di Ferdinando Boero
L’impressione è che siamo in sciopero per meri motivi stipendiali. A conferma dello scarso valore morale dei professori universitari…Così finiva un mio articolo sulla situazione universitaria e sullo sciopero dei professori che chiedono la rimozione del blocco degli scatti stipendiali. Questa chiosa ha scatenato ben tre colleghi (Stefano Cristante, Guglielmo Forges Davanzati, Angelo Salento) che si sono affannati a contestarla [in Che cosa non va nelle tesi di Ferdinando Boero a proposito dello sciopero dei professori universitari]. Lo fanno per punti.
1) Tirano in ballo l’ANVUR, l’Agenzia Nazionale di Valutazione di Università e Ricerca, e ne contestano le modalità di valutazione. Non ho mai scritto che siano corrette. Confondono il “cosa” (il fatto che si debba valutare) con il “come” avviene la valutazione. Cristante, Forges Davanzati e Salento appartengono a settori non bibliometrici, in cui è più difficile stabilire criteri di valutazione. Nelle aree scientifiche le cose sono differenti. Loro prendono il caso delle loro aree e lo estrapolano al resto del sistema. Se l’attuale criterio di valutazione non va bene nelle loro aree, che ne propongano di alternativi, altrimenti danno l’impressione di non voler essere valutati, ma di volere aumenti automatici di stipendio.
2) Per gli studenti, mi dicono che è ovvio che debbano partecipare alle attività universitarie e mi ricordano che se un docente si fa sostituire a lezione etc. si deve ricorrere ai regolamenti vigenti. Già. Quanti casi conoscono in cui questo sia avvenuto? La qualità delle nostre lezioni, e anche la quantità, non si possono definire a seguito della compilazione di registri. Affermare che le valutazioni degli studenti siano paragonabili a quelle degli utenti delle Ferrovie è un grave difetto di comunicazione, questa volta nei confronti degli studenti.
3) C’è un punto sulla terza missione di cui non ho praticamente parlato e quindi non ho nulla da ribattere. Mi spiace che non menzionino il problema precari, che invece ho citato. I precari sono spesso trattati come paria da professori bramini che si trovano per miracolo ad avere un posto di rilievo in minuscoli potentati locali (i Dipartimenti) (più sono “piccoli” e più vessano i deboli). E che rifiutano di farsi valutare, trovando cavilli procedurali per mostrare l’impossibilità a valutare. Cristante, Forges Davanzati e Salento conoscono benissimo queste situazioni.
Ma il punto più critico del mio ragionamento, secondo loro, è che i professori universitari sono dei lavoratori. Ma grazie! Solo che gli altri lavoratori timbrano il cartellino. Almeno si compra il loro tempo. Noi no. I miei tre amici e colleghi sanno benissimo che è possibile per noi non andare al lavoro. Ci sono vincitori di concorso che provengono da altre città che non si fanno vedere mai. Gli studenti lo sanno benissimo. Ci sono professori che “si ritirano” a giugno e riappaiono a novembre, presentandosi solo per gli esami. Io non voglio timbrare il cartellino. Ci tengo alla mia libertà, ma la libertà va meritata. Meritata… e quindi va valutato il merito. Non siamo lavoratori come tutti gli altri. Abbiamo il privilegio della libertà totale, che i Ferrovieri non hanno, e bisogna fare in modo che non diventi arbitrio. Attualmente la nostra percezione è che siamo dei fannulloni profittatori, dobbiamo lavorare per migliorarla… Pensare di salvare la dignità dell’Università chiedendo aumenti automatici di stipendio non è il modo migliore per ottenere questo obiettivo.
Cristante, Forges Davanzati e Salento mi ricordano lo stipendio di un ricercatore: 2000 euro. Giusto. Ricordiamo anche quello di ordinari con venti anni di anzianità: supera il doppio di questa cifra. Va meritato. E ricordiamo quello dei precari? Di un’intera generazione bruciata? Per loro non abbiamo mai scioperato: vogliamo gli scatti automatici di stipendio! Il mio stipendio è minuscolo rispetto a quello dei miei colleghi stranieri, ma per loro se non si risponde a certi criteri di qualità ci sono severe sanzioni, e vengono applicate.
Riconoscono, Cristante, Forges Davanzati e Salento, che la protesta per lo sblocco degli scatti è minimale e mi chiedono quali altre forme di protesta io proponga. Asteniamoci tutti dagli adempimenti burocratici assurdi, per esempio, tipo i registri. Sempre. Ovviamente chiedendo una severa valutazione (e qui mi aspetto le proposte dei tre amici per le loro aree) del raggiungimento degli obiettivi.
E’ già avvenuto che aumenti di stipendio siano stati concessi a fronte di espletamento di adempimenti burocratici: a questo ci dobbiamo ribellare. Non siamo burocrati.
Non perdiamoci in lotte di retroguardia, c’è ben altro da considerare. La definizione dei dipartimenti di eccellenza sta dividendo le Università in aree in cui si insegnerà soltanto (quelle dei Dipartimenti non eccellenti) e aree in cui si insegnerà in base a ricerca valutata di alto livello (quelle dei Dipartimenti eccellenti). Nella nostra Università c’è una sola area di eccellenza, stando alle valutazioni ministeriali: quella biologica. È una notizia terrificante. È in corso il declassamento ad esamificio della nostra Università. Mi sarei aspettato una conferenza d’Ateneo su questo, per discutere, contestare, riproporre, verificare quel che abbiamo davanti. Invece no. Quello che si percepisce dall’esterno è che siamo in sciopero per meri motivi stipendiali. Questo conferma l’impressione che i professori universitari abbiano uno scarso valore morale. Traduco ulteriormente: non penso che la categoria abbia uno scarso valore morale, anzi. Penso però che comportandosi così dia l’impressione di avere uno scarso valore morale. C’è differenza tra “dare l’impressione di avere….” e “avere”.
Tutto il mio articolo spiega i motivi per protestare, e finisce dicendo che se si protesta solo per gli scatti, come ora viene percepito, e si delegittima ogni criterio di valutazione, si propone un’immagine negativa del professore universitario.
Se gli studenti salentini scappano al nord significa che percepiscono che la nostra Università valga poco. E ora non mi si faccia dire che la nostra Università vale poco. Se ci mobilitiamo per gli scatti di stipendio e non per altro, confermiamo la percezione negativa.
Non è buona pubblicità per la nostra Università. Dobbiamo far valere quel che di buono abbiamo, e c’è molto, e dobbiamo mostrare una politica tesa al miglioramento. Rifiutare le valutazioni e chiedere aumenti di stipendio non è positivo per l’immagine dell’Università.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 10 settembre 2017]