di Giuseppe Spedicato
Le ragioni dei ritardi del Mezzogiorno e il ruolo delle organizzazioni criminali in Italia. Del come la società meridionale, nel suo complesso, sia stata modellata da forme di dominio e di violenza.
Gianni Giannotti, docente presso l’Università del Salento, trattando sui caratteri sociologici ed economici dell’arretratezza del Mezzogiorno, spiegava che nel Mezzogiorno esiste una fitta rete clientelare, che blocca qualsiasi tentativo di sviluppo. Questa rete è frutto dell’antico latifondo feudale collegato alla criminalità. Tutto ciò ha partorito un potere autonomo da quello statale, un ceto di intermediari, che gestisce il potere reale in buona parte del Meridione. A dirigere il gioco è un ristretto gruppo di potenti locali, che controllano il territorio attraverso le Istituzioni pubbliche, rese funzionali ai loro interessi. Il vero affare è il controllo della spesa pubblica. È pertanto un potere parassitario, disposto a tutto pur di continuare ad arricchirsi e non ha alcun reale interesse a promuovere lo sviluppo del territorio. Le stesse politiche fatte passare per “politiche di sviluppo”, sono in realtà strumenti per deviare le risorse pubbliche verso interessi privati. Ciò avviene in un sistema di complicità e connivenze. Il Meridione è quindi condannato ad essere una società sottosviluppata, dove regna la precarietà, un’economia di bassissima produttività, il ferreo controllo delle opportunità lavorative e quindi l’illegalità diffusa. Una società dominata da gruppi predatori, che riproducono una sorta di sistema feudale, dove vi è un welfare alternativo a beneficio dei potenti e degli amici dei potenti, dove il merito non può essere riconosciuto, dove vengono trascurate le reali attività produttive e premiate la rendita e l’occupazione improduttiva.
Giannotti intravede una via d’uscita attraverso la promozione di un’imprenditoria sana, ma anche attraverso un cambiamento radicale – nei risultati ma non nei modi e nei tempi -, a partire dalla cultura e dal costume. Tale cambiamento, però, incontra un ostacolo di non poco conto. L’intera Italia è ormai dominata da gruppi predatori e con la fine della via socialista i valori della tradizione umanista sembrano ormai tramontati.
Dalle tesi di Giannotti si deduce che le ragioni antiche del ritardo del Meridione nascono da una concentrazione di potere e violenza (latifondisti e criminalità), dove i confini tra il latifondista ed il referente dell’organizzazione criminale sono opachi, poco definiti. In ogni caso entrambe le figure fondano il loro potere prima di tutto sulla violenza. Si può esercitare violenza contro il contadino senza terra, minacciandolo con la lupara ma anche impedendogli di sopravvivere se non si conforma alle volontà ed agli interessi del latifondista. Tale alleanza non ha creato solo un sistema economico, ma anche una società con le sue leggi, i suoi valori, la sua religione. La religione insegnava ai contadini ad inginocchiarsi e pregare davanti ad una statua o immagine di Dio o di un santo e confidare nella provvidenza. Non era però sufficiente, i poveri, per sopravvivere, dovevano inginocchiarsi anche davanti al latifondista come se fosse anche lui un dio. La cultura dominante affermava che il latifondista era divenuto ricco per volontà di Dio e quindi attentare ai suoi interessi significava porsi prima di tutto contro Dio e poi contro il padrone. La religione assecondava questa origine divina del latifondista anche perché a sua volta detentrice di vasti latifondi. Tutto ciò non può che essere considerato un sistema basato sulla violenza, dove questa ha molteplici sfaccettature, ognuna delle quali punta ad un solo obiettivo: schiavizzare la stragrande maggioranza della popolazione.
Isaia Sales, il 15 luglio del 2016, ha pubblicato su “Il Nuovo Quotidiano di Puglia – Lecce” un interessante articolo dal titolo “La forza di Provenzano nelle relazioni con chi doveva combatterlo”. Nell’articolo, trattando della morte del capo di “cosa nostra” Bernardo Provenzano, avvenuta due giorni prima, analizza anche la storia del nostro paese. Sales afferma che la storia dei capi di “cosa nostra” e delle criminalità organizzate (o mafie), non è un’altra storia, che si affianca a quella ufficiale del nostro paese, ma rappresenta la stessa storia. Solo così possiamo spiegarci come sia stato possibile che uomini ignoranti, rozzi e brutali come Provenzano, Salvatore Riina e Giovanni Brusca, abbiano potuto tenere sotto scacco per anni l’intera Sicilia e parte dell’Italia.
Sales scrive ancora: “È indubbio che se i referenti politici delle mafie nelle regioni del Sud non fossero stati indispensabili per gli equilibri della politica italiana, e ciò fin dopo il 1861, le mafie sarebbero state spazzate facilmente. È il ruolo negli equilibri della politica nazionale degli alleati delle mafie che le ha rese invincibili per un così lungo tratto storico. La forza di Provenzano non è consistita, dunque, nella sua bestialità ma nella sua capacità di stringere alleanze politiche, imprenditoriali e istituzionali, e soprattutto nel dimostrare che gli interessi della mafia non erano inconciliabili con gli interessi di parte delle classi dirigenti siciliane e italiane”.
Pertanto, dalle tesi di Isaia si può dedurre che l’Italia è una costruzione avvenuta grazie all’esercizio della violenza, di parti di classi dirigenti italiane alleate con organizzazioni criminali. Tale collaborazione, dall’unità d’Italia ad oggi, non è mai venuta meno, tranne per un breve intervallo, quando Toto Riina abbandonò la tradizionale collaborazione Stato-mafia provocando uno scontro armato e stragista con lo Stato. Alleanza poi ripristinata da Provenzano. Solo partendo da queste premesse si può capire cosa è accaduto ed accade in Italia, soprattutto nel Meridione. Ancora una volta non si è trattato solo di modellare un sistema economico, di mettere sotto controllo delle risorse, ma soprattutto di costruire una società meridionale e nazionale funzionale a precisi interessi e ciò è avvenuto grazie all’esercizio di una violenza organizzata, che prevedeva anche corruzione, ricatti, minacce, depistaggi, uso della massoneria, disinformazione.
Questo processo non si è mai interrotto, ecco cosa scriveva Pasolini:
“Ecco l’angoscia di un uomo della mia generazione, che ha visto la guerra, i nazisti, le SS, che ne ha subito un trauma mai totalmente vinto. Quando vedo intorno a me i giovani che stanno perdendo gli antichi valori popolari e assorbono i nuovi modelli imposti dal capitalismo, rischiando così una forma di disumanità, una forma di atroce afasia, una brutale assenza di capacità critiche, una faziosa passività, ricordo che queste erano appunto le forme tipiche delle SS” (Pasolini, 1975 pag. 287).
Processi simili si cerca di imporli in tutto il mondo, con l’obiettivo ultimo di creare cittadini incapaci di partecipare alla vita pubblica.