di Giuseppe Spedicato
A differenza di quanto pensano in molti, il mondo islamico si è sempre battuto per la libertà ed il cambiamento, siamo noi a non averlo notato. Probabilmente non ci conveniva neanche notarlo. Purtroppo, in molti paesi islamici i tentativi di cambiamento spesso sono stati repressi nel sangue e non pochi intellettuali hanno pagato con la loro vita perché imputati di libertà e giustizia. Uno di questi è stato il grande Mahmoud Mohamed Taha, fondatore dei “Fratelli Repubblicani”.
“Io ho ripetutamente dichiarato quale era la mia opinione, e cioè che le leggi cosiddette islamiche del settembre 1983 (data in cui il Presidente sudanese Nimeiry impose a tutto il paese l’applicazione della shari’a) violano la shari’a islamica e l’Islam stesso e lo rendono ripugnante. In più, queste leggi sono state emanate ed utilizzate per terrorizzare il popolo ed umiliarlo fino alla sottomissione. Queste leggi, poi, mettono a repentaglio l’unità nazionale del paese (con la discriminazione nei confronti dei cittadini non musulmani, circa un terzo della popolazione). Queste sono le mie obiezioni dal punto di vista teorico. A livello pratico, i giudici che applicano queste leggi mancano dei necessari requisiti tecnici. Essi, poi, dal punto di vista morale, non sono riusciti a resistere, ponendosi sotto il controllo delle autorità esecutive, che li hanno sfruttati nel violare i diritti dei cittadini, umiliare il popolo, distorcere l’Islam, insultare l’intelletto e gli intellettuali, ed umiliando gli oppositori politici. Per tutti questi motivi, io non sono disposto a cooperare con alcun tribunale che ha tradito l’indipendenza della magistratura e permesso a se stesso di essere uno strumento per umiliare il popolo, insultare il libero pensiero e perseguire gli oppositori politici”.
Con questa dichiarazione Mahmoud Mohamed Taha decise di boicottare il procedimento giudiziario che lo vedeva imputato di apostasia, ma contribuì anche a decretare la sua condanna a morte. Fu giustiziato, per impiccagione, il 18 gennaio 1985.
Mahmud Taha non fu giustiziato solo perché si opponeva all’applicazione della shari’a in Sudan, ma anche per il suo pensiero religioso che è conosciuto come: “la seconda missione dell’Islam”.
A suo parere, è di fondamentale importanza differenziare in due periodi la predicazione del Profeta Maometto: quello della Mecca e quello di Medina. Il primo periodo è quello della pura missione religiosa in cui il Profeta proclama le grandi verità della fede e della morale, senza alcuna legislazione giuridica particolareggiata. Nel secondo periodo, quello di Medina, il Profeta assume il ruolo di capo politico della comunità islamica. Ovviamente durante questo secondo periodo prevale la funzione legislativa, considerata da Mahmud Taha come una concretizzazione storica dell’Islam, adattata alle circostanze ed alla situazione della società araba beduina del VII secolo. Per tale ragione il Taha ritiene che tale legislazione non può rimanere immutata nei secoli, richiede invece dei continui adattamenti per renderla coerente con il continuo sviluppo della società. Mahmud Taha invita quindi al ritorno all’Islam delle origini, quello meccano, per riprendere il vero messaggio dell’Islam liberandolo dalla pesante ed asfissiante legislazione medinese (che nei secoli è stata ulteriormente gravata dall’enorme accumularsi delle elaborazioni giuridiche fatte dai giuristi musulmani). Solo così, riteneva il Taha, l’Islam può entrare nel tempo moderno e prendere parte attiva alla costruzione della civiltà umana in collaborazione con le altre religioni.
“I musulmani dicono che la shari’a musulmana è una shari’a perfetta, ed è vero. Ma la sua perfezione risiede proprio nella sua capacità di evolversi e di integrare tutte le forze vive dei singoli individui e della collettività e di orientare la loro esistenza sulla via di un continuo progresso, in funzione della vitalità e del rinnovamento che ha saputo cogliere l’esistenza individuale e collettiva. I musulmani reagiscono quando ci sentono parlare della necessità di far evolvere la shari’a, e dicono: ‘la shari’a islamica è perfetta, e dunque non ha bisogno di evolversi, poiché solo le cose manchevoli evolvono’. In realtà, è esattamente il contrario; solo ciò che è perfetto sa evolversi. I perfetti hanno per ideale di modellarsi su ciò che Dio ha detto di se stesso: ‘ogni giorno Egli lavora a opera nuova’ (C. 55:29)”.