Quattro piccoli libri, che vanno letti “in ordine di apparizione” oppure lasciando al caso la facoltà di decidere per il lettore, attaccandoli da un punto qualsiasi, dal primo capitolo che si offra all’occhio ad apertura di pagine. Mi riferisco a quattro piccoli, cordiali libri, il cui autore si aggira tra memoria di luoghi e memorie familiari con lo stesso animo: quello di chi vuol capire, o interpretare, leggendo nei segni di natura e di storia, il luogo in cui vive e la forza “educatrice” esercitata sulla sua vita da quel luogo. Quattro libri di piccola mole e d’agile scrittura; sicché queste caratteristiche già costituiscono un’ottima ragione per accostarli.
Autore e titoli: Gianluca Virgilio, Vie traverse, Edit Santoro, Galatina 2007; Id., Gioventù salentina, Edit Santoro, Galatina 2007; Id., Scritti cittadini, Edit Santoro, Galatina 2008; Id., Infanzia salentina, Edit Santoro, Galatina 2009.
Sono quattro libri che entrano l’uno nell’altro in un intreccio di memoria locale e di memoria familiare, di passato e presente, di domande e riflessioni su passato e presente individuali, vissuti e, talvolta, patiti nella propria coscienza, e passato / presente comune, collettivo, protagonista del quale è una comunità cittadina con le sue abitudini da vecchio paese di provincia e i suoi soprassalti di modernità.
La precisione “cartografica” che connota la ricostruzione dei luoghi (campagne e paesi, e strade e stradicciuole, e paesaggi agrari ed urbani) s’impronta ad una suggestiva topografia poetica. Tutto vi è guardato n on attraverso la colorata lente d’una facile – ed improduttiva – nostalgia ma attraverso un occhio che esamina, anche dietro l’intenerita restituzione di paesaggi colti nel loro mutare, in un punto in cui passato e presente ancora si distinguono benché già di confondano, una realtà in movimento della quale si cerca di offrire una convincente chiave di lettura.
Vie traverse è trasparente metafora di approcci non convenzionali, o anche d’un modo diverso d’esplorare una realtà nota: “Cose note, riconosciute da una prospettiva diversa, paesaggi inaspettati aperti improvvisamente alla vista del passeggero che la consuetudine dei luoghi aveva reso cieco”. Questo affacciarsi sulle cose, improvviso e ricco di meraviglia, con altri e quasi vergini occhi si offre come possibile filo-guida nella minimalista tetralogia galatinese di Gianluca Virgilio. In Vie traverse predomina l’ambito familiare; Gioventù salentina sposta l’attenzione dallo spazio domestico a quello cittadino colto attraverso le testimonianza di amici che nella forma dell’intervista, raccontano se stessi e la città, ricostruendo in tal modo storia, umori, passioni, ideologie, cultura della (e nella) provincia. Il quadro che vi si delinea è complesso: le soluzioni personali che vi emergono sono applicabili a numerose esperienze affini. Vita scolastica e vita politica sono ridisegnate con animo partecipe, forse con la consapevolezza agrodolce di quanto si perde per diventare uomini e con la coscienza del necessario evolvere da uno in un altro stadio dell’esistenza.
Scritti cittadini punta ad una ricognizione ampia della storia / cronaca cittadina, quasi a verificare se sia possibile elaborare un ambizioso progetto riguardante la desiderata fondazione “di una nuova cultura collettiva, che nasca dalle esigenze reali delle persone” e passi attraverso un radicale mutamento dei propri atteggiamenti e delle proprie abitudini. Ricco di spunti critici polemici il libro allarga lo spazio della ricerca e prospetta la necessità di dare un diverso respiro anche a quanto di vuol continuare di tradizioni e di memorie.
Infanzia salentina (nelle cui prime pagine si colloca una sensibile prosa evocativa di Antonio Prete) è come la ricerca di una sosta memoriale durante la quale lasciare che riemergano memorie e frammenti di memoria del tratto di vita, l’infanzia, che resta, in un certo senso, come un chiuso giardino di meraviglie entro il quale si aggirano figure familiari e ogni azione, ogni gesto hanno il peso ed il valore di un rito magico e misterioso. Magia e mistero non contraddetti dalla concretezza delle persone e delle cose messe in scene: persone e cose immerse in una luce che negli anni resta unica ed inafferrabile e nella quale ogni parola ed ogni gesto si caricheranno di un valore del quale gli anni futuri avranno una percezione indistinta ma tenace. Un universo delicato, quello dell’infanzia: difficile da raccontare. Virgilio ha raccontato con un linguaggio trasparente e diretto la propria infanzia; il racconto cede appena a quel tanto di abbandono che il rimembrare quell’età consente a ciascuno. E’ partito dalla scoperta della morte, e conduce il lettore in una sorta di libera escursione il cui tracciato non è predeterminato nemmeno in parte. Tutto ha un sapore di gioco; vi allude la bella immagine di copertina (una terracotta di Vincenzo Congedo) con quel cerchio che, spinto da una mano fanciulla, solo per poco mantiene un percorso rettilineo prima che la sua corsa sia interrotta da cadute dalle quali bisogna ricominciare. Un segno dell’infanzia, dell’età in cui la vita si sperimenta in gioco o in immaginazione tra le cui maglie è già possibile leggere i segni del futuro.
[Taccuino di lettura – 7 , in “Presenza taurisanese”, Inserto cultura, anno XXVII – n. 222, luglio-agosto 2009, pp. 6-7.]