di Antonio Errico
La qualità è uno di quei concetti di cui non si dovrebbe più parlare. Tutto quello che si poteva dire lo ha detto in quello straordinario romanzo filosofico, esperienza di formazione, viaggio fino al fondo dell’esistenza, che s’intitola Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta. Si dovrebbe leggere quel romanzo, si dovrebbe rileggerlo, e non aggiungere altro.
Il libro uscì nel 1974. Poi per diciassette anni Pirsig restò in silenzio. Dopo un libro così non è facile scriverne un altro, non è facile avere altre idee, altre storie, riemergere dalle profondità in cui ci si è inabissati. Nel 1991 pubblica Lila, il seguito dello Zen. Non poteva fare diversamente. Dal primo libro non si era liberato, non poteva liberarsi. Il primo libro non era terminato, perché un libro così non poteva terminare. Un libro come lo Zen non si governa. Genera pensiero e poi lo rigenera. Accende interrogativi che a loro volta ne accendono altri. Non ha risposte con cui poterli spegnere.
Sulla qualità ha già detto tutto Pirsig, dunque. Dopo di lui si può solo appuntare qualche pensiero a margine in modo disordinato, oppure si può seguire il sentiero di un ragionamento partendo da lui per poi tornare, inevitabilmente, ancora a lui.
A p. 183 dell’edizione Adelphi, Pirsig scrive: “La qualità… sappiamo cos’è eppure non lo sappiamo. Questo è contraddittorio.
Alcune cose sono meglio di altre cioè hanno più qualità. Ma quando provi a dire in che cosa consiste la qualità astraendo dalle cose che la posseggono, paff, le parole ti sfuggono di mano.
Ma se nessuno sa cos’è, ai fini pratici non esiste per niente. Invece esiste eccome.
Su cos’altro sono basati i voti, se no? Perché mai la gente pagherebbe una fortuna per certe cose, e ne getterebbe altre nella spazzatura?
Ovviamente alcune sono meglio di altre… ma in cosa consiste il “meglio”?…”
Un’altra domanda. Una delle tante domande. Alcune cose sono meglio di altre, certo. Ma in che cosa consiste il meglio.
Ma poi: meglio perché, dove, quando; meglio rispetto a cosa; soprattutto rispetto a chi.
E’ davvero estraneo ad ogni dubbio che non esista il meglio in assoluto, che non esista la qualità assoluta, quella che qualcuno chiama – forse senza rifletterci quanto basta – la qualità totale.
Per quale motivo, per quale condizione, una cosa è meglio di un’altra. Di conseguenza la qualità pone la necessità di una motivazione.
La Storia propone innumerevoli esempi di qualità relativa alla motivazione. Anzi, forse la Storia propone soltanto esempi di qualità relativa non solo alla motivazione ma anche ai luoghi, alle circostanze, ai tempi e alle temperie culturali, alle situazioni sociali, alle tendenze ideologiche. Una qualità assolutamente relativa. Quello che è meglio oggi, forse non era meglio ieri e probabilmente non sarà meglio domani. Quello che è meglio rispetto a qualcosa forse non lo è rispetto ad un’altra. Quello che è meglio qui non è detto che sia meglio anche altrove.
Neanche per l’opera d’arte esiste la certezza di una qualità assoluta: subisce inevitabilmente i condizionamenti, le interferenze, le contraddizioni del tempo, delle ideologie, dei pensieri dominanti.
Per cui rimane la domanda che riguarda i criteri da applicare nell’individuazione o nel riconoscimento di quello che ha qualità, che è qualità.
Forse si potrebbe dire che ha qualità, che è qualità, quello che è meglio per una sola persona o per tutti rispetto alla condizione in cui quella sola persona o tutti si trovano.
E’ qualità tutto quello che consente lo sviluppo di qualcuno, che consente il suo benessere o lenisce il suo malessere. E’ qualità il passo in avanti che si può fare, la parola in più che si può dire, la possibilità in più che si ha per essere, per esprimere se stessi. La realizzazione di un desiderio è qualità: di un desiderio sostanziale, un desiderio di quelli che cambiano la vita.
Qualità è la propria presenza al verificarsi di un bisogno dell’altro, ma è anche l’assenza al verificarsi di un capriccio. Perché la qualità presuppone, implica, pretende sempre una valutazione e conseguentemente una scelta.
Probabilmente la qualità ha sempre una relazione intrinseca con l’ essenziale. L’eccessivo, il sovrabbondante, il superfluo, rappresentano il contrario della qualità, la sua negazione. Il meglio è sempre quello che rappresenta l’essenziale, quello al quale non si può rinunciare se non a condizione di una privazione, di un rammarico, di una mancanza.
In un apprendimento, in una relazione, in una storia, in un paese, in una civiltà, il meglio è sempre costituito dall’essenziale: dalle condizioni che rendono significativo l’apprendimento, che conferiscono senso alla relazione, che rendono irripetibile la storia, che fanno crescere un paese, sviluppano la civiltà.
Usiamo spesso formule che vogliono esprimere la qualità. Diciamo qualità dell’aria, dell’acqua, dei prodotti, qualità del lavoro, del tempo libero. Diciamo addirittura qualità della vita. Spesso alzando intorno alla formula una fumea di retorica.
Ma la qualità della vita è determinata esclusivamente dalla possibilità di contare sull’essenziale. Che cosa sia l’essenziale di una vita può saperlo soltanto colui che la vive. Nessun altro. Ecco, dunque, che ritorna l’assoluta relatività, l’assoluta soggettività del significato di qualità.
Se chiedessimo ad ogni uomo che abita questo pianeta che cosa significhi qualità della vita, tutti darebbero una risposta diversa. Ciascuno risponderebbe che cos’è la qualità per la sua vita, per i giorni che attraversa, in ragione di quello che ha, che sa, che può, che sente, che sogna.
Uno direbbe – purtroppo tanti, troppi, direbbero – che qualità della vita è poter sperare in un boccone domani. Uno, tanti, troppi direbbero questo e tutti coloro che potrebbero, o dovrebbero, fare qualcosa per garantire a quelli il boccone domani, si dovrebbero vergognare.
Qualità della vita è poter confidare negli altri, nella loro prossimità, nel loro soccorso. Nella loro coscienza.
Allora forse si potrebbe dire che la qualità, il meglio, l’essenziale, alla fine di tutti i conti consista nell’impegno ad essere meglio di come siamo. O almeno non peggio.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 17 settembre 2017]