goethe: un arcobaleno che dura un quarto d’ora non lo si guarda più.

Si fa l’abitudine anche alla bellezza: fino al punto da non sentirne più l’attrazione, da non avvertirne più la seduzione. Accade quando la meraviglia, lo stupore, si smorzano fino a spegnersi completamente. Accade quando non si sa o non si vuole rinnovare il pensiero di fronte alla bellezza, quando non la si reinterpreta e non la si pone al confronto con il proprio tempo e con la propria condizione interiore.

Si esce da un vicolo trovandosi davanti allo splendore di una cattedrale barocca e quella cattedrale non è altro che pietra su pietra. Si fa una strada, una mattina d’inverno, dalla quale si vede un mare che è la rappresentazione della potenza della natura, ma si guarda distrattamente solo un mare in una giornata d’inverno.

Si legge una poesia già letta e non si nota altro che l’ordine delle parole, non la profondità del loro senso, non la loro armonia, il loro equilibrio supremo.

Ci si abitua alla bellezza e non c’è nulla da fare. Oppure forse sì, qualcosa si può fare. Forse si può tentare di stabilire una relazione con quella bellezza non più o non solo attraverso lo stupore ma attraverso la riflessione, attraverso i percorsi del pensiero.

L’attrazione per l’arcobaleno è provocata da un’emozione, da una sensazione improvvisa, sbalordente, che richiama lo sguardo. Poi

l’emozione si attenua, la sensazione si prolunga e prolungandosi riduce l’effetto; lo sbalordimento passa e lo sguardo si distrae, viene richiamato da un’altra situazione, l’emozione si orienta verso un’altra direzione.

Allora, per non perdere il senso della bellezza dell’arcobaleno, occorre superare la condizione dello stupore per addentrarsi in quella dell’interrogazione, dell’indagine sulla bellezza. Per non perdere la bellezza dell’arcobaleno, bisogna studiarla, comprendere il fenomeno che produce quella perfezione magica di rosso, arancione, giallo, verde, blu, violetto.

La comprensione del fenomeno realizza il passaggio dalla bellezza dello stupore alla bellezza della cognizione.

E’ così per la cattedrale barocca la cui bellezza si rinnova attraverso la conoscenza della sua storia. E’ così per la poesia che diventa ancora più bella quando si riesce ad entrare nel processo lessicale e sintattico che la fa funzionare. E’ così per ogni bellezza della natura e della cultura, per la bellezza di ogni creatura.

L’attrazione per la bellezza suscitata dall’emozione è una condizione inevitabilmente esteriore, superficiale; quella suscitata dalla conoscenza è una condizione interiore, profonda che si fa sempre più profonda quanto più cresce la conoscenza.

E’ per questa ragione che non si può fare a meno di costruirsi una conoscenza della bellezza che ci si trova davanti, intorno.

E’ l’unico modo per consentire a quella bellezza di durare. E’ l’unico modo per far durare in se stessi il piacere di quella bellezza.

Ci sono bellezze che pretendono la conoscenza, che scuotono il desiderio, trascinano verso l’approfondimento, l’analisi. Caravaggio, per esempio. Uno si ritrova davanti a un Caravaggio. Percepisce che dietro quelle forme, dentro quei colori, oltre alla tecnica, oltre alla maestria, oltre alla fatica, al di là del genio, c’è anche una magia, una combinazione prodigiosa di sentimento, passione, sofferenza, ragione, follia. Uno se ne sta lì: stordito, senza capire, inquieto e sereno, con lo sguardo affondato in quella meraviglia; per un istante perde la cognizione del tempo e dello spazio perché lo spazio e il tempo sono soltanto quelli che l’opera configura.

Poi gradualmente ritorna alla realtà e sente di dover conoscere altro, da dove provengono quelle luci e quelle ombre, da quale pensiero e mano di essere umano, da quale sapienza d’arte, da quale mente in delirio.

Ci sono bellezze che pretendono la conoscenza.

Il mosaico del monaco Pantaleone, per esempio, nella cattedrale di Otranto.

Uno lo osserva e sente il desiderio di comprendere quali e quante stratificazioni di cultura sorreggono le figure di Adamo, di Eva, del serpente, del Leviatano che inghiotte la lepre, dell’antilope, il centauro, l’unicorno, di re Salomone, della Regina di Saba, del leopardo, l’ariete, la sirena, dell’asino che suona la lira, di Sansone che lotta contro un leone, del drago alato che stritola un cervo, di re Artù a cavallo di un caprone, del Diluvio Universale, la Torre di Babele, di Alessandro Magno portato in cielo dai grifoni, delle Erinni, di Satana, Caronte.

Ci sono bellezze che pretendono la conoscenza. La bellezza della luna, per esempio: della luna vera e della fantastica rappresentazione di luna che Leopardi interroga, incessantemente, senza mai una risposta.

Allora si può anche dire che bellezza e conoscenza sono coinvolte da una relazione necessaria. Per consentire alla bellezza di rigenerarsi costantemente e quindi di durare è indispensabile conoscerla nella sua natura, nella sua struttura, nella pluralità dei suoi significati, nella sua storia.

Senza conoscenza non ci può essere esperienza della bellezza. Senza esperienza della bellezza c’è il vuoto informe dell’insensibilità.

Talvolta diciamo che la contemporaneità ha perduto il senso della bellezza. In un piccolo libro che s’intitola “La bellezza per te e per me”, Alberto Abruzzese scrive che viviamo un tempo dominato dalla bellezza del corpo, delle vesti, degli oggetti, degli spazi, e tuttavia ciascuno dei modelli a cui la bellezza fa riferimento appare logorato e consunto tanto dall’esterno – che lo corrode e deturpa – quanto al suo interno, laddove lo stile si trasforma o in caricatura o in ripetizione o in sottrazione.

Se è vero che la contemporaneità ha perso il senso della bellezza, per cui si permette di consumarne l’oltraggio trasformandola in caricatura, in infeconda imitazione, è per il fatto che non la comprende perché non la conosce, e non la conosce perché non la studia. Si confronta con essa senza consapevolezza.

La contemporaneità si è abituata alla bellezza dell’arcobaleno. Non prova più nessuno stupore quando appare nel cielo. Se vuole ritrovare lo stupore deve cominciare ad indagare la sostanza dei suoi colori, l’incredibile perfezione del suo disegno.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 1 ottobre 2017]

 

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