I rimasti

Attilio Pusterla, Alle cucine economiche di Porta Nuova, 1885

di Luigi Scorrano

Finito di percorrere un lungo corridoio, l’uomo si ferma davanti ad una porta aperta: un varco da un vuoto ad un altro vuoto. Quest’immagine gli attraversa la mente quando spinge lo sguardo nel vano intravisto di un grande freddo stanzone. L’ambiente è un vasto refettorio in grado di contenere gli ospiti del luogo sia nel tempo in cui vengono serviti loro i pasti quotidiani, sia in quello che li riunisce tutti insieme per una malinconica forma di intrattenimento. L’uomo che si affaccia per una rapida visita al loro mondo quotidiano da principio non scorge nessuno: i raggi del sole al tramonto di una giornata fredda e serena penetrando da una finestra gli hanno impedito di mettere bene a fuoco le immagini catturate da una veloce ricognizione.

Si accosta alla soglia, passa nel refettorio. Vi regna un gelido ordine che, con la semplice disposizione di mobili e poche altre suppellettili, sembra respingere qualsiasi visitatore. I banchi sono tutti al loro posto, pulitissimi; sui sedili sono distese coperture di lana per attenuare l’impatto dei corpi con il legno freddo. Una grande stufa di maiolica, chi sa da quanti anni installata, non basta a intiepidire l’aria. Uno degli ospiti (che ora l’uomo vede) vi si attacca alla ricerca di un poco di calore.  Infagottato nel suo povero abito si sforza di aderire il più possibile a quell’oggetto così mostruosamente ingombrante e così inutile. Non sembra che dal contatto con esso tragga qualche beneficio; si accontenta, chi sa! di ricreare con l’immaginazione un filo di calore negato dalla realtà. Forse vuole solo reggersi un poco in piedi e si tiene stretto alla stufa per evitare di cadere. In un banco alle sue spalle, un altro dei ‘ricoverati’ (così vengono indicati gli ospiti accolti in quella struttura) dormicchia difendendo la miseria del suo corpo patito in una lisa giacca da camera che in quel soggiorno conosce soprattutto i pungenti rigori degli inverni non i dolci risvegli delle primavere. Il berretto, coordinato alla giacca (un residuo di vanità da bei tempi!) è calato sulla faccia a escludere ogni possibilità di vedere quello che c’è intorno. Una ricerca di isolamento dentro il quale maturano pensieri oscuri. Dorme sotto la saracinesca chiusa del suo berretto, dorme rimemorando nel sonno giorni felici e scoppi d’allegria? Il visitatore non glielo chiederà: cercherà di capirlo.

Visto dalla soglia, lo stanzone, con i suoi banchi disposti secondo uno studiato ordine geometrico, si articola come un labirinto nel quale ci si aggiri smarriti senza più alcuna possibilità di ritrovare il varco dell’uscita, il passaggio da questa prigione alla libertà. Al centro del labirinto un altro ospite sembra giocare con un bicchiere; indossa panni che gli devono assicurare un giusto calore. Al visitatore appare il più attivo degli ospiti dello stanzone: l’unico veramente vivo in quel luogo in cui i banchi, nell’ordine in cui sono disposti e per la forma che svelano all’osservatore, si direbbero un’accolta di bare. Le pareti nude, grigie. Il raggio del sole al tramonto va diventando grigio anch’esso: il suo pallido oro in disfacimento. Come le vite di quegli ‘ospiti’. Un altro di questi dorme con la testa appoggiata sul tavolo. L’ultimo, in fondo, il busto sollevato a metà, con una mano si regge la testa, l’altra mano posa abbandonatamene sul banco.

Sono solo cinque, gli ospiti; e oggi è Natale, e loro sono qui: soli. Nessuno che sia venuto a trovarli, a portare loro un dolcetto! E nel labirinto nessuno ha pensato di innalzare un albero di Natale anche povero, anche solo con qualche stellina di stagnola appesa ai rami, con qualche angioletto di carta da far volare nel cielo di un presepio della memoria, non il gridio festoso dei nipotini…

C’è, nel labirinto, un silenzio quasi minaccioso. Si attende forse qualcuno oltre quel visitatore curioso di indagare che Natale passano quelli che non sono stati accolti in casa di parenti e sono rimasti a testimoniare un’inguaribile solitudine? Oggi è Natale, l’ospizio (così ancora lo designano) è freddo; nessuno è venuto a chiedere il loro rilascio per quella giornata almeno; figli e nipoti hanno case accoglienti ma non possono portarceli perché per la giornata hanno impegni con gli amici e non sanno dove potrebbero collocare questi parenti scomodi che si ostinano a sopravvivere. Il visitatore pensa che avrebbe, lui, potuto portare un piccolo dono, ma non era nei suoi programmi. Ha altri compiti, lui! Vede l’uomo attaccato alla stufa improvvisamente discostarsene, come investito da un eccesso di calore che richieda un poco di sosta. L’uomo seduto alle sue spalle rialza la berretta sulla fronte e si guarda intorno un poco stupito, come facesse fatica a riconoscere quel luogo che da molto tempo dovrebbe essergli ben noto. Ma è sveglio, e questo pare dargli conforto. L’ospite al centro del labirinto è molto impegnato a rovistare nel suo bicchiere. Ci sono dentro dei semi, o delle briciole di pane. L’uomo regge con la sinistra il bicchiere; chiude le dita della destra quasi a simulare il becco di un uccello e spinge il becco immaginario alla cattura di quei semi, di quelle briciole; e intanto si direbbe che parli. Cinguetta, come un passero felice che abbia scoperto il cibo per la sua cena. Tutto sembra animarsi; il freddo s’attenua; l’uomo che dormiva con la testa sul banco la solleva e si guarda intorno ancora un poco frastornato dal sonno; l’altro ospite si raddrizza sul busto, si passa le mani sulla faccia.

Sono solo in cinque; nessuno ha avuto la possibilità di fuggire dal labirinto almeno per un’ora. Il visitatore indugia studiandoli attentamente. Appaiono tutti animati da una gran voglia di uscire, di ripercorrere i luoghi dove trascorsero un Natale felice, dove risposero con un sorriso al sorriso di una ragazza, dove insegnarono ai nipotini a conquistarsi i primi incerti passi. Ora tutti i cinque si agitano straordinariamente animati. Il visitatore li guarda con uno sguardo di strana pietà. Vede l’uomo della stufa distendersi su uno dei tavoli, congiungere le mani sul corpo come si fa con i morti. Lo guarda a lungo; si accerta di quello che è accaduto. Sì, è… A Natale il suo tempo è scaduto. L’uomo al centro del labirinto cinguetta felice andando a caccia di semi o di briciole, e il suo cinguettio imita una voce d’angelo di carta che venga da un Natale lontano, un Natale bambino. E i semi e le briciole diventano luminosi in fondo al bicchiere; e l’uomo becca piccole lucide stelle.

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