a cura di Gigi Montonato
Sul 1° numero de “Il Giusti”, 1. febbraio 1884, giornale letterario edito a Lecce dall’associazione omonima, apparve una lettera che Atto Vannucci (1810-1883), noto latinista e letterato, aveva scritto da Firenze il 1° novembre del 1868 alla signora Teresa Kramer (1804-1879) al termine di un suo viaggio-soggiorno nel Salento. Al giornale gliela aveva inviata per farla pubblicare Cesira Pozzolini (1839-1914), moglie del galatinese Pietro Siciliani (1832-1885), filosofo pedagogista e amico di Giosue Carducci (1835-1907). La Pozzolini l’aveva trovata tra le carte del Vannucci, di cui era custode dopo la sua morte, e fu lieta di darla al nuovo periodico intitolato a Giuseppe Giusti (1809-1850), che del Vannucci era stato grande amico ed estimatore. Ne inserì il testo in una lettera che inviò al nuovo periodico leccese quasi a commento della stessa.
Non è qui il caso di soffermarsi su “cotanto senno”, nomi fra i più belli del Risorgimento italiano: Vannucci, Carducci, Giusti, Siciliani, Kramer, Pozzolini. Persone che vissero, giovani e giovanissime, l’epopea unitario-risorgimentale con impegno ed entusiasmo. Assai più noti al grande pubblico i nomi maschili per aggiungere altro su di loro; per equità o par condicio, come oggi si dice, aggiungiamo invece qualcosa ai nomi femminili.
Teresa Kramer, milanese, di famiglia alto-borghese, in realtà era Teresa Berra, aveva preso il nome del marito, un industriale di origine austriaca; patriota e grande animatrice dei salotti milanesi del suo tempo, era in rapporti d’amicizia con le personalità più importanti del mondo della cultura e della politica.
Cesira Pozzolini era fiorentina, donna coltissima, letterata, insegnante e animatrice del dibattito politico sull’unificazione italiana; nel 1864 sposò il galatinese Pietro Siciliani.
Interessanti sia l’una che l’altra lettera perché entrambe parlano del Salento visitato dal Vannucci e ben noto alla Pozzolini. Le proponiamo con l’impaginazione originale, un testo dentro l’altro, con la sola variante dei caratteri: corsivo per quella del Vannucci, tondo per quella della Pozzolini.
Dobbiamo all’amico Benito Galati di Taurisano, collezionista di stampe e giornali d’epoca, che ci ha messo a disposizione la copia de “Il Giusti”, l’opportunità di questo ricordo.
(g.m.)
Lettera inedita di Atto Vannucci sulla Provincia di Terra d’Otranto
Gentilissimo Signor Direttore
Rispondo all’invito cortese mandandole un vero gioiello per un nuovo periodico che si pubblica in Lecce.
Fra tutte le carte dell’illustre e compianto latinista storico letterato senatore Atto Vannucci, ho trovato una lettera del 68, indirizzata a un’egregia donna, alla signora Kramer di Milano, che gli fu amica affettuosa e costante per tutta la vita.
Il nuovo giornale che s’intitola dal Giusti dovrà con gioia accogliere nelle sue pagine questa primizia di un prossimo epistolario; e ciò per due motivi: 1°, perché il Giusti amò grandemente il Vannucci e lo stimò quanto si può amare e stimare; tanto che, come ultima e solenne prova d’amicizia, sentendosi vicino a morire e temendo che, dopo morto, di lui parlassero epigrafai e biografi di professione che a torto lo biasimassero o più del dovere potessero lodarlo, a lui, al Vannucci, scrisse da Livorno il 14 settembre 1844 quella memorabile lettera con la quale gli raccomanda la sua memoria, e gli dice: «Meglio se ognuno tacerà; ma se qualcuno ha da parlare, parla tu come sei solito, almeno sapranno il vero.»; 2°, perché in questa lettera si discorre di Lecce e delle città salentine e della provincia di Terra d’Otranto, ed è la manifestazione viva delle impressioni che questo viaggio per la Puglia petrosa produsse sull’animo del Vannucci. Io l’ho trovata fra tante carte, nel Carteggio di Lui, e sono lieta d’offrirla a cotesta simpatica Associazione che iniziando sotto lieti auspicii una pubblicazione periodica, eccita, sveglia e rinvigorisce costì l’amore ed il culto per gli studi letterarii.
Eccola.
Alla Signora Teresa Kramer, a Milano
Firenze, 1. novembre 1868
Carissima Amica
[…] Il mio viaggetto ha durato quindici giorni precisi, e ho corse tutte le rive del mare Adriatico da Ancona al Capo di Leuca, e parte di quelle del mare Ionio fino al golfo di Taranto.
A Taranto mi spingeva un vecchio e vivissimo desiderio di visitare quel seno famoso che trovai anche oggi meritevole della sua fama antica, quantunque la grande città sparisse senza lasciar quasi traccia alcuna di sè. Morirono anche gli Dei suoi protettori: caddero i superbi templi, i teatri, i palazzi. Il grandissimo porto è quasi deserto: niun monumento attesta più della opulenza e delle proverbiali voluttà tarentine. La città moderna è una povera cosa: e una delle sue maggiori glorie recenti è nell’aver dato i natali a Paisiello. Ma in quei luoghi rimangono lo splendore del mare e del cielo, le lunghe primavere e i tepidi inverni celebrati dall’antico poeta, e le memorie che non poterono esser distrutte nè dai denti del tempo nè dalla ferocia degli uomini. Io contemplai lungamente estatico quella immortale bellezza dei luoghi, e dalle fiorite rive dove le liete vigne e i ricchi oliveti ricoprono le vecchie rovine, per l’ampio mare mi spinsi col guardo e col pensiero alle altre città famose del golfo, e vedeva Metaponto dove sotto le grandi rovine giace Pitagora, ed Eraclea, e Sibari e Turio e Crotone di cui rimane solo la fama.
Per la Puglia petrosa rividi Brindisi, e mi spinsi a Lecce che è la più bella città moderna dei Campi Salentini, ed ha monumenti assai eleganti, ed è ricca di benefiche istituzioni e di scuole, le quali hanno molto da fare contro l’abbrutimento del popolo, e le arti dei preti che in quei luoghi più che altrove sono padroni del campo. Pure i tentativi non mancano, e tra le cose piacevoli che io sentii è che il Consiglio Provinciale ha fatto al Sillabo papale una risposta viva e molto eloquente decretando un monumento a Vesare Vanini nativo della provincia, il quale in altri tempi fu arso come eretico.
Da Lecce andai a Galatina distante una diecina di miglia: e questo divenne centro alle altre escursioni pei Campi Salentini ricchi di antiche memorie. Galatina è un grosso paese di dieci mila abitanti, fecondo di bambagia, di olio e di vini generosissimi. Ivi è maritata al prof. Siciliani una signora fiorentina, Cesira Pozzolini, molto culta e gentile, che io conobbi sin da bambina, la quale mi vuol molto bene. Essa col suo marito colla famiglia e coi suoi amici mi fece un’accoglienza cordiale e solenne, e per mostrarmi che era contentissima della visita, a cui mi aveva tante volte invitato, mi festeggiò in tutti i modi che seppe, e poi volle accompagnarmi col marito a vedere tutti i luoghi notevoli del calcagno dello stivale. Andammo a Gallipoli che, sorgendo in un’isola attaccata alla terra solo da un ponte, prospetta vagamente da più parti sul mare, e si vanta di aver dato i natali allo Spagnoletto, e si duole ancora che i Galatini in altri tempi le rubassero la reliquia di una mammella della sua protettrice S.ª Agata, ed è ricca di traffici come deposito generale di tutto l’olio della provincia.
Vedemmo La Grecìa, cioè i parecchi villaggi che anche oggi parlano greco. Fummo ad Otranto già famosissima e ora ridotta a uno squallido villaggio di duemila abitanti, e bella solo per la bellezza del mare e dei verdi colli d’attorno, da cui si vedono i vicini monti dell’Epiro. Quindi per campagne or liete d’olivi, ora quasi deserte, e per villaggi in cui solo l’ospitalità naturale agli abitanti offre ricovero al passeggiero la notte, giungemmo al Capo di Leuca, e ivi dalle alture dirupate di esso e dalla cima del fanale a cui si ascende per 250 scalini godemmo a lungo del magnifico spettacolo del mare Ionio e dell’Adriatico nell’atto che si congiungono insieme. Sul promontorio di Leuca, che i Greci chiamaron così dai bianchi scogli in cui si frangono le onde dei due mari, una volta fu una città, la quale ora è al tutto scomparsa, e non vi stanno che i custodi del fanale, e un prete che dice la messa nel Santuario della Madonna dipinta anche qui da S. Luca, e accoglie i visitatori devoti.
Finimmo le belle escursioni tornando felicemente a Lecce giovedì mattina, e visitate ivi a poca distanza le rovine di Rudia (ora Rugge) che fu patria del vecchio Ennio, la sera mi congedai dai gentilissimi amici di Galatina e messomi in vapore, arrivai iermattina a Firenze disposto a riposarmi un pezzo dopo tanto vagare e perder tempo.
[…] Vi stringo la mano e sono
tutto vostro
Vannucci
Quante dolci e care memorie non mi risveglia questa lettera! Mi ricordo come fosse ieri con che giubbilo accolsi l’annunzio d’una visita del Vannucci a Galatina. Me lo scrisse da Vienna che sarebbe venuto in quei giorni; e noi in casa fummo tutti in moto per riceverlo. Alla stazione di Lecce gli mossero incontro il Duca Sigismondo Castromediano, quei cari ed egregi Salvatore Grande ed Enrico Lupinacci troppo presto rapiti alla patria e alle lettere, Cosimo De Giorgi, Ulderico Botti e altri amici, i quali montati in più carrozze mossero tutti per Galatina. Il Sindaco e i principali signori della città andarono lungo lo stradale ad incontrarlo con le loro carrozze accodate l’una all’altra, e, scontratolo, scesero tutti, e fecero salire l’ospite illustre nella carrozza del Sindaco Giuseppe Galluccio. E la banda musicale sonava sulla piazza. E la casa era piena di gente. E tutti vennero ad ossequiare il Senatore; e perfino il maresciallo dei Carabinieri, in tenuta di gala fattosegli innanzi e portando la destra alla tempia in atto di saluto, si pose agli ordini suoi.
Che bel giorno! Che festa fu quella!…
Nella grande stanza tutta piena di gente, mentre giù in piazza la banda suonava allegramente, veggo ancora quella nobile, alta e snella figura del Duca Castromediano, che tutto giulivo e sorridente festeggiava il vecchio amico e l’ospite insigne. Veggo ancora Salvatore Grande ed Enrico Lupinacci che nel Vannucci sapevano di onorare lo illustre storico e latinista, lo scrittore sommo, il galantuomo perfetto. E in mezzo a tutti e fra tutti i convenuti mi par di vedere ancora, piccoletto, magro, vispo ed arzillo quel Don Orazio Congedo, il dotto di Galatina, a cui il Vannucci serbò sempre grande stima e sincera affezione.
In paese parlavasi di questo arrivo come di gran novità. La gente era tutta curiosa di veder il sonatore, come il popolo lo chiamava invece di Senatore; e quand’ei passava alto della persona e un po’ ricurvo, acceso in viso, coi capelli e le fedine di puro argento, col cappello di feltro nero a larghe tese, umile e dimesso nel suo coticugno e con un grande ombrello verde sotto il braccio, la gente forse meravigliavasi che tanta festa si fosse fatta per un uomo così semplice, per un uomo che aveva un’aria così modesta.
Quegli otto giorni volarono. In famiglia il Vannucci era proprio come uno di casa; e i miei nuovi parenti, onorati di quella visita, lo ricolmarono di cortesie. La povera mamma Rosa si rallegrava tutta quando lo vedeva, e si intratteneva volentieri con lui, e le piaceva di sentirlo parlare con tanta semplicità, lo chiamava «il vecchierello», e la sera a cena beveva «lu curcalietto» alla sua salute.
A Gallipoli ci fu subito intorno e ci fece da cicerone il prof. Emanuele Barba, che il Vannucci non ha mai più dimenticato; e il Mazzarella, e il Garzya, e il Consiglio e Luigi Forcignanò accolsero con festa l’ospite illustre.
A Otranto, altri amici e altre festose accoglienze, massime dagli ottimi fratelli Cosentino. Ricercammo tutte le memorie dei Santi Martiri, salimmo sulla fortezza, s’andò in barca per quel mare sconsolato, arrivammo al famoso colle della Minerva, e con l’animo triste per tanti pietosi ricordi andammo a Maglie dove si pernottò e ci accolse ospitale nel suo magnifico palazzo l’egregio avvocato e pubblicista Achille De Donno.
Da Maglie sul far dell’alba la mattina appresso continuammo per Leuca, sempre in carrozza. Oh quante memorie su quella punta acuminata sporgente in mezzo ai due mari! Quanti ricordi sulla cima di quell’alto fanale!…
Leuca, oggi, mi fa pensare a Specchia, paesello perduto nella pianura sconfinata, e alla gentilezza dell’egregio Valente; mi fa pensare a Tricase e alla memore casa Ingletti; mi fa pensare alla poetica e famosa Marina di Tricase e alla deliziosa villa Pisanelli, or triste per la morte di lui, di Giuseppe Pisanelli, anima di quei luoghi, onore e vanto della provincia e del Foro italiano: mi fa pensare alla Bianca, la quale un anno fa seppe reprimere il suo immenso dolore, e ci accolse con tanta festa. Innanzi alla bella villa, il giardino pieno di fiori, e poi il mare sconfinato, azzurro come la volta del cielo. Oh che splendida serata era quella! Che silenzio! Che luna!… Odo ancora in lontananza una patetica voce di donna e i sommessi accordi d’un piano che si confondevano ai monotoni e continui gemiti del mare alla sponda… Da Leuca il pensiero ritorna a Maglie, che nell’egregio e nobile Francesco Garzya ha perduto uno dei suoi più degni rappresentanti e un vero gentiluomo. Con che festa egli ci accolse nel suo palazzo! Bello della persona come distinto nei modi, in vederlo l’avresti detto un lord, un inglese, il tipo della gentilezza e della cortesia. E dove lascio la squisita ospitalità del buon Circolone che ci aprì il suo magnifico appartamento e ci offrì un ottimo pranzo?
Ogni paese anche piccolo, ogni persona veduta anche una volta, quante vive e care memorie ci hanno impresso nell’animo!
E la bellissima lettera del povero Vannucci è come un riassunto di tutte queste memorie incancellabili; memorie di affetto e di gratitudine che mi è dolce comunicare al nuovo periodico di quella gentile ed ospitale e cultissima Lecce, che mi è cara come la mia seconda patria.
La riverisco, egregio Signor Direttore, e mi pregio dichiararmele
Devotissima
Cesira Pozzolini
Bologna, gennaio 1884
[“Presenza taurisanese, a. XXXV (2017), n. 294, pp. 8-9]