di Giovanna Rotondi Terminiello
Oltre e più della presentazione di un libro, questa manifestazione culturale voluta dal Comune di Galatina rappresenta un momento di ricordo intenso, e insieme affettuoso, di un vostro illustre concittadino della cui creatività artistica questa vostra terra è stata nel corso di tutta la sua vita testimone e fonte vivissima di ispirazione.
Ma prima di riconoscere insieme a voi, nella sua opera, i segni distintivi di una personalità forgiata da un itinerario formativo che certamente ha contribuito a fargli raggiungere originali traguardi di rinnovamento dal punto di vista tecnico ed inventivo, prima di riconoscere tali segni voglio dirvi come mi onora e che cosa significhi per me trovarmi oggi in terra di Puglia a parlarvi di Luigi Mariano a distanza di 33 primavere dalla inaugurazione della mostra delle sue opere promossa dall’Amministrazione provinciale di Lecce e presentata da mio padre Pasquale Rotondi.
Eravamo nell’aprile 1981 ed erano ancora in vita sia Mariano sia Rotondi che, non coetanei (mio padre era più vecchio di 12 anni), erano tuttavia legati da un’amicizia teneramente paritaria, nata a Urbino nei primi anni quaranta del Novecento, quando entrambi vi risiedevano: Rotondi nel ruolo di soprintendente alle gallerie delle Marche e presidente di quell’Istituto d’Arte e d’Illustrazione del Libro che Mariano aveva frequentato fin dalla fanciullezza e dove, una volta diplomato, insegnerà fino a quando l’armistizio dell’8 settembre 1943 lo farà rientrare in patria, a Galatina, dividendolo per sempre da quello che lo stesso artista chiama “silenzio operoso” della città dei duchi di Montefeltro e dalla presenza viva delle amicizie urbinati con Francesco Carnevali, Mario Delitala, Leonardo Castellani e Pasquale Rotondi, viso luminoso e oratore combattivo (così lo descrive testualmente Luigi Mariano).
Passano da allora circa 30 anni. I due si erano persi di vista (nell’elenco degli amici a cui venne inviato, nel 1963, la mia partecipazione di nozze ho cercato invano il nome dei Mariano!) finchè, entrambi in età ormai matura, si ritrovano. Non conosco la dinamica del loro riavvicinamento avvenuto in anni in cui io non risiedevo più a Roma -ove i miei vivevano- per cui avevo perso dimestichezza con la loro quotidianità. In ogni caso dovevamo essere intorno al 1967/68: risale infatti a quegli anni l’incontro d’amicizia, su presentazione di Mariano, tra mio padre e il prof. Donato Moro, un altro vostro illustre concittadino allora pendolare per ragioni di lavoro e di studio tra Galatina e la capitale. Inoltre risulta pubblicata nel 1969, sulla rivista “Le Arti”, una nota critica su Luigi Mariano a firma di mio padre.
Sta di fatto che l’antica amicizia si riaccende e in breve divampa con forza determinando l’entusiastico coinvolgimento di Rotondi alla mostra di Lecce, la presenza affettuosa di tutta la famiglia Mariano alla cerimonia di conferimento a mio padre della cittadinanza onoraria di Urbino, nel1986, e, come sorprendente esito postumo della loro amicizia, l’incontro tra noi figli Paolo Maria e me, provocato in verità da lui e sfociato in una solidarietà di collaborazione così salda, in unità di intenti, da renderci complici nella presente iniziativa editoriale di cui il merito primario va a Paolo, regista e promotore del libro, mentre io mi sono limitata a svolgere una sentita azione di sostegno, animata dalla profonda consapevolezza dell’universalità, nell’innovazione, del messaggio artistico di Luigi Mariano. Un’arte, la sua, i cui esiti di originalità non hanno ancora avuto il giusto riconoscimento nel panorama artistico italiano del Novecento, per cui Paolo ed io affidiamo al libro tale compito, invitando le autorità locali ad impegnarsi nella sua diffusione ad ampio raggio. È tra l’altro assurdo, infatti, che il nuovo procedimento pittorico inaugurato all’alba degli anni settanta da Mariano, chiamato nel 1981 da mio padre e da Donato Moro con termine nuovo xilopittura, non sia ancora citato nei manuali di tecnica artistica malgrado il tempo trascorso dalla sua invenzione. Sembrerebbe infatti che l’essere vissuto lontano dai mercati dell’arte, operando per di più in luoghi decentrati – il Montefeltro, nell’età della formazione scolastica, la Magna Grecia per tutto il resto della vita – abbia nuociuto e continui a nuocere alla visibilità di Luigi Mariano, visibilità a cui peraltro egli teneva poco per una riservatezza di carattere che lo rendeva schivo ad ogni forma di pubblicizzazione mediatica e, quindi, di mercificazione del proprio lavoro. È emblematico, a proposito della propensione a chiudersi in se stesso, quanto egli scrive su un suo tentativo di perfezionarsi frequentando la scuola di pittura dell’Accademia di Roma, che invece abbandonò dopo pochi giorni per rientrare “nel suo paese” con la ferma convinzione che il maestro doveva trovarlo nella solitudine di se stesso. Ciò non vuol dire che non abbia avuto, nel corso dell’esistenza, riconoscimenti ufficiali. Il più prestigioso di tutti, la partecipazione per invito, nel 1948, alla XXIV Biennale d’Arte di Venezia (un invito particolarmente significante perchè rivoltogli proprio nell’anno in cui la mostra aveva riaperto i battenti dopo l’interruzione bellica). Inoltre la partecipazione negli anni centrali della sua attività, sempre per invito, alla VI Quadriennale d’Arte di Roma, alla mostra della pittura italiana a Zurigo, alla esposizione di Arte Contemporanea a Madrid, alla Rassegna della pittura italiana dal futurismo ad oggi a Milano, e ad altre ancora… Per non parlare dei numerosi riconoscimenti ufficiali ricevuti, anche postumi, in questa sua terra natale, ove era molto noto anche per la sua attività di docente (ricordo in particolare il convegno tenutosi qui a Galatina nel 2009, al quale partecipai con un contributo che venne letto non essendo potuta io venire), delle mostre monografiche che la Puglia gli ha dedicato, delle committenze per l’abbellimento di chiese ed edifici pubblici, degli articoli giornalistici e degli studi critici di cui il suo lavoro è stato oggetto (ripubblicati, in parte, nel volume odierno).
Mentre parlo, sullo schermo è in corso la proiezione di immagini selezionate tra le più significative della sua attività in modo da poter cogliere in pieno i caratteri specifici del suo linguaggio espressivo. In primo luogo il disegno, inteso da Mariano, come egli stesso afferma, mezzo di indagine in tutte le direzioni, espressione estrema di sintesi, essenza vitale dentro e fuori una realtà che, attraverso il tratteggi delle linee di contorno, egli definisce sempre nettamente. Il disegno caratterizza soprattutto i suoi lavori giovanili, come esito di una pratica lungamente esercitata, per apprendere le tecniche xilografiche, nell’Istituto d’arte di Urbino, che all’arte dell’incisione e del disegno dedica, in via primaria, i propri insegnamenti.
Poi il colore che, coniugato al disegno, nel corso degli anni è diventato nei suoi lavori fattore predominante caratterizzato da campiture molto corpose di materia cromatica intrisa di luce e resa più abbagliante dalle contrapposizioni tonali degli impasti che il ritmo irregolare delle pennellate rendono in alcune zone più vibranti.
Da quali fonti di ispirazione discende in Mariano la conquista del colore inteso, appunto, come mezzo attraverso il quale le forme assumono ritmi, cadenze e assonanze di così forte impatto visivo ed emotivo?
Certo non dalle esperienze formative della scuola urbinate, che gli aveva insegnato a usare il colore in funzione complementare dell’immagine disegnata, ma – a mio parere – da successive suggestioni aventi altra origine e natura. La prima, fondamentale, suscitata dalla forte luce mediterranea di questa vostra meravigliosa terra, che accende i colori della realtà naturale rendendoli abbaglianti e luccicanti ai raggi del sole, di giorno, e magicamente trasparenti e traslucidi ai raggi della luna, di notte. Non è un caso che certi dipinti di Mariano con atmosfera notturna mi facciano rivivere l’intensa emozione, ancora vivissima nel ricordo, provata quarant’anni fa vedendo Castel del Monte illuminato dalla luce lunare.
La seconda suggestione, sempre relativa alla conquista del colore, trae secondo me origine dalla conoscenza della pittura contemporanea, una conoscenza che certo non dipendeva dalle cognizioni scolastiche del periodo urbinate (a quei tempi lo studio della storia dell’arte si fermava, nelle scuole ove era programmato, all’età barocca), ma dai viaggi effettuati nel corso della vita, dei quali poco so, neanche attraverso i ricordi familiari, ma che sicuramente intraprese, in Italia e all’estero, non fosse altro che per ragioni di attività espositiva. Tra essi, quello che ritengo maggiormente incisivo dovette essere l’andata a Venezia nel 1948 per la già ricordata biennale (Luigi era giovanissimo: aveva solo 26 anni!). Vi partecipò, con due acquarelli e una xilografia, su invito di una commissione composta da critici d’arte illustrissimi (Longhi, Pallucchini, Ragghianti, Venturi, Fiocco, Barbantini) che, dopo una rigorosa selezione ad ampio raggio dell’arte italiana, compiuta tenendo conto di tutte le tendenze, lo aveva individuato e scelto.
Fu una biennale epocale, determinante per la diffusione e la conoscenza dell’arte contemporanea dopo gli anni bui della guerra, perchè si attuò nel suo ambito la rivisitazione integrale delle avanguardie europee, e non solo, attraverso mostre retrospettive. Tra esse quella degli impressionisti francesi e quella della Peggy Guggenheim Collection, curata da Giulio Carlo Argan. Un’occasione, quest’ultima, che permise a Mariano di venire direttamente a contatto con tutte le correnti pittoriche contemporanee nella maggior parte delle quali la componente colore è percettivamente predominante. Dovette essere, per lui, una folgorazione! Ed infatti è proprio da allora che la materia cromatica diventa elemento di importanza primaria nelle sue creazioni artistiche. Nelle quali affiorano, a tratti, i ricordi delle luci splendenti degli impressionisti; le possibilità costruttive e portanti del colore dei Fauves; le liriche esaltazioni dell’esperienza sensoriale, anche espressa attraverso gli accostamenti cromatici, di Klee e Chagall; le delicate armonie della tavolozza con le quali Klimt, come traspare in alcuni lavori di Mariano, accompagna i ritmi melodici del suo linearismo; i colli lunghi alla Modigliani; la pastosità della materia cromatica stesa con la spatola e l’inserimento nel testo pittorico di materiali anche extra pittorici (la stagnola, per esempio) come facevano i cubisti.
Per quanto riguarda i temi trattati, cioè il contenuti delle sue opere, costante fonte di ispirazione per Mariano è la realtà visibile e, più in particolare, la figura umana, soprattutto quella femminile. E poi atleti agli attrezzi, contadini al lavoro, folle evangeliche, particolari di paesaggio. L’umanità è sempre colta nelle azioni di una quotidianità di matrice arcaica, fatta di gesti lenti e azioni bloccate nel momento focale del loro estrinsecarsi. Per questo le immagini assumono valore simbolico e significato universale anche perchè inserite in uno spazio non descritto ma strutturato con essenzialità di funzione.
Se sono grandi, nascono negli artisti impulsi creativi di matrice diversa da quanto già sperimentato, che li spingono a cimentarsi nella ricerca di linguaggi espressivi nuovi.
In Luigi Mariano questa esigenza nasce nel momento in cui, all’inizio degli anni 70, i poeti ed amici Donato Moro, Francesco Romano e Nicola De Donno lo spingono a creare immagini parallele ai contenuti dei loro versi. È questo impulso che idealmente ricollega Mariano alla sua formazione urbinate presso la Scuola d’Arte e d’Illustrazione del Libro, che lo stimola a mettere a punto una tecnica espressiva, mai sperimentata prima da nessuno, atta alla creazione di immagini che oggi potremmo definire “di nuova generazione”, da accostare a liriche in cui la terra salentina non è descritta ma cantata. Nasce così la xilopittura, frutto di rielaborazione delle esperienze artistiche precedenti, basata sul connubio tra tecnica xilografica e tecnica pittorica, cioè sfruttando le potenzialità di due procedimenti che vedono protagonisti, rispettivamente, il disegno e il colore. Mariano parte da tronchi sezionati di alberi della terra del Salento (ulivo, soprattutto, ma anche castagno, gelso, abete, sorbo, fico). La struttura anellare dei legni, naturalmente vibrante per la presenza di nodi e intrecci, viene esaltata attraverso incisioni a bulino e colpi di sgorbia e poi stampata a inchiostro, per essere nuovamente incisa e nuovamente stampata in sovrapposizione anche libera, una o più volte, a colori scelti in modo da rendere predominante una sola nota cromatica: il rosso del sangue, l’azzurro del cielo, il blu-verde del mare. Le immagini così create, contemporaneamente ricche di astrazione fantastica e di concretezza reale, sono latrici dello stesso intenso messaggio di bellezza, di vita, di amore, di gioia e di malinconia presente nelle liriche degli amici poeti.
Gli esiti formali della xilopittura hanno ispirato anche altre creazioni di Mariano. Mi piace ricordare, tra queste, un grande piatto metallico da parata di forma circolare che, donato a mio padre, orna oggi una delle pareti della mia casa di Genova. La sua superficie è accesa da colori a smalto di toni rossi, aranciati, blu e marroni ed è caratterizzata da una crettatura alla Burri che spacca la materia cromatica svelandone i misteriosi rapporti con gli strati pittorici sottostanti. Questa rutilante immagine, fortemente enigmatica, mi ha sempre affascinato: ancor di più mi affascinerà d’ora in poi nel ricordo della straordinaria esperienza di amicizia, di ospitalità e di riscoperta, dopo tanti anni, della Puglia e di un artista che della luce-colore-spazio di questa magica terra è stato eccezionale interprete.
[Testo letto nel Palazzo della Cultura di Galatina il giorno 12 dell’aprile 2014, in occasione della presentazione del libro Luigi Mariano: la materia e il colore, a cura di Paolo Maria Mariano e Giovanna Rotondi Terminiello [Galatina] : Blauer Wald, 2014.]