di Rosario Coluccia
Nel «Messaggero» di domenica 21 maggio, in prima pagina, leggo: «L’Fbi indaga sul genero di Trump. Asse Washington-Riad sulle armi. Anche Kushner marito di Ivanka coinvolto nel Russiagate». L’ultima parola è scritta così, senza virgolette o altri segni di evidenziazione, come se non avesse bisogno di chiarimenti per il lettore. A me risulta difficile, si tratta di una parola semisconosciuta di cui ignoro il significato preciso. Consulto il sito http://www.agi.it/estero/2017/05/20/news/, lì una spiegazione vien data: «L’indiscrezione è arrivata dal «Washington Post»: gli inquirenti che stanno indagando sul “Russiagate”, ovvero i possibili rapporti segreti tra l’amministrazione Trump e la Russia, avrebbero individuato un alto funzionario della Casa Bianca come “persona d’interesse”». «Panorama» dell’11 maggio 2017 scrive: «La Commissione Intelligence del Senato Usa ha emesso un mandato di comparizione nei confronti dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Flynn, chiedendogli di produrre i documenti inerenti le indagini sulle presunte interferenze russe nelle elezioni presidenziali americane. È il primo mandato di comparizione emanato nell’inchiesta Russiagate». Qui la parola semisconosciuta è scritta in corsivo. E dunque negli stessi giorni tre diverse fonti di comunicazione, due a stampa e una in rete, si comportano diversamente nei confronti di una nuova parola che comincia a diffondersi nella nostra lingua. La prima non ritiene necessario spiegarne il significato, la seconda si comporta esattamente al contrario («possibili rapporti segreti tra l’amministrazione Trump e la Russia»), la terza presenta i dati fondamentali della questione («presunte interferenze russe nelle elezioni presidenziali americane») e poi riporta in corsivo la parola che a quella questione allude: Russiagate. Nessun segno particolare di identificazione, virgolette, corsivo: ecco come viene presentato, in modi diversi, il neologismo che si affaccia nell’italiano.
La nuova parola si è formata attraverso un processo ben noto, risultante dall’accostamento di due diversi elementi. La lingua funziona così (lo ha spiegato Fabio Marri nella voce neologismi dell’Enciclopedia dell’italiano). Molte parole nuove si formano attraverso la composizione, ottenuta sia con l’accostamento di due nomi o di un nome e un aggettivo (pasta party, opzione zero, funzione pubblica) sia con la combinazione di più elementi (fermata a richiesta, pillola del giorno dopo, otto per mille). Nel nostro caso si è presa una parola già esistente nella lingua e da tutti conosciuta (Russia) a cui si è aggiunta una parola straniera (gate, che significa ‘porta’). Porta di Russia, la nuova parola vuol dir questo?
Proprio no. Russiagate richiama nella seconda parte un’altra parola molto più conosciuta e diffusa, Watergate. Si tratta dell’enorme scandalo politico scoppiato negli Stati Uniti nel 1972, innescato dalla scoperta di alcune intercettazioni illegali effettuate, nel quartier generale del Comitato Nazionale Democratico, ad opera di uomini legati al Partito Repubblicano. Lo scandalo prese il nome dal Watergate Hotel, l’albergo di Washington in cui furono effettuate le intercettazioni che diedero il via ai fatti. L’inchiesta promossa da due giornalisti, Bob Woodward e Carl Bernstein, suscitò la crescente attenzione dell’opinione pubblica. La vicenda, iniziata come modesto reato compiuto da personaggi secondari, crebbe fino a coinvolgere gli uomini più vicini al Presidente americano in carica e raggiunse lo stesso Nixon. Questi resse a due anni di crescenti difficoltà politiche, ma la pubblicazione di un nastro contenente la registrazione di conversazioni compromettenti evocò la prospettiva di un procedimento d’accusa contro di lui, accusato di aver violato la legge nell’esercizio delle proprie funzioni (in inglese impeachment). Nixon diede le dimissioni l’8 agosto del 1974.
Il recente scandalo americano (quello che coinvolge il presidente Trump) ha fatto nascere una nuova parola in -gate, Russiagate da cui siamo partiti. Il suffissoide –gate, nato all’inizio degli anni ’70, è discretamente produttivo nella nostra lingua. Rubygate è il nome dato allo scandalo sessuale che ha coinvolto qualche anno fa l’allora Presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi: veniva accusato di aver pagato per fare sesso con una ballerina di night club minorenne, conosciuta con il nome d’arte Ruby Rubacuori.
Altro esempio. WikiLeaks (dall’inglese leak ‘fuga [di notizie]’) è un’organizzazione internazionale che acquisisce documenti coperti da segreto (di Stato, militare, industriale, bancario) e poi li carica sul proprio sito web. Si autodefinisce editor in chief del sito Julian Assange, che ha avuto qualche grana, non so dire se giusta o ingiusta, con le polizie di mezzo mondo. Il 28 novembre 2010, dopo averlo annunciato diverso tempo prima, WikiLeaks rende di pubblico dominio oltre 250.000 documenti diplomatici statunitensi, molti dei quali etichettati come “confidenziali” o “segreti”: un’ingente raccolta di documenti riservati che riguardano l’operato del governo e della diplomazia statunitense nel mondo (è il cosiddetto cablegate, ancora –gate, e anche qui la porta non c’entra). Da WikiLeaks è nata la parola Vatileaks usata per definire gli scandali riguardanti la fuga di informazioni riservate relative alla Città del Vaticano. Il termine fu coniato da padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede. È un caso, non molto frequente ma neanche rarissimo, in cui conosciamo precisamente inventore e data della nuova parola, che poi entra nella lingua e diventa di tutti. Si deve a Bruno Migliorini, uno dei più grandi linguisti del Novecento che fu anche presidente dell’Accademia della Crusca, la proposta di regista, coniato nel 1932 per rimpiazzare il francesismo régisseur e l’introduzione nella terminologia linguistica italiana dell’espressione parola d’autore (sul fr. mot d’auteur), per indicare un ‘termine coniato da una persona nota’.
Il creatore di parole nuove si definisce, tecnicamente, onomaturgo. Ne abbiamo numerosi nella storia. Probabilmente fu il gesuita Giuseppe Biancani a denominare nel 1611 cannocchiale lo strumento inventato da Galileo Galilei, Aldo Casali di Cesena nel 1913 inventò e battezzò il cestino da viaggio, Massimo Della Pergola nel 1959 designò con il termine universiadi le olimpiadi universitarie, Gianni Brera nel 1964 diede un nuovo significato ad abatino, impiegato per indicare un ‘calciatore atleticamente poco dotato’.
È legata a circostanze precise la nascita e la diffusione della parola tangentopoli. Designa il corrotto sistema economico e di potere fondato sulla richiesta, da parte di chi è in grado d’influenzare la buona riuscita di affari, pratiche, ecc., di ricevere tangenti (somme di denaro di varia entità) in cambio di favori, concessioni o altre forme illecite. Il termine si è affermato a partire dal 1992, in seguito alle inchieste giudiziarie svolte dalla magistratura di Milano e successivamente condotte anche in altre città, che portarono alla dissoluzione di molti partiti storici italiani. L’etimologia è trasparente. Il suffissoide -poli è di origine greca, vuol dire ‘città’ (ricorre ad esempio in Gallipoli, cioè ‘bella città’). Tangentopoli etimologicamente significa ‘città delle tangenti’ (per designare Milano). Poi abbiamo scoperto che tangentopoli è ovunque, i corrotti si moltiplicano più che la malerba.
A partire da tangentopoli, lo scandalo pubblico e la relativa inchiesta, si sono formate altre parole in cui –poli ha perso il significato originario, per assumere quello nuovo di ‘scandalo’ o di ‘inchiesta’. Sono nati, in tempi e per fini diversi: affittopoli (‘sistema di clientelismo per cui immobili che appartengono a enti pubblici vengono affittati, a prezzi irrisori, a beneficiati vari’), calciopoli (‘corruzione nel mondo del calcio’), concorsopoli (‘maniera disonesta di svolgere i concorsi’), parentopoli (‘favoritismi e distribuzione di incarichi pubblici a persone imparentate con chi decide’), vallettopoli (‘assegnazione di ruoli in trasmissioni televisive, spettacoli e film a ragazze di bell’aspetto in cambio di prestazioni sessuali’). Si tratta di parole molte note perché ricorrono spesso. Fa malinconia pensare che la diffusione di esse significa che nella nostra bella Italia gli scandali ramificano. Non sarebbe ora di opporci a tutto ciò?
Consoliamoci con la lingua. Il cervello trova sempre il modo di creare nuove parole legate a nuove situazioni. Nei casi che abbiamo visto agisce così: prende un pezzo di una parola già esistente (-gate, –leaks, –poli), lo adatta al nuovo contesto senza preoccuparsi del significato originario. I parlanti badano all’efficacia della lingua, non badano (giustamente) all’etimologia. Questo è compito dei linguisti, è il loro mestiere.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 28 maggio 2017]