Allo specchio della memoria

di Antonio Errico

Una scrittura come esperienza di esistere. Come specchio nel quale riguardarsi per riconoscere il proprio volto, la propria storia. Che prende il sentimento, le passioni, le rare felicità, le tante amarezze, le delicatezze del sogno, le ferite delle insonnie, e le raggruma tutte dentro le parole. Che commuove per la fragilità dei desideri, per la profondità abissale della memoria. Ogni racconto corrisponde ad un giorno che compendia la vita. Ogni frase ad un’ora di quel giorno. Ogni parola ad un istante. irripetibile, assoluto. Ogni racconto è un corpo a corpo con il proprio tempo interiore, intimo, essenziale. E’ una rappresentazione dei destini senza scampo. E’ una carezza passata sulla testa dei propri fantasmi che fanno compagnia nel buio delle solitudini.

Una scrittura che ad un tempo è solitudine e compagnia. Due mani. Molte storie. Due identità. Molti pensieri. Due voci e molte propagazioni.
Molte sensibilità. Molte passioni. Molti luoghi e la memoria come unica direzione del viaggio. Una discesa in interiore. Una madeleine. Un costante, ininterrotto ritorno.

Èco. s. femminile, plurale, il libro di racconti di Carmen Gasparotto e Marialena Porzio, edito da Kappa Vu di Udine, è un corpo a corpo con il tempo.

In principio è un’amicizia.

“Spesso parlavamo delle nostre letture e di ciò che si andava scrivendo, dice Carmen Gasparotto. Credo siano stati proprio questi nostri scambi ad aver generato l’idea di raccoglierli assieme ai racconti”.

Dico che fare un libro insieme presuppone una convergenza di idee, un’intesa di stile, probabilmente la condivisione di un metodo e di una finalità. Fare un libro insieme significa non solo accettare, non solo condividere, ma soprattutto considerare la scrittura dell’altro come complementare.

Mi piaceva il modo di scrivere di Mariaelena: le descrizioni mai oggettive, ma sempre filtrate dal suo sguardo, dalla sua sensibilità. La narrazione spesso frantumata, disgregata, a volte una sorta di flusso di coscienza, alla Joyce. Una narrazione di odori, colori, pensieri. Una scrittura di sensazioni che si serviva (e si serve) del monologo interiore. La sintassi spesso spezzata in mille proposizioni brevi che riducono la sua scrittura all’essenziale. A volte il paradosso intrinseco fatto di vita e morte, di presenza e assenza di fuga e ritorno. Una personalissima scrittura che mi ha attratto fin da subito”.

 

Punti di vista, prospettive, orizzonti. Va bene, dico. Poi viene lo stile. Oppure: prima di tutto viene lo stile. Lo stile rassomiglia agli occhi: non si può replicare. Non ne esistono quattro uguali. Come si possono contemperare due stili nella stessa narrazione che vuole essere coesa, domando.

Mariaelena Porzio dice che della Gasparotto come scrittrice ama lo stile: lirico, raffinato, cercato in ogni parola.

“Me ne sono un po’ innamorata. Io, che tendo ad avere una narrazione asciutta e a volte spietata.
È un po’ come nell’equazione di Dirac. Siamo due sistemi che hanno interagito e ancora lo fanno. Sono certa che se anche qualcosa venisse a separarci, non saremmo più due sistemi distinti. Ognuna continuerebbe a influenzare l’altra, anche se distanti chilometri o anni luce”.

Dico che oltre allo stile ci sono due personalità da far convivere nella scrittura.

“Scrivere in due implica conoscersi bene, dice Porzio, per non urtarsi, per non sopraffare. Non ci siamo fuse, non c’è spersonalizzazione autoriale. Abbiamo “messo insieme assieme”. I racconti sono le perle che di volta in volta abbiamo infilato. Hai presente le infila perle? Le “impiraresse” le chiamano a Venezia. Perle che vengono da ricordi lontani, perle nuove, perle multicolori o monocrome. Più scure o trasparenti. Una collana che abbiamo concepito come espressione di armonia muovendoci in una piccola porzione geografica: la nostra regione. Anche le due storie che prendono
forma fuori da essa contenegono in realtà un richiamo alla nostra terra. I luoghi sono molto di più che semplici spazi fisici. Oggi i luoghi tendono ad assomigliarsi, i palazzi moderni sono spesso simili per architettura e nelle città troviamo le stesse catene di alberghi, gli stessi centri commerciali, gli stessi outlet. Nei nostri paesi le piazze di nuova sistemazione sembrano tutte uguali. Ecco dunque che la narrazione – quando tocca il tema della memoria che inevitabilmente ci porta a quelle mura, a quel mosaico, a quel pezzo di spiaggia – porta fuori dall’anonimato”.

Chiedo quale possa essere il senso di una raccolta di racconti a due voci.
Quale sia il filo che li annoda.

Gasparotto e Porzio considerano il libro non solo una raccolta di racconti, ma una collana dove il filo che tiene insieme le perle è rappresentato da scambi, dialoghi, considerazioni, riflessioni che riguardano il singolo racconto, la storia, l’ispirazione, la sua collocazione nella memoria, risvolti psicologici, qualche minimo tecnicismo.

Dico che probabilmente era Giovanni Arpino a sostenere che per scrivere un buon racconto bisogna sputare sangue.

Rispondono: “si potrebbe pensare che scrivere racconti sia più facile che scrivere un romanzo. Noi pensiamo invece che scrivere racconti sia diverso (un racconto non è un romanzo breve) e con un po’ di presunzione diciamo anche che forse è più difficile in quanto devi lasciare fuori troppe cose senza perdere la densità narrativa e il significato. Si pensa che i racconti non abbiano lo stesso “fattore immersivo” del romanzo. A volte il racconto viene percepito come un’esperienza piu’ letteraria che esistenziale. Quasi una forma piu’ sofisticata rispetto al romanzo. In un romanzo si possono mascherare i cali di tensione in un racconto no.
Un libro di racconti fa imbizzarire gli editori, in Italia. Diversamente dai Paesi anglosassoni dove il racconto è sempre stato rispettato e ha avuto palchi di grande diffusione (Munro, (Carver, Heminghway…)come se ci fossimo dimenticati Buzzati o prima ancora Verga, per esempio. Per questo siamo grate al nostro editore che ha avuto fiducia nel nostro progetto.

D’accordo, dico, ma poi c’è una necessità di raccordo tematico-semantico.

Rispondono che il libro non nasce come una raccolta di racconti tenuti nel cassetto. Nasce da una coerenza di sguardi e contenuti e da un filo conduttore che sta nella riflessioni fra le autrici e che anticipano ogni singola storia senza nulla svelare. Anticipazioni alle singole storie che raccolgono le nostre chiacchiere o i nostri bisbigli. Ecco allora il tema dell’amore, dell’assenza, della morte, dell’infanzia. Temi che hanno segnato le storie delle nostre famiglie come l’emigrazione. Lo sfondo storico (là dove la Storia con la maiuscola non serve la storia) la scrittura  e la lettura.

Quando la conversazione finisce, il pensiero ritorna ad un passo del libro che dice: “La scrittura ha potere sul tempo, può fermarlo o lasciarlo fluire. Altre volte lo nega, lo ammaestra, lo censura. Lo governa e lo dirige”. Mi ricorda alcune pagine de Il fuoco greco del grande Luigi Malerba. Forse è proprio questa relazione con il tempo il senso profondo dei racconti di Carmen Gasparotto e Mariaelena Porzio.

 

 

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