Un’idea di città 4. Giovanni Invitto

Vanessa Katrin, Strada di città

di Giovanni Invitto

Quando ho pensato di scrivere un testo sulla città, la prima cosa che ho fatto è stata di entrare nel programma Google per cogliere notizie ecc. Ebbene, le mie idee si sono complicate ulteriormente perché ognuno di noi sa cos’è la città, ma c’è anche un discorso di nomenclatura che imbroglia un po’ le idee. Per avere qualche informazione di massima, ho letto la Costituzione italiana, ma questo testo parla solo di città metropolitane su cui ancora si sta discutendo. Pare che attualmente, in Italia, non superino il numero di dieci. Il testo costituzionale parla invece dei Comuni che sono entità amministrative. A questo punto le mie riflessioni vanno oltre la normativa e, in maniera molto empirica, cercano di dare un quadro, molto personale, delle città come le viviamo e come le pensiamo noi.

La prima cosa che il nostro linguaggio prevede è la differenza fra la città, che può avere della frazioni, il paese e il villaggio. Inutile dire che il significato che diamo oggi a queste realtà pubbliche è puramente provvisorio. Quindi Comune può essere una città o può non esserlo: dipende dal riconoscimento ufficiale, oggi emesso dallo Stato e nei secoli precedenti da chi governava quel territorio. In provincia di Lecce abbiamo una ventina di insediamenti riconosciuti come città. Ma, a dire il vero, l’aspetto giuridico e amministrativo interessa poco. Interessa molto di più la dimensione umana. Infatti, se il termine “città” deriva da “civitas” e questo termine, a sua volta, proviene da “civilitas” cioè  civiltà, il nostro discorso cambia.

La città, ogni città è sede e testimone di una particolare civiltà che, pur inquadrandosi in un territorio ampio, pensiamo al Salento, possiede una propria storia e una cultura specifica. Cultura che è anche rapporto tra soggetti, famiglie, istituzioni politiche, religiose, culturali, economiche e produttive all’interno della comunità cittadina che rimane unica. Da queste peculiarità derivano anche le caratterizzazioni, gli scherzi dei soprannomi dei cittadini delle singole città: i leccesi “mangiacani”, i galatinesi “carzi larghi”, ma anche “cuccuasci” e così via. È interessante sapere il perché di questi soprannomi e sicuramente ci sono già molti scritti in tal senso. A parte questo aspetto folkloristico, la città è una comunità articolata che si riconosce nella sua unità. Ci sono, tra l’altro, momenti e spazi di identificazione, dalle feste patronali alle zone nelle quali è maggiore la circolazione dei cittadini. Per Lecce prima era Piazza S. Oronzo oggi piazza Mazzini, per Galatina la piazza con la “Pupa” di Gaetano Martinez e così via. Gli studiosi della storia di Galatina ci dicono che il titolo messo dall’autore era “Lampada senza luce” e che probabilmente potrebbe contenere un segnale antifascista dato dalle teste schiacciate sotto i piedi della donna.

Non dimentichiamo, inoltre, che oggi una delle più forti identificazioni è con la squadra di calcio che rappresenta la città, e con i suoi colori. Purtroppo, talvolta questa identificazione scade nel fanatismo e nella violenza, contraddicendo di fatto il senso della città che, come si è detto, segna la civiltà di un gruppo umano che è l’opposto della violenza. La vera cultura cittadina non è la cultura della forza e dell’arroganza ma è quella della solidarietà, della collaborazione, del dialogo tra entità territoriali.

Nelle città, soprattutto in quelle che non sono città metropolitane dove l’aggregazione è più problematica, abbiamo anche una circolazione di gruppi che si riconoscono, che si uniscono in associazioni di vario tipo, che creano momenti e situazioni di compartecipazione, che sono pronti ad atti e progetti di solidarietà con coloro, singoli o gruppi, che hanno bisogno di sostegno e di gesti umani.

La città si qualifica anche per le istituzioni come il Consiglio Comunale, l’apparato scolastico, i servizi sanitari relativi e adeguati alla dimensione della comunità. E questo vuol dire che ogni singolo cittadino ha il dovere-diritto di interessarsi a tutte queste realtà e, per quanto possibile e per quanto di competenza, deve contribuire con valutazioni, suggerimenti e, perché no, anche con segnalazione di inadempienze o di insufficienze operative. È evidente che il punto più forte di partecipazione dei cittadini è certamente quando scelgono chi li deve rappresentare nelle varie istituzioni pubbliche, dal Consiglio di quartiere al Parlamento. Non basta, però, esprimere le proprie preferenze nelle scadenze elettorali per dire che si partecipa alla vita cittadina, bisogna essere sempre attenti a ciò che avviene o che dovrebbe avvenire e non avviene nelle singole realtà civiche. Certo oramai, per fortuna, crescono di numero e di qualità le realtà associative, gli incontri pubblici, i fogli periodici locali che spesso vanno oltre lo spazio cittadino e affrontano i temi del circondario che può comprendere non solo le frazioni ma anche i Comuni limitrofi.

Speriamo di vedere nel tempo realizzato uno dei miti del filosofo Platone: la città ideale in cui ognuno aveva un ruolo e si sceglieva il governante sulla base della sua saggezza e della sua preparazione e non delle risorse economiche e delle sue promesse. Importante, soprattutto, il tempo nel quale il saggio governava, che era fissato e non poteva essere rinnovato. Ma non a caso, il pensiero politico di Platone va ancora, dopo millenni, sotto il nome di utopia. Cioè: luogo che non esiste. Ci dobbiamo rassegnare?

(2014)

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