di Antonio Errico
In “Contemporanea”, la collana edita da Milella e curata da Antonio Lucio Giannone, che con scritture critiche attraversa i territori letterari del Novecento italiano spesso partendo dal Sud del Sud, sono usciti recentemente due volumi su Nicola G. De Donno. Uno, a cura dello stesso Giannone, raccoglie gli atti di una giornata di studi sul poeta di Maglie; l’altro è il primo volume di tutte le poesie, curato da Simone Giorgino.
Fra le molte ragioni che rendono preziosi i due lavori, ce n’è una implicita che probabilmente è prevalente rispetto alle altre, che si costituisce come un’ideologia di ricerca e si può sintetizzare nella finalità scientifica di sottarre la letteratura del Salento ai localismi che spesso l’hanno accerchiata, che ancora, in qualche caso, continuano a minacciarla, considerando poeti e narratori come i cantori di una tradizione, i medaglioni culturali di un cliché d’identità, i compaesani di cui chiunque – ma davvero chiunque- si sente in diritto o in dovere di parlare, anche quando potrebbe (o dovrebbe) molto più opportunamente farne a meno. Così, poeti e narratori salentini sono stati reclutati per la nobilitazione delle sagre di paese, per ogni occasione di massa o salottiera, tagliati per una didattica pretestuosa, usati per didascalia di quadretti di maniera, sfruttati per avallare una poetica dei muretti a secco.
Gli studi di Lucio Giannone, Fabio Moliterni, Simone Giorgino, invece, solcano le opere con un impegno ermeneutico di notevole portata, marcandone la fisionomia antropologica, individuandone la statura europea, la forza innovativa e talvolta dirompente, rilevandone la distanza da qualsivoglia sonnolento indugio sotto il campanile.
Allora, con La poesia dialettale di Nicola G. De Donno e con il volume di Tutte le poesie, Giannone e Giorgino dimostrano come De Donno sia uno degli esponenti più significativi della poesia neodialettale italiana degli ultimi tre decenni del Novecento, come la sua scelta di scrittura superi i contesti di un’operazione linguistico-letteraria per farsi tensione etica, espressione di una connotazione culturale.
“La riflessione sull’io, sulla condizione esistenziale, sul senso della vita è uno dei temi costanti della poesia dialettale di Nicola G. De Donno”, sostiene Giannone. Così la sua analisi indaga queste tematiche rilevandone l’essenzialità, anche attraverso una tessitura di riferimenti filosofico-letterari. Il tempo, la morte, il nulla, il nichilismo assoluto, l’infinita piccolezza dell’umano, la sciocca illusione della poesia, l’horror vacui, costituiscono gli elementi testuali sui quali Giannone orienta la sua indagine.
La molteplicità e la varietà tematica degli interventi raccolti negli atti, non consentono un resoconto dei contenuti. Così riferisco suggestioni derivanti dai saggi. Per esempio quella dichiarazione di poetica, ricordata da Anna Grazia D’Oria, secondo la quale l’impiego del dialetto, per De Donno, trova la sua motivazione più in una ragione sociolinguistica che linguistica, più in una condizione storico-culturale e socialpolitica che in una finalità scientifica.
L’opzione dialettale, sosteneva, è una scelta di campo. “Ciò vale sia nel significato che il dialetto è la lingua degli strati subalterni dalle cui radici non dedidero divellermi, sia nel significato che il dialetto è la lingua della più vecchia cultura locale ancora non estinta, la cultura cioè che più di altre individua, entro le più ampie, la nostra patria salentina”.
Oppure quell’altra, riportata da Fabio D’Astore, nella quale De Donno colloca la scelta del dialetto in una “ progressiva presa di coscienza morale e politica”.
La sintesi essenziale e significativa, relativa all’adozione della lingua dialettale anche rispetto alla tradizione poetica, è elaborata da Giorgino quando nella premessa a “Tutte le poesie” scrive che uno dei grandi meriti di De Donno consiste nell’aver tagliato definitivamente i ponti con la precedente tradizione dialettale salentina, “cioè con la poesia bozzettistica, sentimentale e popolaresca, portando a compimento, di fatto, una nuova fase avviata, già mezzo secolo prima, dal Capitano Black”.
Allora, gli atti curati da Giannone e il volume delle poesie curato da Giorgino, assumono la funzione di riferimenti storico- letterari e linguistici di non si potrà fare a meno, non solo quando ci si vorrà occupare di De Donno ma anche quando si intenderà confrontarsi con la dimensione della poesia in dialetto del Novecento italiano.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, venerdì 12 maggio 2017]