Le grotte di Porto Badisco. Scoperte nel 1970 sono ancora chiuse al pubblico, ma “vivono” nelle tarsie di Enzo Fasano

 

Enzo Fasano, La grotta dei cervi (tarsia cm 47×57, 1984)

di Gigi Montonato

Si va verso il cinquantenario della scoperta delle grotte di Porto Badisco, avvenuta tra l’1 e l’8 febbraio del 1970 ad opera di alcuni speleologi salentini del Gruppo “De Lorentiis”. Un evento sensazionale, salutato come il ritrovamento di un autentico tesoro.

Ne parlò, all’epoca, tutta la stampa nazionale e internazionale. “La Zagaglia” di Mario Moscardino gli dedicò l’intero fascicolo di marzo di quell’anno. Paolo Graziosi, archeologo e antropologo di fama mondiale, definì quelle grotte, da lui ispezionate, “Il santuario della preistoria”, ipotizzandone una destinazione sacrale (Corriere della Sera, 3 marzo 1970).

Migliaia di metri di parete con pitture rupestri risalenti al neolitico e all’età dei metalli. Da allora, coi loro spazi e coi loro disegni, esse hanno influenzato la storiografia e l’arte figurativa salentina. Alcune immagini, particolarmente significative, sono entrate nel codice simbolico e narrativo di tanti artisti. Pittori, scultori e letterati non ne sono rimasti immuni. Fra di essi l’intarsiatore Enzo Fasano di Parabita, che, con le sue tarsìe pittoriche ha creato l’epos di quel mondo arcaico e misterioso che quelle grotte evocano.

Sabatino Moscati, a Lecce nel 1986 per presiedere il Convegno Internazionale “Salento Porta d’Italia” (Lecce, 27-30 novembre), organizzato dall’Università degli Studi di Lecce e dall’Istituto di Studi e Ricerche “La Terra”, definì Enzo Fasano «L’intarsiatore alla ricerca della felicità». «Questa definizione – aggiunse – è straordinariamente ben riuscita: illumina l’arte di Enzo Fasano, che trasfigura e rinnova nell’età moderna il messaggio figurativo di Porto Badisco; ma propone anche quella ricerca del nuovo e del bello che è un momento di felicità irripetibile per chi guarda».

Nella circostanza l’intarsiatore di Parabita propose le sue mirabili opere di tarsìa pittorica ad un pubblico qualificatissimo, composto di studiosi provenienti da tante parti d’Italia e d’Europa. Due anni prima si era prodotto nella mostra a tema “Badisco ‘84”, inaugurata nel Castello Aragonese di Otranto l’8 luglio di quell’anno con un presentatore d’eccezione: il prof. Mario Marti dell’Università di Lecce, uno dei più illustri critici letterari italiani, un intellettuale a tutto tondo, che non disdegnava, pur filologo e specialista di testi letterari, esaminare all’occorrenza altre espressioni artistiche, non proprio di sua pertinenza, e cogliere messaggi ed elementi per spiegare gli autori e il loro mondo ponendosi in rapporto simbiotico-conoscitivo con essi. Quella presentazione fu tradotta in tre lingue (francese, inglese e tedesco) e contribuì non poco a far conoscere i meravigliosi graffiti delle grotte di Porto Badisco, che dopo quasi cinquant’anni dalla scoperta sono ancora oggi chiusi al pubblico.

Dell’incanto e del mistero di quegli essenziali disegni parietali – scene di caccia e di vita tribale, figure umane e zoomorfe, simboli e sciamani – sono note fuori da quelle grotte solo le foto, che danno perfettamente l’idea della loro fredda testimonianza. Forse anche a causa della loro chiusura al pubblico, non hanno trovato neppure una conveniente diffusione nelle pubblicazioni di settore, come invece lo hanno trovato altre grotte nel resto d’Europa, né più belle né più importanti delle nostre, ma sicuramente più accessibili e turisticamente più spendibili. Prova, ove ve ne fosse bisogno, della nostra difficoltà a farci conoscere per quello che siamo di buono e per quello che abbiamo di bello. Eppure si partì bene proprio con quel Convegno di Studi di trent’anni fa. Ahimè, quanto ben più lontano appare al giorno d’oggi con le pubbliche istituzioni assenti completamente dalle iniziative culturali!

A rendere più suggestive quelle grotte ed appetibili di ammirazione e conoscenza è proprio la trasfigurazione artistica che ne ha fatto Enzo Fasano con le sue tarsìe. Esse rappresentano una sorta di mondo idilliaco, favoloso, nel quale l’umano vive come i poeti hanno descritto l’età dell’oro. E tuttavia si coglie anche l’elemento storico, mentre vedendo in esse talune immagini viene di congiungere il tempo infinito a quello finito, di stabilire un filo che unisce le pitture rupestri alle rappresentazioni musive del pavimento di Pantaleone nella cattedrale di Otranto. Alcune figure sono di straordinaria somiglianza. Fasano ha popolato quelle grotte, ha conferito loro la vita. E lo ha fatto con la sua arte e con la sua tecnica; con la sensibilità artistica del Novecento e con quella paziente applicazione che fa pensare a tempi infiniti.

La definizione data da Sabatino Moscati, che è stato uno dei più grandi archeologi italiani, poteva sembrare di circostanza, un omaggio ad uno dei più originali interpreti del Salento. In realtà essa ha un valore straordinario e ce ne accorgiamo ben di più oggi. Essa guida lo spettatore verso due direzioni apparentemente opposte, ma una successiva all’altra. La “ricerca della felicità” verso qualcosa, un mondo, che non è davanti a noi, ma dietro di noi, il passato dal quale veniamo; o, per altro aspetto, un mondo da creare per il futuro come quello del nostro passato più remoto ma tanto più “felice”. Gli artisti veri si muovono sempre lungo sentieri propri, intuiti e utopici.

Fasano è giunto al ciclo badischiano delle grotte dopo quello terragno dei contadini per approdare a quello funerario delle stele daune. Un percorso caratterizzato da un forte senso religioso, in cui il tempo sembra cercare forme diverse per esprimere sempre uno stesso sentimento, una stessa poesia. “La campagna – ha detto di lui Mario Marti – fu il suo primo grande, vero libro; il lavoro dei campi la sua prima autentica esperienza di vita”.

Dal punto di vista cromatico gli intarsi pittorici di Enzo Fasano sono un inno “obbligato” alla terra, colta in ogni sfumatura di ocra, di giallo, di rosso, di marrone, di nero. Qualunque cosa le sue tavole rappresentino è sempre la terra coi suoi colori che s’impone come atmosfera e messaggio.

Il luogo, la sua Parabita, è condizionante. Zona archeologica, con le sue “Veneri” e col suo parco, non può non avere influito nel suo immaginario. E si consideri pure che l’immagine della Madonna della Coltura, patrona di Parabita, dipinta su un monolite fu trovata, secondo la leggenda, da un contadino mentre dissodava la terra in una campagna. Anche le stele daune, un altro ciclo tematico della sua produzione artistica, sono state restituite dalla terra, molte essendo state pietre per muretti a secco.

Non è un caso dunque che nell’opera del Fasano la terra occupi un posto centrale, si tratti dell’alma terra, che nutre gli uomini coi suoi frutti, o della roccia scavata per offrire loro rifugi. La terra, dunque, scrigno di ricchezze materiali e spirituali; segno distintivo di civiltà e cultura. La terra, che restituisce in reperti archeologici la vita pregressa, arcaica e sacrale degli uomini, affascina e suggestiona, riporta ad un mondo forse mai esistito per come viene immaginato, che i poeti identificano con il regno dell’innocenza e della felicità.

Da uomo legato al suo tempo, Fasano si rammarica per la scarsa considerazione in cui sono tenute quelle grotte, di fatto otiosae, mentre costituiscono la nostra “culla” e insieme il nostro “scrigno”. Nel chiedersi le ragioni del passaggio di Fasano nel 1984 dal tema terra al tema Badisco, Marti ipotizzò, senza alcun intento riduttivo, “un modo come un altro di richiamare l’attenzione dei responsabili su questa ricchezza finora del tutto inutilizzata”.

Le grotte di Porto Badisco, per continuare ad essere una risorsa del territorio, quale fin dall’origine sono state – e ne sono testimonianza le sue pitture – dovrebbero essere oggi fonte di conoscenza scientifica e attrazione di turismo culturale. Così come dappertutto si è evoluta la natura nel mondo, sia per la bellezza in sé sia per le tracce umane occorrenti.

In questo senso, e non solo dal punto di vista artistico, va intesa “la ricerca del nuovo e del bello”, come nella definizione di Sabatino Moscati per l’opera di Enzo Fasano.

[“Presenza taurisanese, a. XXXV (2017), n. 294, p. 12]

 

 

 

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2 risposte a Le grotte di Porto Badisco. Scoperte nel 1970 sono ancora chiuse al pubblico, ma “vivono” nelle tarsie di Enzo Fasano

  1. Complimenti, molto interessante il vostro modo di fare cultura. Peccato che non vi siano i pulsanti di condivisione per avere un’interfaccia più veloce con voi.
    Cordiali saluti

  2. wp_2601243 scrive:

    Gentile Signor Galiotta, penso che lei si riferisca al fatto che in alcuni siti ci sono dei collegamenti immediati a Facebook, a Twitter, e ad altri social media, mentre in Iuncturae questi collegamenti mancano. Se è così, provvederemo. Grazie per la segnalazione.

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