Alice nel Paese delle Lettere 3. In attesa del concilio

di Tazio Purzleber

Un concilio, si sa, è un affare complicato. C’è tutta una procedura da seguire e c’è sempre qualcuno che non è d’accordo su un punto in discussione, sulle questioni da discutere e anche sulla procedura. I preamboli al dibattito conciliare andavano per le lunghe, con contestazioni su contestazioni. Il disaccordo principale era su chi doveva essere il primo dei due a parlare. Perché due erano i discorsi annunciati, e chissà tra quanto sarebbero stati tenuti. Ehi, dato che nessuno si preoccupava di lei, perché non cogliere l’attimo e tentare la fuga, naturalmente in punta di piedi, per non sciupare i fogli e non rischiare di schiacciare nessuno. Già, ma non c’era un solo punto intorno alla roccia che non fosse occupato, e poi, per andare dove?

Gli animi si infervoravano e ogni tanto uno di quegli esserini si ritrovava catapultato fuori dai righi. Qualcuno se lo ritrovò fra i capelli e Alice lo ripose con delicatezza sul pavimento di fogli, senza ricevere neanche un grazie. Anche tra le lunghe file più pacifiche, che scorrevano lentamente avanti e indietro, in su e in giù, come un telaio da maglieria, la discussione stava prendendo una brutta piega. Le file vibravano costringendo anche le altre a vibrare, ma tutto era fuori fase e qua e là scoppiò una rissa. Le cose mettevano al peggio. Se ci fosse stato uno scontro generale, come doveva comportarsi? Certo, non era saggio prender posizione nel dibattito perché, anche se cominciava a capire diverse cosette su quel prodotto di situazioni, molte altre cosette le sfuggivano. “Va bene, aspetterò che il Concilio finisca. Speriamo che non si azzuffino. Cercherò di capire chi è il vincitore. Ma per capire come comportarmi con il vincitore, dovrei capire i motivi della contesa e per capirli dovrei sapere qualcosa che ancora non so e che sicuramente i due discorsi non mi faranno capire”. Rifacendosi una treccia, non poté far altro che sospirare. Era daccapo, non aveva elementi per prendere una decisione, ma doveva prenderne una e doveva essere quella giusta. “Non è certo colpa mia se ne so così poco. Sono appena arrivata!”

Se non altro, nessuno sembrava preoccuparsi di lei e, almeno per ora, del temuto interrogatorio non c’era neanche l’ombra, A quel punto le venne un’idea: invece di aspettare che qualcuno la considerasse e le chiedesse chi sa cosa, perché non cominciare lei a fare qualche domanda? Non doveva fare domande precise, perché qualcuno avrebbe potuto insospettirsi. “Senza ragione, ovviamente”. Così si mise a parlare un po’ con tutti del più e del meno, senza dare la minima idea che in realtà ignorava le questioni in gioco, cioè, lo scopo del Concilio. In questo modo riuscì a farsi un quadro della “situazione”. Ma con chi parlare? Cos’erano quei ragnetti?

I nuvoloni non erano fatti di vapore. Erano famiglie di caratteri a stampa!Con un piccolo dettaglio: i caratteri erano vivi, pensavano e parlavano. Incredibile, vero? Non per Alice, che, quando se ne accorse, trovò la cosa del tutto naturale.

Ogni famiglia era una casta a numero chiuso e senza possibilità di unioni miste. A mantenere l’equilibrio fra le caste aveva badato come sempre la natura: la maggior parte delle famiglie avevano lo stesso numero di membri delle altre. Inoltre, l’equilibrio era stato arricchito dall’omonimia: cioè, ogni membro delle famiglie più conosciute aveva lo stesso nome di un membro di un’altra famiglia. Be’, su questo la natura sembrava aver tirato un po’ via, perché l’omonimia contribuiva alla confusione nel dibattito e nessuna famiglia era disposta a tollerare che, al posto di un suo membro, la parola fosse presa dal membro omonimo di un’altra. Quindi sarebbe stato meglio che ogni piccolo organismo, cioè, ogni singolo esemplare di una lettera, avesse un cognome, quello della sua famiglia tanto per intenderci, oltre che un nome, ma in molte altre occasioni una simile precisione formale sarebbe stata una perdita di tempo, e la natura cerca sempre di rendere minimo il lavoro.

Prima ancora di aver capito quale fosse l’argomento, Alice si accorse che la questione dibattuta era da tutte quante le famiglie considerata d’importanza vitale. La questione aveva a che fare con i rapporti della valle con qualcosa – qualcosa che stava al di là delle montagne che la circondavano.

A quanto pare, questi rapporti si erano fatti difficili e l’economia della valle era a rischio. Zio Dogson le aveva spiegato che l’economia è molto più che risparmiare mettendo i soldi nel salvadanaio e che per risparmiare parole l’economia era anche una scienza, la scienza dell’economia. Beninteso, quando Alice metteva nel maialino di porcellana i suoi risparmi non era una scienziata: faceva solo una cosa utile a sé e quindi a tutti. Ma quale economia poteva esserci per degli esserini che si muovono su fogli incollati insieme non si sa come? Alice non capiva, però voleva capire e s’impegnò così tanto a capire che le venne un bel mal di testa, così interruppe quei primi contatti con gli esserini vestiti di nero, anche se non tutti, e si mise tranquilla. Prima o poi il mal di testa sarebbe passato, cioè, andato via.

***

Dopo un po’, si sentì meglio. “Sì, mi è passato. Ce n’è voluto. Ci sarebbe voluto di meno se avessi potuto distendermi un’oretta guardando le nuvole in cielo invece che schiacciate per terra. Invece, sono costretta a starmene qui seduta, se così si può dire, su questa cosa dura che chiamano “punto-cerchio” e che considerano il centro del Mondo Liscio. Onestamente, è assurdo: il punto-cerchio non può far parte di questo mondo! Se ne facesse parte, dovrebbe essere liscio, ma come si fa a definire liscio un punto? Sì, un cerchio, o una palla, ma un punto … un punto, no …  O forse, se anche un punto può essere liscio, è solo perché il mio punto di vista è ottuso”.

La solita sfortunata H era di nuovo schizzata fra i riccioli di Alice e sentendo quest’ultime parole – o quelle di qualcun altro, ma non importa – aveva sibilato per esprimere la sua piena approvazione. “No, ovviamente no, perché ottuso può essere un angolo e se il mio punto di vista è un punto non può essere un angolo”. Prese la piccola impertinente H e l’appoggiò su quel letto di lettere, sperando che le facessero posto. Si sentì dire “Presuntuosa!” e reagì con una punta di fastidio. “Lo dice anche zia Molly e m’invita a esserlo un po’ di meno, perché anche se tutti sono un po’ presuntuosi bisogna stare attenti a non esagerare: quando la troppa presunzione di uno si scontra con quella di un altro, la giornata si sciupa. Certo, ma non mi riguarda. Se mancano le uvette in un cheese-cake non si può chiedere che ce ne siano di meno. Zia Molly, però, vede le due facce di ogni cosa e se quello che vale per tutti vale anche per me … No, per dire che vale per tutti bisognerebbe sapere che vale anche per me, e allora sarebbe falso o sarebbe solo una banalità. Io sono curiosa. Si può essere presuntuosi senza essere curiosi, come succede alle mie compagne di scuola, e si può essere curiosi senza essere presuntuosi, come succede a me”.

“Presuntuosa!”, esclamò di nuovo la H che aveva trovato posto, perché le file a raggiera sono quasi infinite e un posto si trova sempre. “Presuntuosa!” , fecero eco molte altre H, “Presuntuosa, presuntuosa!”. “Basta, mi fate tornare il mal di testa”. Oh, se invece dello specchio avesse usato la tana del coniglio! Ora sarebbe facile rientrarci e andar via da quel posto: “Qui, è pieno di ragnetti antipatici”.

***

Alice chiuse gli occhi e si tirò forte una treccia. Chiaramente, era irritata.  Ripensare al difetto che la zia le attribuiva non le piaceva affatto. Dopo un po’ riprese a conversare con gli esserini per cercar di capire il perché del Concilio.

Le servì a poco: l’unica informazione che ottenne fu che tutti gli abitanti del Mondo Liscio erano contenti che il mondo fosse liscio. Questa presunzione la indispettì e si distrasse un’altra volta: “Liscio? Forse una cosa può avere un contorno liscio, o più liscio, del contorno di un’altra. Ma un mondo?  Come fa un mondo a essere liscio?” … Anche se lo disse piano piano, la sentirono in molti, e in maniere sgarbata la stessa H di prima replicò con una domanda per Alice: “Se non sai cosa significano le parole che usi, perché non stai zitta?”

“Mi stavo appunto chiedendo la stessa cosa, ma riferita a voi!”, replicò stizzita. Da sotto si udì una voce: “Oh, voi … Voi? Chi voi? C’è famiglia e famiglia. Comunque, è merito nostro se ci sono parole e frasi, noi le montiamo, le smontiamo e le rimontiamo”.

Per Alice non bastava: “E con ciò? Il falegname ha costruito il capanno per lo zio, ma si è chiesto a cosa serviva? Doveva saperlo per forza? Impossibile, zia Molly ha rimproverato per giorni e giorni lo zio: ‘Tutti questi soldi, spesi per cosa? Neppure tu, mio caro, sai cosa farne’. E zio Dogson fu così sfrontato da dirle che proprio questo era il bello.”

La minuscola H, o chi per lei, non si scompose: “Tutti noi, o almeno io e i miei familiari, siamo venuti al mondo con tutti i possibili significati delle parole e noi sappiamo quali scegliere e quali no”. Alice scosse la testa. Non volle insistere, però: stava perdendo tempo e basta. “Va bene, lo ammetto. Non saprei dire dove passa il confine tra quel che è liscio e quel che non è liscio. A me, ecco …, gli spigoli non piacciono. Vorrei che non ci fossero. Quindi, va bene, un mondo senza spigoli. Sì, è bello! Il vostro … non direi.  È vero, lo chiamate Mondo Liscio, ma … non ne vedo la ragione. Questo sassone non è per niente liscio. Non conta? Come non conta? Il mondo liscio, quello che vorrei per me, dovrebbe essere tutto quanto liscio, quaderni senza angoli, forchette senza punta, come il tavolo ovale degli zii o come la mia pelle. No, questo posto non è un buon esempio di … liscezza. Si dice? Non lo so. Se anche c’è qualcosa di liscio, non tutto è liscio, conti o non conti. Ogni cosa può diventare liscia prima o poi? Può darsi, ma come? D’accordo … neanche la mia pelle è sempre liscia. Non sono mica un tavolo da biliardo o una lavagna! Lo sa anche il gatto del Cheshire: basta che io aggrotti le ciglia e anche il suo sorriso scompare. Certo, se esiste il ruvido, ci sarà pure un motivo. D’accordo, d’accordo, mi sfugge qualcosa. Meglio lasciar perdere, ora non ho tempo. Ci fu di nuovo un coro: “Non conta! Non conta! Non conta!” – intendevano il sassone. Alice si appoggiò una mano sulla fronte: “Ecco, contenti?, mi avete fatto tornare il mal di testa.”

Zia Molly le dice che questi mal di testa, quando c’è un problema che non si sa come risolvere, Alice li ha ereditati da suo padre e da sua madre che proprio a un simultaneo mal di testa si erano conosciuti in una farmacia.

(continua)

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