Qualche nota a margine di “Così stanno le cose” di Gianluca Virgilio

di Franco Martina

Finita la lettura dell’ultimo libro di Gianluca Virgilio (Così stanno le cose, Edit Santoro, Galatina, 2014, pp. 146), non si può fare a meno di continuare a riflettere e non solo sulle sottolineature o su qualche nota inserita tra le pagine, quanto sul suo significato complessivo. Il volumetto si compone, infatti, di diversi testi, 26 per la precisione più la ‘Premessa’ e un ‘Preambolo’, ognuno centrato su un fatto, su un luogo, una situazione e quindi con una finalità propria. Solo una lettura completa consente di cogliere il filo conduttore che lega l’insieme dei testi e a essa Virgilio affida l’opportunità di cogliere il significato generale del suo lavoro. Prima di cercare di metterlo in evidenza, è opportuno sottolineare un aspetto del volume che non sembra marginale: la parsimonia di riferimenti o citazioni letterarie, filosofiche o culturali in genere, troppo evidente per essere casuale e tanto più notevole se si considera che l’autore ha una dimestichezza quotidiana con testi classici della letteratura italiana e latina. Poche sono anche le ‘pietre d’inciampo’: termini colti inglesi o tedeschi, greci o latini, cui troppo spesso si ricorre con le più diverse finalità. Insomma, non c’è il solito riferimento al flâneur (di Baudelaire e magari di Leopardi) o a Benjamin ecc. Solo qualche toponimo o termine dialettale inseriti come parte integrante del luogo e del tempo.

Nel ‘Preambolo’, però, Virgilio dà un’indicazione importante per afferrare il bandolo del filo rosso che corre lungo tutti i testi raccolti e lo fa invitando a riflettere sul rapporto tra ‘sostare’ e ‘raccontare’. Dove ‘sostare’ è sinonimo di vivere in un certo luogo, senza alcuna concessione a pretese radici o presunte identità culturali; ‘raccontare’ rimanda invece alla necessità di filtrare criticamente il mondo che ci circonda, quello vicino e quello lontano. ‘Raccontare’, infatti, comporta di trasferire le cose in parole, in concetti e non solo le cose, ma anche gli stati d’animo, i sentimenti, le impressioni. Un processo che non è mai meccanico. E tuttavia può essere più passivo o più attivo, cioè critico, quando ci si sforza di vedere ‘come stanno le cose’, ossia di andare oltre quella sorta di specchio dell’apparenza che ci rimanda la realtà per come siamo abituati a vederla e non per quello che effettivamente è.

Né il sostare né il raccontare si esauriscono in se stessi, in uno spazio privatistico o edonistico, come troppo spesso accade. Anzi, una nota di vigile sofferenza accompagna le due attività. Nel momento in cui si rompe l’incantesimo del consueto, del familiare e lo sguardo va oltre la superficie, ecco che si mostra con evidenza ciò che tutti hanno sotto gli occhi ma nessuno vede: lo sfilacciarsi del tessuto economico, l’indebolimento delle relazioni sociali, l’abbassamento del sentimento non solo civico ma  anche umano. Il laboratorio di Virgilio è la sua città, Galatina, una realtà tra le più belle, colte e laboriose del Salento. Anche lì chi ha coraggio può vedere quelli che Giovanni Bernardini definiva ‘i segni del diluvio’. Gli edifici vuoti, i teatri chiusi, i luoghi istituzionali dismessi trasmettono un senso di vuoto, di perdita di quella vitalità da cui erano nati e di cui erano la manifestazione architettonica e quindi plasticamente sociale. E poi la campagna deturpata non solo dalle discariche criminali, rese possibili da interessate disattenzioni, ma anche da quelle non meno devastanti prodotte dalla micro demenza diffusa, mentre avanzano i mattoni e i cartellini colorati che fanno comprendere anche ai più pigri la sproporzione tra il valore di scambio e quello d’uso.

La prospettiva del ‘sostare’ assume, quindi, un evidente connotato esistenziale, nel senso di condizione propria di chi pur non potendo decidere di nascere in un luogo, in un certo momento, da una certa relazione, tuttavia, a un certo punto, tale condizione sceglie di sentirla come propria. Guardare la vita, propria o altrui, da questa prospettiva consente di vedere abbastanza chiaramente l’assurda pretesa di uno ius terrae (non lo ius soli) “che non sta scritto da nessuna parte, osserva Virgilio, se non nell’arroganza dello stanziale che si vede insidiato dal migrante”. Ma quella prospettiva porta anche a dover considerare gli obblighi, i doveri che conseguono dal ‘sostare’ in un certo luogo: “Eppure sostare si può e si deve, scrive Virgilio,  se non altro per far crescere meglio i bambini, per accudire i vecchi, per onorare i morti. I giovani e gli adulti devono andare e venire, per conoscere luoghi e persone, e riportare il meglio del meglio di quanto hanno appreso in ogni direzione. Poi anche loro potranno sostare, facendosi vecchi, e, sostando, raccontare. Raccontare è certo il miglior modo per sostare”.

Non deve destare meraviglia se questo approccio culturale ha destato l’interesse di due particolari viaggiatori francesi, Annie e Walter Gamet, alla ricerca non tanto del sole, del cibo e neanche immediatamente dei  paesaggi culturali e naturali, quanto invece di entrare in una ‘dimensione più larga e più profonda’ del Salento. I libri di Virgilio, e poi le conversazioni con l’autore, hanno aperto questa possibilità. Al punto che ne è sortita l’esperienza di una traduzione francese di alcuni capitoli dei libri di Virgilio, Vie traverse (2007) e Scritti cittadini (2008), L’età dell’apprendimento e dello studio (2008, tradotto integralmente), Infanzia salentina (2009), Vita nuova e altri racconti (2010), un libro che, come sottolineano i traduttori, per come è composto, esiste solo in francese: Résonances salentines (Edit Santoro, 2014, pp. 271). Dunque, non suggestioni o fascinazioni, ma risonanze. La traduzione, come la narrazione, offre la possibilità di continuare a sentire un’esperienza anche quando ciò che l’ha prodotta non è più immediatamente presente e in questo modo abolire le distanze e le frontiere creando le condizioni di più vera prossimità umana.

È importante che un’esperienza come questa nasca qui “in uno dei confini meridionali del continente europeo”, sulle coste di una terra che viene vista da tanti uomini come una via verso la vita e la libertà e che si rivela invece, per troppe persone, come l’ingresso dentro nuove forme di schiavitù, vissute nei campi di pomodori o nei cantieri degli impianti fotovoltaici quando non come viatico di morte. Che Virgilio abbia saputo mostrare quanto questa terra, con il suo passato e con il suo presente, possa essere l’occasione in cui può nascere una “ vraie proximité humaine”, è la  grande lezione che ci viene dal suo ‘raccontare’ quanto dalla traduzione di Annie e Walter.

[2014]

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