di Gianluca Virgilio
Esco in moto e seguo i circuiti obbligati delle strade cittadine. Nei percorsi stradali la visione della città è sempre la stessa e gli scenari delle vie solitamente finiscono col diventare indifferenti. Il codice della strada non consente divagazioni, inversioni di marcia non autorizzate, improvvisi passaggi da una parte all’altra della strada. In moto però si ha il vantaggio di poter sostare in luoghi proibiti, sempre che non si ostacoli la circolazione e che i vigili siano indulgenti.
Lascio la moto sotto un albero in una piazzuola dove non reco intralcio a nessuno e faccio quattro passi per sgranchirmi le gambe. Le strade del centro sono animate da persone che fanno delle compere nei negozi, ma vi si aggirano anche uomini e donne che guardano le vetrine e non comprano nulla. Saluto le persone che conosco, ma non mi ci fermo a parlare, perché tutti vanno di corsa, sembrano indaffarati; e poi anch’io – mi dico – ho qualcosa da fare. Entro in un bar e “ciao, come va la vita?”: è Roberto, che mi invita a prendere con lui un caffè. Si parla di quello che fanno i nostri amministratori, un po’ bene un po’ male, a seconda degli interessi e dei punti di vista, mentre Claudio sfoglia il giornale locale, richiamando la nostra attenzione sulle scarne notizie che il giornalista locale riferisce; si beve il caffè, ma poi si va via subito. L’aggregazione che il bar consente è minima, il tempo di una veloce consumazione, poi bisogna sloggiare per far posto ai nuovi venuti. Questa volta “ha offerto” Roberto, la prossima volta toccherà a me. Il legame tra le persona passa attraverso piccoli gesti quotidiani, piccoli doni che non cementano una comunità, ma ne fanno sopravvivere le forme esteriori, in attesa di tempi migliori.
Per strada saluto le persone che mi sono familiari, sebbene non abbia mai avuto occasione di parlarci. Talvolta accade di incrociare lo sguardo di qualcuno che repentinamente lo distoglie, volgendolo da un’altra parte; e ti chiedi se gli hai fatto qualcosa che te lo abbia reso nemico, come mai abbia distolto lo sguardo improvvisamente e abbia finto di non vederti, pur essendo a pochi metri da te. Rimane il pensiero di avere un nemico in più, e questo pensiero ti induce a riflettere su che cosa significhi salutare.
Salutare è un atto di non belligeranza che rinnova, a ogni incontro, il patto tra individui e tra gruppi di individui dentro lo spazio urbano. Vuol dire che, tra tanta indifferenza – i più che non conosci e che non ti considerano, i più che non ti conoscono e tu non consideri-, e sebbene ci sia qualcuno che volge lo sguardo altrove, esistono persone alle quali puoi augurare qualcosa di buono. Non che con esse tu abbia un progetto comune, comuni idee, un comune sentire, tu sai bene che ognuno tira dritto per la sua strada e tu stesso non ti comporti diversamente. Ma ti lega a loro qualche episodio di vita comune nel passato, un incontro fortuito, un’esperienza interrotta sul nascere. Le riconosci come esseri umani uguali a te, e il tuo saluto è appunto accolto come un riconoscimento gratificante: “Buongiorno”, “buonasera”, ecc. che cosa vuol dire? Vuol dire che sono contento che tu mi abbia salutato, il passato non è passato invano, io per te esisto e, grazie al tuo saluto, esisto anche per tutti quelli che, nei paraggi, hanno assistito al nostro saluto senza batter ciglio, consapevoli che noi due siamo una piccola forza che va rispettata, se non altro con l’ignorarla. Se poi mi fermo con te, Luigi, a parlare per strada di qualcosa che ci interessa, la nostra forza si raddoppia agli occhi dei passanti, perché nel nostro conversare molti intuiscono un progetto, un proposito, un piano, che riguarda forse tutti gli altri, l’intera città … La nostra forza è la debolezza degli altri, e allora, se continueremo a parlare, magari con un certo fervore, vedrai che qualcun altro, un conoscente, un amico, un semplice curioso, si fermerà a parlare con noi, e poi altri ancora si fermeranno, amici di amici, e nella pubblica strada si formerà un capannello di gente e poi … Ma questo accadeva una volta, ora accade molto raramente…
Di solito incontri persone che sono uscite di casa con idee ben chiare: comprare questo o quello in questo o quel negozio. Pertanto camminano spedite verso la loro meta, senza perder tempo, e, se le conosci, un saluto fugace è tutto quello che ti possono concedere. Anche queste persone hanno la loro forza, che deriva dalla ferma convinzione di assolvere a un compito inderogabile come conseguenza del diritto sacrosanto e da tutti riconosciuto di poter spendere il proprio denaro nell’acquisto di una merce. La forza assume qui le sembianze dell’uomo della strada contento di sé, che dice: “Ho acquistato questo (e ostenta un pacchetto) con il mio denaro e nessuno può dirmi nulla: tutti dovranno stare zitti e rodersi in segreto per l’invidia alla vista del nuovo acquisto. Il saluto sarà un atto di degnazione col quale significherò che la mia superiorità non mi impedisce di trattare alla pari l’amico o il conoscente incrociato per strada. Tutti gli altri, ignoti viandanti, si facciano da parte e facciano finta di ignorarmi. So bene che, se potessero, mi salterebbero addosso e mi deruberebbero del mio pacchetto; ma non lo faranno perché non possono: tale e tanta è la mia forza. Possono solo invidiarmi in silenzio, come in silenzio io mi godo il trionfo. Se qualcuno mi derubasse, avrei tutto il diritto di invocare la forza pubblica e costui sarebbe costretto a restituire il maltolto. Pertanto, il mio diritto è il mio potere che esercito con sommo compiacimento”.
Come dar torto al nostro consumatore?
Noterò di passaggio che il suo diritto-potere aumenta con l’aumentare del costo della spesa effettuata. Vuoi mettere uno che reca in mano una borsa contenente un paio di scarpe con un altro che sfila per le strade cittadine contenuto in un’auto lussuosa nuova fiammante?
(2013)