di Antonio Errico
Due pensieri: che si potrebbero sospettare divergenti e invece si ritrovano nell’affermazione della priorità dell’essere, nella prevalenza, su ogni cosa, dell’umano, della fragilità ma anche della sorprendente, vertiginosa bellezza dell’umano. S’incontrano nella ricerca di una rivelazione di significati, profondi, essenziali, che richiamano l’essere, l’esistere, il senso del principio e della fine.
Due esempi: un religioso, un chimico.
Gianfranco Ravasi, teologo, biblista, presidente del Pontifico Consiglio della Cultura, dice che fra spiritualità e razionalità tra fede e scienza, può instaurarsi una tensione creativa. Ricorda quello che diceva Giovanni Paolo II: la scienza purifica la religione dalla superstizione e la religione purifica la scienza dall’idolatria e dai falsi assoluti.
Vincenzo Balzano, chimico, professore emerito all’università di Bologna, alla domanda se crede in Dio, risponde di sì e non ritiene che ci sia una contraddizione con il suo lavoro di scienziato.
La scienza dà risposte sul come non sui perché, dice. Si può pensare che l’universo sia nato dal Big Bang che diventa energia, materia e infine vita umana. Si possono ritenere ineccepibili tutti i passaggi dell’evoluzione. Ma cosa c’era prima del Big Bang? Se si deve considerare che noi siamo il frutto di un giorno senza ieri, allora uno scienziato può tranquillamente credere in Dio.
Una questione antica, che al tempo del terzo millennio dovrebbe essere già risolta. Invece esiste un residuo pseudoideologico secondo il quale uno scienziato non potrebbe credere nell’oltre, nell’altrove, in un pensiero superiore al pensiero umano e da esso inconcepibile, non dovrebbe accettare lo stupore nei confronti dei fenomeni e delle espressioni del mondo. Dovrebbe considerare soltanto quello che è razionale, comprensibile, dimostrabile. Ma forse è l’esatto contrario, per il fatto che se esiste qualcosa cui si dà il nome di Dio, o caso o caos, a quel qualcosa lo scienziato è probabilmente più vicino e quindi ci può, o deve, credere di più. Lo scienziato sa perfettamente che la scienza non ha spiegato tutto e probabilmente non riuscirà a spiegarlo mai, che ci sarà sempre qualcosa di incomprensibile, di indimostrabile. Un mistero che provoca e sfida ogni intelligenza. Mi pare che sia stato un signore di nome Albert Einstein a dire che colui che non ammette l’insondabile mistero non può essere neanche uno scienziato.
La scienza, la fede, l’arte, sono modalità con cui si guarda l’universo che si vede o non si vede per tentare di capire quale sia la materia che lo compone, in che modo sia composto, che cosa c’era prima e prima ancora, che cosa ci sarà dopo e dopo ancora. In realtà sono più le domande che pongono che le risposte che danno. Ma sono proprio le domande che costituiscono un elemento di attrazione. Le domande sull’elemento mancante, sulla maglia nella rete che non si riesce a rintracciare, sull’anello della catena che pare mancante ma che forse è soltanto nascosto da qualche parte perché qualcuno cerchi di scoprire dov’è nascosto.
La fede dice: esiste. La scienza dice: per adesso sospetto che esista, poi vi faccio sapere perché, da quando, fin quando esisterà. A volte – spesso- tra le due posizioni si intromette la letteratura, a complicare il gioco: afferma, nega, concilia, rilancia domande, insinua reticenze, scaraventa dubbi ammaccando le pareti delle certezze.
Riportavo all’inizio l’affermazione di un chimico. Ora mi viene in mente una canzone di Fabrizio De’ Andre, una di quelle straordinarie riscritture di alcune poesie dell’ “Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters, che s’intitola “Il chimico”, quei versi che dicono: “Da chimico un giorno avevo il potere/ di sposar gli elementi e di farli reagine,/ ma gli uomini mai mi riuscì di capire/ perché si combinassero attraverso l’amore,/ affidando ad un gioco la gioia e il dolore”.
Prima aveva detto “Ma guardate l’idrogeno tacere nel mare/ guardate l’ossigeno al suo fianco dormire:/ soltanto una legge che io riesco a capire/ ha potuto sposarli senza farli scoppiare”.
Già. Quella legge chimica lui la conosceva. La legge dell’amore, invece no. Com’è che gli uomini si combinino attraverso l’amore, lui non sa capirlo, forse non può.
Un uomo guarda il mondo a seconda dei bisogni, delle stagioni che vive, delle esperienze che si ritrova addosso, delle storie che lo coinvolgono, dei fatti che gli accadono, del sentimento che prevale in un momento. Non lo guarda sempre allo stesso modo. Può guardarlo con felicità, con disperazione, con sollievo, con rabbia, con il disincanto della razionalità, con l’incanto dell’immaginazione. Certamente ci sono situazioni in cui uno scienziato pensa il verso di una poesia o si fa il segno della croce. Ci sono situazioni in cui un poeta recupera le sue incerte conoscenze di chimica per spiegarsi cosa c’è in una pillola. Ci sono situazioni in cui chi crede che l’universo sia stato creato da un fiat di Dio, riflette sulle scoperte della fisica per confermare quello in cui crede o per farsi lacerare dal sospetto che quello in cui crede sia vero solo in parte o che sia per nulla vero.
Ma la grazia, quasi incredibile, del pensiero, sta nella sua possibilità di seguire percorsi diversi, a volte apparentemente inconciliabili, di annodare emozioni, percezioni, sentimenti, conoscenze, competenze di diversa natura e diversa provenienza, nel combinare contraddizioni senza trasformarle in conflitti. Si può essere uomo di fede, uomo di scienza, uomo di poesia allo stesso tempo, semplicemente perché si è uomini. Non c’è nessuna contraddizione. Ma se ci fosse, allora si potrebbe anche giustificare con l’affermazione, umile e vanitosa, dell’essere uomini.
Il chimico di Fabrizio De André non riesce a capire perché gli uomini si combinano attraverso l’amore. Nessun chimico, nessun fisico, nessun sacerdote di nessuna religione, nessun filosofo, nessun poeta è riuscito finora a capirlo, né è riuscito a capire perché gli uomini si scombinano con l’odio, con la battaglia. Ecco, l’umano costituisce uno dei più grandi misteri dell’universo. Forse il più grande.
Ogni scienza, ogni fede, ogni poesia si ritrovano a confrontarsi e a fare i conti con la meraviglia di questo mistero. In ogni tempo. In ogni luogo. Non saprei dire, nessuno potrebbe dire, se ci sarà una volta in cui il mistero sarà risolto. Ma se dovesse essere risolto, con molta probabilità la nostra relazione con gli altri e con noi stessi, la nostra stessa esistenza potrebbe diventare molto noiosa.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 16 luglio 2017]