di Enrico De Vivo
Faccio questo mestiere per caso. Come tutti, a poco più di vent’anni avrei potuto scegliere di fare molte altre cose nella vita, ma il caso mi ha voluto professore, e io ho accettato, all’inizio per curiosità, adesso per comodità. “Comodità” non vuol dire per lo stipendio, per la sicurezza del posto, per l’orario limitato di lavoro – certezze peraltro, di questi tempi, in via di sparizione dall’orizzonte dei lavoratori della scuola. Oggi faccio il professore perché fa bene alla mia vita, la fa stare “accomodata” nel posto giusto al momento giusto, ossia tra i giovani mentre sto invecchiando.
Interpretando una certa letteratura in un certo modo, da qualche tempo sono convinto che quella dei vampiri sia una storia che riguarda i riti di passaggio, e che Dracula nasconda dietro la sua tetra sagoma le prosaiche vicissitudini dell’uomo di mezza età che cerca la vita che ormai gli sfugge continuamente di mano, per cui la notte è pieno di vigore, mentre di giorno appare pallido e smorto. Credo che fare il professore, insegnare ai ragazzi corrisponda un po’ a quello che fanno i vampiri: succhiare il sangue alla gioventù per rimanere vivi. È per questo motivo fondamentale che coltivo con grande passione il rapporto con i miei allievi, che amo e prediligo sopra ogni cosa: da loro, infatti, mi viene la linfa vitale senza la quale non potrei tirare avanti nel “solido nulla” che mi circonda e che mi fa impallidire sempre più. D’altro canto, bisogna osservare che i giovani non sono da meno, e la loro prassi vampiresca – in ossequio a uno scambio vitale irreperibile in altri contesti – risulta altrettanto efficace: è arcinoto che, al cospetto di vampiri che succhiano loro la linfa vitale, gli studenti reagiscono con ardore impagabile, suggendo a loro volta, anche dai più smunti professori, molto più sangue di quello che donano.
In tutto ciò – ossia in una realtà felicemente vampirizzata – mi chiedo a che cosa possano servire i corsi di aggiornamento come quelli di cui saranno presto obbligatoriamente vittime i docenti delle scuole italiane di ogni ordine e grado. Certo, tutto può tornare utile nella vita. Questo genere di corsi, però, che propugnano una pedagogia frizzante imperlata di storytelling e tecnologia, io credo che servano a ben poco perché si fondano sulla pretesa assurda che per tutti, indistintamente, possano valere uno stesso metodo/visione, le stesse letture, le stesse impostazioni ideologiche – in una parola: lo stesso sangue (i. e. la stessa linfa vitale). Ma è risaputo che ciascuno di noi ha un gruppo sanguigno diverso, e il vero aggiornamento varia, di conseguenza, a seconda del soggetto. Ad esempio, almeno per un professore-vampiro come me, l’approvvigionamento/aggiornamento avviene di notte, immerso in una cripta a scartabellare libri & affini coerenti con la propria sete e con i propri bisogni, che non sono alla moda e che non seguono gli slogan facili dell’impegno, che vanno nella direzione della propria idea di insegnamento e dunque mirano a mantenere il sangue sempre vivo e fresco per vivificare e rinfrescare sempre al meglio gli avidissimi studenti.
Insomma, fuor di vampiresca metafora, almeno l’aggiornamento professionale, nella scuola, andrebbe lasciato alla libera iniziativa individuale, e non ingabbiato in logiche da polli d’allevamento, anche perché se ci si aggiorna come polli, alla fine soltanto polli si riesce a formare a propria volta.
Si pretende una scuola migliore, con docenti motivati e creativi, ma si continua a propinare un’impostazione “formativa” generica e generalizzante, che mortifica la ricerca approfondita, autonoma e indipendente – facendosi un bel baffo, così, anche della famigerata “libertà d’insegnamento”.
Ecco, questo è quello che, nel mio piccolo (loculo), penso di insegnamento e aggiornamento all’epoca della Buona Scuola.
Sono completamente d’accordo con te, Enrico, leggo con passione bei libri, per gusto personale, che poi però mi serve per avere energia e cose da dire ai ragazzi : mentre i fantozziani Eas mi mortificano e tolgono tempo prezioso alle mie letture.
Merci à vous, cher collègue, pour cette belle lecture nourricière que j’apprécie particulièrement, tant elle correspond à mes propres réflexions suscitées par le même constat face à l’orientation de l’enseignement en France.