I resti di Babele 3. La memoria dei fogli nei cassetti

di Antonio Errico

Sui fogli di un’agendina sprofondata in un cassetto, ci sono segnati i numeri di telefono di persone conosciute in almeno trent’anni. Fogli ingialliti. Inchiostro stinto. Anche numeri di creature che sono state e non sono più, di persone amate,  di altre mai più viste, mai più sentite, che ritrovandole si riconoscerebbero a fatica. Ma i numeri sono lì, a testimoniare un incontro di esistenze. Non si riesce a cancellarli. Si ha l’impressione che si cancellerebbe un passato, che si rifiuterebbe una storia. Il numero di telefono su quell’agenda le colloca ancora in una condizione di memoria viva, si propone come elemento di un legame che non si è mai definitivamente sciolto. Appartengono ad un tempo che è finito ma che si è avuto, che abbiamo abbracciato e posseduto.

Agende, foglietti ammonticchiati, sparsi o tenuti insieme da una graffetta che lascia la sua impronta di ruggine. Ma il tempo è anche quell’alone rugginoso  che si spande lentamente.

I numeri di telefono si conservavano così.  Con un ordine assolutamente soggettivo,  che spesso  veniva stabilito in ragione dell’importanza che avevano le persone, con una sorta di graduatoria sentimentale o funzionale: prima quello dei figli (o dei genitori),  poi quello di altri parenti più vicini, poi quello del medico, dell’idraulico, dell’elettricista, poi gli amici, i conoscenti. Escluso il numero del fidanzato o della fidanzata (a volte anche più di uno o una) che ovviamente si ricordavano a memoria.

Conoscevo una vecchina dolcissima che aveva organizzato i numeri in base alla ricorrenza delle  feste. Sul retro di  alcuni fogli di un trascorso calendario c’era segnato chi doveva chiamare a Natale,a Pasqua (in realtà erano gli stessi, ma si sa che il metodo a volte si ripete), nei giorni di S. Antonio, S. Vito, S. Lucia, eccetera.  Poi aveva un foglio con le “ creanze”, diceva, che consistevano  nel telefonare ai parenti di alcuni defunti nel giorno dell’anniversario. Quindi aveva in sequenza la data della dipartita, il nome del dipartito, il numero telefonico dei congiunti. Mentre stava per andarsene si raccomandò alla figlia di conservare quel calendario e di non scordarsi di fare le creanze a nome suo. Poi aggiunse: sennò che mi devono dire! Già. Che gli dovevano dire.

Ora i numeri si conservano su strumenti  sofisticatissimi, perfetti, dalla memoria formidabile: cellulari, i phone, pc.  Però un giorno, per caso, il cellulare si smarrisce, cade dal taschino mentre ci si affaccia su uno strapiombo del belvedere, si scorda al tavolino di un bar. A quel punto scompare tutto un mondo in modo  irrimediabile.  Perché non si può più ricostruire interamente. Si possono solo recuperare pochi ricordi come oggetti cari rimasti tra le macerie. Ma quella memoria formidabile si inabissa nell’oblio.  Le agendine consunte  durano di più. Come incunaboli che hanno attraversato i secoli assistendo all’apparizione e alla scomparsa di macchine che sembravano miracoli dell’uomo. Hanno un loro posto preciso, appartengono ad una dimensione familiare, intima, stabiliscono con noi una relazione silenziosamente confidenziale. Sono meno dipendenti dai disegni del caso e più legate alla nostra cura. Forse hanno anche nodi più forti con i nostri destini.

[Gli articoli pubblicati in questa rubrica sono una selezione di quella che dal 2010 Antonio Errico tiene, con lo stesso titolo, su “Nuovo Quotidiano di Puglia”.]

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