Non si sa dove, non si sa quando, Alice tese la mano e l’afferrò, per una zampa che non era una zampa. Afferrò quella specie di ragnetto a forma di H che ballonzolava intorno al sasso, come qualcuno che si è perso e, sfiancato, cerca di appoggiarsi a una parete ma non trova il punto comodo. Lo prese in mano e lo accarezzò. Il ragnetto si mise a ruotare velocemente su di sé, poi schizzò via con un sibilo d’aspirazione. Alice avrebbe voluto inseguirlo ma non era possibile. Infatti, come aveva provato a muoversi, era arrivato un tonante NOOOOO!
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E pensare che era stata una giornata tranquilla come le altre. Aveva giocato a Orientino con zia Molly. Poi lo zio Dogson l’aveva presa per mano e si erano seduti sulla solita panchina in riva al lago. Voleva leggerle una cosa: una pagina scritta da un antico romano, un certo Cicerone, che lo zio pronunciava Kikerone, per forza tanto tempo fa se era antico. Era una pagina che invitava a riflettere sull’incertezza. Evidentemente lo zio era convinto che quella lettura sarebbe servita ad Alice. Un vento improvviso l’aveva interrotto e così la riflessione e il beneficio atteso non ci sarebbero stati. Scorgendo quei nuvoloni neri in arrivo, zio Dogson si era alzato di scatto ed era corso a chiudere le finestre di casa. “Svelta, Alice, vieni dentro!”, ma quei nuvoloni in arrivo erano uno spettacolo. Abbassando lo sguardo, si era fermata a osservare le increspature dell’acqua provocate dal vento. Poi sentì il bisogno di sgranchirsi le gambe prima di rientrare. Così si mise a saltellare cantando una canzoncina sui fiori, attenta a non calpestarne nessuno.
In un attimo cominciò a piovere, con divina accuratezza, quasi che ogni punto del cielo avesse voluto toccare un punto della terra attraverso a un sottilissimo filo, un filo guidato da una goccia d’acqua. Quando già pioveva sul bagnato, Alice si accorse che il suo vestitino, da azzurro, si era fatto grigio scuro, inzuppato com’era, e si decise finalmente a mettersi al riparo. Salì in camera e si asciugò i capelli. Mentre pensava a quale vestitino asciutto mettersi si fermò davanti allo specchio. “Accidenti!”, il giorno prima se li era portati tutti con sé per farli vedere alla regina, alla regina di cuori nel paese delle meraviglie e poi si era dimenticata di riprenderli. Bisognava riattraversare subito lo specchio. La voce di zia Molly che da sotto la invitava a cambiarsi in fretta e a scendere per la cena non bastò a fermarla. “Sarà questione di un attimo, tornerò in tempo per l’ora di cena”, disse fra sé. Detto, fatto, Alice attraversò di corsa lo specchio.
Uno specchio da attraversare: difficile da credersi, vero? E un normale specchio? Nessuno ci fa caso, ma per Alice è straordinario quanto quello che attraversa.
Perché le giornate piatte non le si addicono. È così che lo zio le dice e le ridice, con una punta d’ironia. L’ultima volta Alice ha scosso le spalle e ha replicato: “Potrei sapere come fa una giornata a essere piatta? Non è mica un foglio!” – ecco, era stato proprio questo pensiero a passarle per la testa mentre riattraversava lo specchio. Il temporale avrebbe dovuto cambiare un’impossibile piattezza in qualcosa di …? Rotondo? Puntuto? Schiumoso come la birra? Ma cos’è una giornata rotonda? Fatto sta che quella giornata si fece davvero strampalata come poche. Alice non poteva ancora saperlo, ma sarebbe stata “questione di poco”.
Che era successo? Perché, attraversando lo specchio, non era tornata in quel paese che ormai conosceva come le sue tasche? Che strano posto! Dov’era capitata? E quel ragnetto che le era finito in mano: che cos’era veramente?
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Non appena Alice aveva provato a scendere dal sasso era arrivato un tonante NOOOOO. La cosa, che poi non era una cosa, meritava un’attenta riflessione, anzi, più di una. Sì, sì, era opportuno, com’è tutto quel che non si può evitare. “Innanzitutto, è opportuno prestare attenzione a ogni dettaglio. Anzi, è necessario, se voglio capire cos’è andato storto, e di sicuro lo voglio”.
Già. Come aveva fatto a finire lì, cosa ci faceva accovacciata su una roccia rossastra, di forma sferica, dalla quale, non si sa per quale ragione, non le era consentito di muoversi?
Cominciamo a dire che per Alice non era una roccia, ma una palla, anche se non rimbalzava e anche se lei avrebbe fatto meglio a pensare che non era una palla, perché aveva tante minuscole facce levigate. Però, in grande, la forma era più o meno sferica e così avrebbe potuto dire che era una quasi-palla. Palla o quasi-palla, l’avevano colorata davvero bene, perché la tinta cinabrese era uniforme, salvo, ovviamente, le facce su cui poteva piovere e lì, infatti, il cinabrese era sbiadito, lasciando affiorare un grigio scuro, ma tanto tanto, quasi nero. Proprio per questa ragione le facce lavate dalla pioggia si potevano usare, certo quando non pioveva, per scriverci sopra qualcosa con un gessetto. Il gessetto, purtroppo, Alice non se l’era portato. Quella quasi-palla, allora, a cosa serviva?
Comunque, per Alice era una palla, non una quasi-palla. Non c’è da stupirsi di questo: ne aveva la forma, no?, s’intende se non era guardata troppo da vicino.
“Però … le rocce non sono adatte per scrivere. Allora quest’affare non può essere una roccia. Neanche le palle sono adatte per scriverci sopra, invece, almeno su queste piccole facce scure si può, proprio come sulla lavagna della scuola. No, le lavagne non sono fatte per starci sopra, né in piedi né a sedere”.
Alice era seduta su una rete di tante piccole lavagne, ma così piccole che su ogni faccia ci stava al massimo una lettera.
Non c’è neppure da stupirsi se era un po’ confusa.
“Le cose non sono sempre messe nel modo giusto per funzionare. Se rovescio il bicchiere quando zia Molly mi dà da bere, l’acqua non resta dentro al bicchiere, se lo capovolgo sul tavolo. Ovviamente, non lo faccio. Lo so che non ci resta dentro. È successo, ma per sbaglio, non che volessi rovesciarlo. Se invece rovescio un bicchiere pieno di sabbia, la sabbia, più o meno, resta lì, si forma un piccolo cono e, se sono stata veloce a rovesciare il bicchiere e lo tengo premuto sul tavolo, il cono di sabbia resta quasi tutto dentro al bicchiere. Forse chi ha versato questa palla qui si è dimenticato di rimetterla nel bicchiere. Però le cose si possono anche spianare. Le lavagne non nascono mica bell’e fatte. Zia Molly è la migliore maestra del mondo. Ha insegnato per tanti anni, e dev’essersi stancata tanto, perché le hanno detto che si ritirasse, per dormire un po’ s’intende, ma brava com’è, anche lei si sarà fatta aiutare dallo zio per spianare delle palle come questa. Siccome era stata tanto brava, prima che si ritirasse le hanno regalato quella lastra nera dove appoggia i vasi dei fiori. Quella grande, davanti alla finestra di cucina. Tutta divisa in quadretti. Però per scriverci più comodi va alzata … ovviamente dopo aver tolto i vasi dei fiori, se no si rompono. Oh sì, adesso capisco, sono finita proprio su una lavagna! È vero, io non sono un gessetto, ma che c’entra? Qualche volta, zia Molly mi ha tirata su e mi ha appoggiata sulla lavagna e per aiutarla a ricordarsi di qualcosa mi ha anche chiesto di scriverci sopra, per esempio il nome di un ingrediente che le manca per qualche dolce. Non mi ha mai detto di scrivere su una roccia, anzi mi ha detto di non scrivere sui sassi, e i sassi sono rocce, perciò una lavagna a forma di palla non può essere una roccia”.
Come tutti i bambini sanno, Alice ragiona in questo modo. Un modo che ai grandi sembra un po’ contorto. Può non piacere, a chi si è abituato alla piattezza, ma Alice è una bambina, non si è ancora abituata e merita di esser presa sul serio, no? Allora, di fronte al problema roccia o non roccia, conviene cercare una soluzione ragionevole. Quale? Quella di considerare la cosa su cui era seduta Alice come una palla di una roccia davvero speciale, perché fatta di ardesia, che è quello stesso materiale di cui sono fatte le lavagne. Curiosamente, Alice arrivò alla stessa soluzione quando si accorse che bastava fare un’ipotesi, cioè, bastava supporre che quel materiale, l’ardesia, fosse una roccia.
Alice si ricordò di una cosa che zia Molly le aveva detto il giorno prima.
“Ogni volta che ti trovi in una situazione che non capisci o c’è qualcosa che ti preoccupa, prova a elencare tutti i particolari, anche quelli che diresti che non contano, insomma tutti i piccoli fatti che entrano in gioco e tutte le relazioni tra loro, e ti sentirai subito meglio”.
Alice non ci credeva e comunque non credeva di riuscirci, ma ora decise di seguire il suggerimento per capire dov’era capitata. Alla fine, avrebbe risolto questo problema e ne sarebbe stata fiera – o meglio: così si sarebbe espressa la zia.
Già, ma decidere di fare qualcosa non è farlo. C’era un bell’esercizio davanti a lei e Alice non si tirava mai indietro, e poi, anche se non fosse servito a capire tutto, l’impegno richiesto l’avrebbe occupata. Così cominciò a fare l’elenco dei piccoli fatti. Poi sarebbe passata alle relazioni tra un piccolo fatto e un altro provando a trovarci una logica, se c’era.
“Be’, certo che c’è, niente succede senza una ragione e anche se io non so qual è, c’è sempre lo zio che la trova. Ma zio Dogson chissà dov’è adesso … Anche questa volta, come al solito, dovrò sbrigarmela da sola. Intanto penserò a fare un elenco completo … Oh, guarda, quanti fogli per terra. Sembrano essere lì apposta per essermi utili”.
Senza muoversi dal sassone, Alice allungò la mano provando a prenderne uno.
“Accidenti, questo non si stacca! Neanche quest’altro. Un attimo, non sembra che siano caduti per sbaglio o siano stati dimenticati da qualcuno. Sono messi con ordine. Appiccicati bene l’uno all’altro. Come una rete per pescare che non finisce mai. Sì, potrei farci un buco per strapparne almeno un pezzetto. No, non si fa. È vero che, quando il laghetto ghiaccia d’inverno e lo zio vuole pescare, ci fa un buco, ma non fa mai un buco nella sua rete e poi qui non c’è ghiaccio e, sotto, tanta acqua. Qui, sotto al foglio c’è solo terra, spero, e nella terra non si pesca perché non ci sono pesci. Va bene, ci rinuncio, tanto non ho una penna. Posso fare l’elenco anche a mente. Ci vorrà un po’ di tempo in più. Del resto non ho altro da fare”.
Di tempo, ce n’era poco. E anche se ce ne fosse stato di più quell’elenco … no, non c’era modo di completarlo. Alice, per fortuna, non lo sapeva, a beneficio di un quanto mai utile esercizio. Infatti, Alice non sapeva che lì intorno la situazione stava peggiorando rapidamente. Di lì a poco si sarebbe vista costretta a prestare attenzione, tutta l’attenzione possibile, non a quell’elenco ma a una serie di fatti che le stavano per piovere addosso come un temporale. Niente più lista di tanti piccoli fatti, niente più lista delle loro relazioni. In un attimo se ne accorse da sé.
(continua)