di Luigi Scorrano
Tutti abbiamo sognato una città che fosse talmente ‘nostra’ da farla identificare immediatamente con noi da chiunque la vedesse anche per la prima volta. È una fantasia che ha potuto possederci interamente o solo sfiorarci per qualche momento della nostra esistenza, ma quel desiderio rivelava un bisogno, la necessità di identificarci con un ambiente in cui tutto fosse regolato secondo i nostri pensieri, le nostre attese, i nostri sogni, la nostra immaginazione… Uno scrittore i cui libri ebbero a volte un successo di scandalo aveva scritto delle prose molto eleganti, apparse in volume in prima edizione nel 1940. Una di quelle prose si intitolava Città come me. Il suggestivo inizio di quelle pagine accarezza sogni e desideri, porta alla luce qualche aspirazione profonda, forse più diffusa di quanto potremmo pensare. L’autore è Curzio Malaparte (Suckert il vero cognome), il libro s’intitola Donna come me. Dice così l’avvio di Città come me:
“Vorrei costruirmela tutta con le mie mani, pietra su pietra, mattone su mattone, una città come me. Mi farei architetto, muratore, manovale, falegname, stuccatore, tutti i mestieri farei, perché la città fosse mia, proprio mia, dalle cantine ai tetti, mia come la vorrei. Una città che mi assomigliasse, che fosse il mio ritratto e insieme la mia biografia. E tutti, appena entrandoci, sentissero che quella città sono io, che quelle strade sono le mie braccia aperte ad accoglier gli amici. L’intonaco dei muri, le persiane verdi, gli scalini di pietra serena davanti ale porte delle case e delle chiese, i davanzali delle finestre, il Duomo, il Palazzo del Comune, l’ospedale , anzi, lo Spedale, le carceri, i caffé, il camposanto, le botteghe, le fontane, i giardini, vorrei che fossero la parte migliore di me, i lineamenti del mio viso e del mio spirito, gli elementi fondamentali dell’architettura e della storia della mia vita. Che s’assomigliasse, e che ciascuno sentisse, vivendoci, di star dentro di me”.
Nell’apparenza fantastica di una simile città possiamo trovare i segni di un luogo che non solo ci somiglia per certi tratti, ma un luogo con il quale ci identifichiamo talmente da sognare di essere, in tutti i suoi aspetti, quel luogo stesso, fortemente interiorizzato. Esso mira ad essere l’uguale d’un luogo sognato e desiderato: talmente desiderato da esigere che siamo noi stessi a costruircelo facendoci architetti e operai, spirito e materia, razionalità pensante e manualità applicata: un tutto le cui parti e i cui compiti sono nostri e a noi vengono affidati. I costruttori della città siamo noi. In questa città noi guardiamo noi stessi, la nostra perfetta immagine, il nostro desiderio e la sua realizzazione. Quella sognata città l’abbiamo costruita noi: ognuno la propria: ma non una città ideale, bensì una città reale. Quella della quale ognuno può dire: «Questa è la mia città.»
Il Rinascimento ci ha lasciato in eredità un quadro famoso di cui non conosciamo l’autore. Si intitola La città ideale. Al centro dell’immagine c’è una costruzione circolare: un tempio? un edificio pubblico? Non lo sappiamo; sappiamo che deve avere un ruolo importante posto com’è al centro della rappresentazione. Forse simboleggia la summa delle virtù religiose e civili. Non sarebbe improprio. Gli edifici sui lati e sul fondo del dipinto rispondono ad esatte geometrie. Al senso di un vivere ordinato al quale molti hanno contribuito. Manca ogni presenza umana, e un silenzio misterioso domina la scena. Lo spettatore, l’osservatore esterno al quadro, può godere della visione come chi, compiuta un’opera, ne osserva soddisfatto il risultato.
Nella città costruita da uno di noi (o da ognuno) i cittadini dovrebbero, come nella città sognata da Malaparte, avere «il senso che la città è una casa, una grande casa» di tutti. Così dovremmo pensare quando pensiamo alla città, quella che tutti, ogni giorno, con la propria fatica, il proprio impegno, la propria partecipazione operosa costruiscono e dove tutti hanno una funzione, un impegno cui assolvere, una forma di collaborazione da mettere a disposizione di tutti.
Anche noi, pensando alla città la viviamo come una grande casa. Ciascuno vi ha il suo posto: quello conquistato con la propria fatica, quello assegnato per comune riconoscimento, quello che si sia rivelato il più adatto a ciascuno. Una città pacifica ed operosa in cui tutti i cittadini concorrono ad erigere l’edificio delle virtù civiche, delle scelte condivise, della morale vissuta non come arcigno dettame di norme ma con la leggerezza distintiva che ci avvicina a tutto quello che amiamo. Non veleggiamo verso terre di utopie ma desideriamo elaborare progetti realizzabili. Fondamentale, il disegno di una città a misura d’uomo: di quell’uomo che ha dato il proprio segno distintivo alle opere più alte e durature della propria presenza sulla terra: quella humanitas che è il suggello più forte impresso sul cammino dell’esistenza.