di Ferdinando Boero
Il linciaggio ha due definizioni. Una è l’esecuzione sommaria e senza processo di qualcuno ritenuto colpevole. L’altra è l’uccisione di una persona da parte di una folla inferocita. La folla si accanisce sulla vittima, ognuno dà un calcio, un pugno, uno schiaffo. Nessuno colpisce tanto duramente da uccidere ma, tutti assieme, uccidono. Ogni linciatore potrebbe dimostrare che il suo colpo alla vittima non è stato mortale. È la somma dei colpi, il loro effetto cumulativo, che ha ucciso. La lapidazione si basa sullo stesso concetto. Un’esecuzione senza un diretto esecutore, senza boia. Ognuno dà un piccolo contributo, senza sentirsi veramente un omicida, e condividendo la colpa con moltissimi altri.
Non credo che, moralmente, queste pratiche siano oggi ritenute accettabili nei paesi civili. In altri sono ancora ampiamente praticate. Da noi, per esempio.
E invece no: applichiamo all’ambiente la mentalità del linciaggio, della lapidazione. Basta leggere i giornali per capirlo.
Case che crollano perché costruite male dove si dovrebbe costruire con ben altri criteri, terreni avvelenati nelle terre dei fuochi, aria avvelenata nei poli industriali, inondazioni, falde avvelenate, l’intero Mediterraneo trasformato in un brodo di plastica, l’intero pianeta soggetto a un surriscaldamento innaturale. Queste notizie, e moltissime altre di questo tipo, hanno l’onore delle prime pagine per un po’, poi passano in secondo piano quando si presentano altre emergenze. E ogni volta l’ultima elide le altre, presto dimenticate.
Sono le tessere di un mosaico che, se messe assieme, mostrano un quadro che dovrebbe far meditare. Guardare le tessere, una alla volta, senza comprendere cosa significano una volte messe assieme, può portare a sottovalutarne l’importanza. E avviene il linciaggio, la lapidazione dell’ambiente. Penalmente, a volte si può trovare un colpevole, come la sindaca di Genova, che non aveva dato un allarme sufficiente, ma questo porta i sindaci a dare allarmi eccessivi, senza che vengano rimosse le cause degli allarmi. Non basta dare l’allarme, bisogna fare in modo che non ci sia bisogno di allarmi.
I colpevoli veri non sono i singoli sindaci che non hanno dato allarmi ma un concetto di sviluppo che, da sempre, vede la salvaguardia dell’ambiente come un freno al benessere. A Taranto le acciaierie hanno portato lavoro, il nord est è uscito dalla miseria con una rapida industrializzazione, ogni racconto di disastro ambientale ha, alle spalle, un racconto di “progresso”.
La giustizia qui può veramente poco. Chi è il colpevole di questo crimine contro l’ambiente e contro il benessere umano? Tutti colpevoli equivale a tutti innocenti. Non possiamo mettere in galera tutti. Dai politici che hanno fatto queste scelte ai cittadini che li hanno votati. Resterebbero liberi solo gli ecologi, i geologi e gli studiosi di scienze ambientali che, da sempre, denunciano la follia delle nostre azioni, venendo trattati come romantici imbecilli.
I politici, tra l’altro, sono quasi tutti concordi che la situazione sia grave. Tutti si dichiarano preoccupati, tutti dicono che bisogna far qualcosa. Ma poi, al momento opportuno, varano tante piccole iniziative che, una volta messe assieme, contribuiscono al linciaggio dell’ambiente. E noi che ripetiamo queste cose sino allo sfinimento, continuiamo a fare i guastafeste. Ma come? Firmi gli accordi COP 21 per la decarbonizzazione e poi firmi concessioni per estrarre petrolio dai nostri fondali? Ti guardano stupiti… che c’entra? ti dicono. Non arrivano neppure a capire l’assurdità del proprio comportamento. Non è colpa dei politici inadeguati, sono inadeguati quelli che li eleggono. E’ il popolo che lapida. I politici sono solo le pietre. Solo quando tocca direttamente a noi, allora ci indigniamo. Come le madri venete che difendono i loro figli. Da sole. Quando toccherà alle madri lombarde, saranno sole anche loro. Come sole sono le madri tarantine.
Le soluzioni a questi problemi ci sono. E porterebbero anche ricchezza e sviluppo. Ma per metterle in atto occorre una cultura che non c’è. La strada è lunga, ma il tempo per percorrerla è sempre più breve.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, mercoledì 27 settembre 2017]