di Rosario Coluccia
Mi colpisce un episodio recente, dell’ultima settimana di agosto. Nel parcheggio di un centro commerciale di Carugate (provincia di Milano) viene affisso un cartello con la seguente scritta: «A te handiccappato che ieri hai chiamato i vigili per non fare due metri in più vorrei dirti questo: a me 60 euro non cambiano nulla, ma tu rimani sempre un povero handiccappato. Sono contento che ti sia capitata questa disgrazia».
Il contenuto è chiaro. Un tizio che ha parcheggiato nel posto riservato ai disabili ed è stato per questo multato dai vigili giustamente chiamati a far rispettare le regole se la prende con chi, per legge, aveva diritto di parcheggiare. Si sfoga con un cartello di insulti preparato con cura, su carta plastificata, scritto in lettere tutte maiuscole e ben allineate. Insomma non lo sfogo di un momento (gesto comunque inaccettabile, di cui vergognarsi) ma una reazione meditata ed eseguita con tutta calma. Davvero un gesto riprovevole. Il fatto arriva a conoscenza di tutti grazie all’iniziativa di un altro cliente del supermercato. Va a fare la spesa, parcheggia l’auto, vede il cartello, ne resta colpito, si chiede come sia possibile divulgare frasi così brutte e offensive. Prende la giusta decisione, vuol documentare la vigliaccheria dello scrivente. Scatta una foto del cartello e la pubblica su facebook. In poco tempo il post riceve centinaia e centinaia di condivisioni, commenti e «mi piace», fa il giro del mondo passando da un nodo all’altro della rete. In molti reagiscono, protestano, si indignano. La Ledha, la lega per i diritti di persone con disabilità, sporge una denuncia nei confronti dello sconosciuto che ha affisso il vergognoso cartello. La procura di Monza apre un fascicolo contro ignoti per “diffamazione aggravata”, sperando che possa essere individuato l’autore del gesto. Giornali e televisioni divulgano la notizia, la direzione del supermercato provvede a rimuovere il cartello. In rete ne restano per alcuni giorni le foto.
Il cartello è preparato con cura, ma l’italiano con cui è stato scritto è riprovevole come il contenuto. Chi scrive usa il doppio complemento di termine («a te … vorrei dirti»), mentre la resa corretta sarebbe stata «a te … vorrei dire» oppure «vorrei dirti» (preferibilmente usando il “lei”, come si deve fare quando ci si rivolge a persona non conosciuta). Scrive «piu’» con l’apostrofo e non con l’accento: «più». E ancora, per ben due volte in poche righe, scrive «handiccappato» (con intenzioni offensive) al posto di «handicappato» (la grafia corretta è con una sola «c»). L’errore tradisce il luogo di nascita dell’autore della scritta, è un settentrionale. La lingua chiarisce molte cose, ecco la spiegazione. Nell’Italia settentrionale le consonanti doppie all’interno di parola si presentano in linea generale scempiate (insomma una consonante semplice, non la doppia): si dice colo (invece di collo), seco (invece di secco), spala (invece di spalla), ecc. Nel parlato e nello scritto alcuni sono incerti sull’esatta pronunzia e sull’esatta grafia, usano la scempia al posto della doppia e anche, per una sorta di reazione eccessiva al fenomeno, usano le doppie al posto delle scempie corrette (tecnicamente si dice per ipercorrettismo). Fin da tempi remoti. Molti autori settentrionali dei primi secoli mostrano incertezza nel rendere ortograficamente le parole della lingua: o scrivono il suono semplice in luogo della consonante doppia (dato che nella loro parlata non conoscono le doppie) o scrivono in modo ipercorretto due consonanti mentre nella lingua corretta ci vorrebbe la consonante semplice. Boiardo scrive: fato ‘fatto’, fole ‘folle’ ma anche rivella ‘rivela’, cella ‘cela’. Ariosto scrive: alora ‘allora’, spicare ‘spiccare’ ma anche elletto ‘eletto’, staggione ‘stagione’. Un mio amico piemontese, professore universitario, per ipercorrettismo dice avvallato e vuol significare ‘avallato’. Il nostro scrivente settentrionale. avrebbe dovuto scrivere «handicappato» ma crede che una sola «c» sia errore, pensa di correggersi, aspira a usare l’italiano in forma corretta e, sbagliando per ipercorrettismo, scrive «handiccappato» con due «c».
L’analisi linguistica funziona così, se sappiamo usarla ci dice moltissimo sui luoghi e sui tempi in cui un testo è stato prodotto, sul livello di cultura di chi usa la lingua, sulle intenzioni, ecc. Ecco la prova, per quanto ora ci riguarda. Hanno identificato l’autore di quel cartello: maglietta chiara e bermuda neri, è stato ripreso dalle telecamere mentre si esercitava nella sua impresa gloriosa. Si tratta di un imprenditore 40enne, brianzolo, laureato, incensurato. Nonostante la laurea, dimostra un sicuro deficit nel possesso della nostra lingua, oltre a un sicuro deficit di eticità.
Sono molto contento quando, in giro per le città, vedo rispettati gli spazi per i parcheggi riservati ai disabili. Con compiacimento, posso dire che su questo punto i miei concittadini si comportano in genere con civiltà. Se continueremo tutti a ben comportarci potranno forse sparire quelle scritte (giustificabili ma ineleganti) che vediamo nei parcheggi riservati: «se vuoi il mio posto, prendi anche il mio handicap». Speriamo che non ce sia più bisogno. Si può, come sempre, fare di più. Ricordo il mio stupore ammirato quando, trovandomi in Brasile, nei parcheggi leggevo in molti spazi la scritta «idoso». La parola vuol dire ‘anziano’, in Brasile riservano spazi per parcheggio alle persone anziane, fanno bene.
Torniamo all’episodio di partenza. La stupidità non ha confini geografici, campeggia indisturbata al nord, al centro e al sud di questo nostro paese. Si è reso protagonista di un altro episodio incredibile, capitato anch’esso negli ultimi giorni di agosto, un autista di Atac, l’azienda dei trasporti romana che spicca per inefficienza e sprechi, pur nel panorama desolato di tante inefficientissime e sprecone aziende locali di trasporto. L’autista romano ha scritto sul display di un autobus in servizio un messaggio contro i vaccini e l’ha diffuso in rete. Non entro nel merito della questione vaccini sì ~ vaccini no, va lasciata ai competenti. Mi colpisce l’ennesimo esempio di uso improprio di un mezzo pubblico (quindi di tutti), lo strisciante senso di anarchia che ne deriva, su cui l’azienda ha aperto un’inchiesta interna. Vedremo come andrà a finire, di questo non parlo.
Mi interessano invece le intenzioni sottese ai comportamenti di quell’autista, l’ingordigia di mostrarsi a una platea larghissima, cercare in qualsiasi modo consensi alle proprie idee. Un paio di anni fa si scatenò un dibattito su una presunta affermazione di Umberto Eco, gli si attribuiva di aver scritto che tutti coloro che twittano su Internet sarebbero degli imbecilli. In realtà Eco aveva scritto una cosa diversa, aveva scritto che tutti coloro che un tempo parlavano di calcio solo al bar sotto casa ed erano sicuri, di volta in volta, di proporre la migliore formazione possibile per la nazionale o per la squadra del cuore, ora grazie ad Internet possono con la stessa sicumera parlare di tutti gli argomenti, senza nessuna competenza. Il punto è lì: senza competenza. Pretendono di coinvolgere un pubblico enorme, supponendo che un pubblico enorme possa essere interessato ai loro casi e alle loro opinioni. Non si spiega altrimenti l’abitudine di molti di postare ossessivamente i pensieri più diversi, a volte persino considerazioni minute sul proprio stato d’animo e sul proprio quotidiano: sono triste, sono andato al supermercato, ho fatto il bagno in mare, ecc. A chi può interessare tutto ciò?
Preciso. La rete pervade la nostra vita, non è né buona né cattiva in sé, esiste e basta. Non sto proponendo forme di censura, ognuno faccia in rete quello che vuole, purché non insulti e non danneggi nessuno (non tocco ora quest’argomento, lo faremo un’altra volta). Ma esistono modi diversi di usare le potenzialità straordinarie della rete. A cui vanno affiancati studi seri e competenze, beninteso. Chi naviga può usare il web per raccogliere una quantità immensa di informazioni, selezionare le opinioni in concorrenza, decidere con la propria testa quel che è giusto e quel che non lo è, organizzare la propria vita in modo intelligente. Non ha senso impiegare il tempo solo per chattare e per sfarfallare qua e là.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 10 settembre 2017]