di Ferdinando Boero
Leggo su diversi giornali che Mino Natalizio, coordinatore del parco di Porto Selvaggio e Palude del Capitano lancia un appello a me per l’estensione dell’Area Marina Protetta di Porto Cesareo (e Nardò). Non ho alcuna difficoltà a rispondergli.
Le scelte di questo tipo non dipendono da me. L’iter per modificare un’Area Marina Protetta è prima di tutto intricatamente burocratico e politico. Sono le autorità locali a dover interagire con il Ministero dell’Ambiente per innescare il processo di ampliamento dell’area sottoposta a vincolo di protezione. Sto lavorando, adesso, di concerto con le amministrazioni e il ministero, per l’istituzione dell’Area Marina Protetta Otranto-Santa Maria di Leuca. Il lavoro tecnico è in gran parte fatto. Abbiamo mappato i fondali, conosciamo le caratteristiche dei luoghi, abbiamo già applicato criteri di divisione degli interventi di protezione e gestione in base alle aspettative socio-economiche e le caratteristiche dei luoghi. Mancano poche rifiniture e potremmo partire. Ma non sono i professori universitari a fare le Aree Protette. Sono gli amministratori e i burocrati. Gli amministratori, eletti dalla popolazione, sono il tramite del sentire popolare. A Porto Cesareo l’Area Marina Protetta fu istituita nonostante le resistenze di una parte consistente dei residenti che, allora, pensavano che la “colpa” dell’istituzione dell’AMP fosse mia. In effetti la decisione fu “calata dall’alto”, visto che i residenti non erano d’accordo. Ricordo che a Porto Cesareo ci sono 18.000 case abusive e qualche sindaco vedeva per Porto Cesareo un futuro tipo Rimini. Oggi sono tutti contenti dell’Area Protetta e se ne chiede persino l’ampliamento. Cosa su cui concordo pienamente, per quel che vale il mio assenso. Se fosse davvero merito mio, mi aspetterei un monumento, vicino a quello di Manuela Arcuri. Ma non me lo meriterei. Lo meritano certamente i tecnici che si prendono cura dell’Area Marina Protetta ogni giorno. E prima di tutto sono loro a dover esprimere pareri di fattibilità. Ma poi sono, lo ripeto ancora una volta, gli amministratori locali (comuni, provincia, regione, e parlamentari) a doversi muovere.
Porto Selvaggio, a terra, è stato interessato da un rimboschimento a pini che, a detta di colleghi botanici, non merita grandissima attenzione. Però questo ha comunque impedito uno scellerato “sviluppo” che ha martoriato altre porzioni della costa. Renata Fonte è stata uccisa perché voleva fermare lo “sviluppo” in quell’area. Come cittadino, intanto mi sentirei di proporre di cambiare nome al parco diretto da Mino Natalizio, e chiamarlo Renata Fonte. Magari trasformando la stele eretta in sua memoria in qualcosa di ancor più significativo. Quel nome è uno scudo contro gli speculatori, un simbolo.
E poi, più che il sottoscritto, dovrebbe essere l’Università tutta a farsi promotrice della protezione dell’ambiente marino costiero, anche in questo caso specifico. L’Università del Salento ha una storica vocazione verso il mare. La biologia, a Unisalento, iniziò dal lavoro di Pietro Parenzan, il fondatore del Museo di Biologia Marina di Porto Cesareo che ora porta il suo nome. Esiste una scuola di biologia marina di rilievo internazionale e, con collaborazioni che vanno dai Comuni fino all’Unione Europea, passando per Province e Regione, abbiamo sviluppato una discreta conoscenza del territorio e abbiamo formato competenze che sono in grado di gestirlo. Abbiamo un corso di laurea magistrale in inglese (Coastal and Marine Biology and Ecology) che è seguito da studenti provenienti da tutta Italia e dall’estero. Uso il plurale perché queste cose non le realizza una persona, ma necessitano sforzi corali.
Sul tratto di costa tra Otranto e Leuca, a Tricase Porto, è stato istituto Avamposto Mare, un centro di ricerche marine, alla cui realizzazione non ha partecipato l’Università, anche se ora cerca di utilizzarlo al meglio. Avamposto Mare è sintomo di grande interesse per le scienze marine e per la protezione dell’ambiente da parte delle comunità locali che lo hanno realizzato, prima di tutto il Comune di Tricase e l’Associazione Culturale Magna Grecia Mare, con il supporto vitale dell’Istituto Agronomico per il Mediterraneo. Rappresenta una dichiarazione di fortissimo interesse per la realizzazione dell’Area Marina Protetta Otranto-Leuca. Il capitale naturale del Salento, il “niente” che caratterizza ancora molte parti del nostro territorio costiero, soprattutto rocciose, si salverà prima di tutto con la cultura di chi ci vive e di chi lo amministra. Questo territorio, malauguratamente, ha avuto bisogno di un’eroina, Renata Fonte. Uccisa perché lasciata sola. Ci sono ancora i fautori dello “sviluppo”, purtroppo. Ma sono oramai tantissimi quelli che hanno capito. Per parte mia, e di tutti i colleghi con cui lavoro e collaboro, compreso lo staff che gestisce l’Area Marina Protetta, non ci sono problemi a lavorare per allargare l’AMP a Porto Selvaggio. Ma, ribadisco, non siamo noi a poter innescare l’iter burocratico. Queste sono decisioni politiche. A questo serve la politica.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, mercoledì 26 luglio 2017]
Salve, per un lavoro con le classi terze di Santa Chiara, Gallipoli, avrei bisogno di una mappa delle piante del Parco Regionale Isola di Sant’Andrea e Punta Pizzo. L’ho chiesto a tutti ma non riesco a reperirlo e sono giorni che cerco online… Potreste aiutarci?
Il prof. Boero mi informa che “Punta Pizzo non è un’area marina protetta del Salento. Lo è Porto Cesareo. Bisogna chiedere [la mappa del Parco Regionale Isola di Sant’Andrea] al comune di Gallipoli”. Saluti. (G.V.)