di Paolo Maria Mariano
Tomasz Czapski fa la prima apparizione in Butterfly Reasons (Blauer Wald, 2014) dormendo in camicia sotto un tiglio al limitare del bosco mentre lontano, lungo una strada sterrata, passa una colonna di allievi ufficiali polacchi a cavallo, preceduti da autoblindo leggeri. Tomasz Czapski è un idealista come la tradizione e la memoria associa al suo cognome: Czapski è nome di grandi signori.
Le sue iniziali sono quelle dell’autore che non scrive il suo nome per esteso. Nulla mi è concesso di dire sulla sua persona, quindi. Il lettore accetterà con pazienza l’acronimo TC al posto del nome concreto. Sarà forse un po’ sorpreso dall’apparente mancanza di desiderio di vacuo apparire – una strana anomalia nell’ansioso fremere della contemporaneità, l’età del risentimento per Bloom. Così comunque stanno le cose, di cui invito a prendere atto senza cercare intendimenti nascosti. Confidi il lettore che non vi è alcuna motivazione ideologica né spocchia di qualche natura da parte dell’autore nell’evitare l’evidenza del suo nome. Si tratta solo del caso di una persona che aveva e non ha ancora perso capacità narrativa e ha il fervore ancora di scrivere una storia e consegnarla a chi gli sta d’intorno, il lettore, ma ha suoi intimi motivi di stanchezza che gli consigliano, quasi lo premono, dovrei meglio dire, di mantenere un distacco formale dell’opera dalla persona, dalla vita quotidiana.
Ritorniamo però al romanzo del quale la scena iniziale è il paradigma strutturale. Czapski è un giovane non ancora coinvolto nelle obbligazioni militari. Immagina che il ricordo di una grande Polonia possa ridare fiducia e slancio alla società polacca, stretta tra il gigante russo e quello tedesco, senza avere l’ausilio di difese naturali, anzi proponendosi con le sue pianure quale naturale regione di passaggio e di divisioni come previsto nel patto che in quei giorni – il tempo del romanzo – Ribbentrop e Molotov siglavano sulle spalle dei polacchi.
Con l’ambiente d’intorno che aspetta di bruciare, Czapski pensa invece al ‘400 polacco, alla transizione tra Ladislao III Jagellone e Casimiro IV, suo successore. Immagina in quel tempo la storia di un giovane pittore che s’affanna per affermare quella che pensa possa essere la sua arte e si scontra con le strutture di potere che invadono la società. Quello che Czapski vuole scrivere è un romanzo politico, un apologo sul potere che intende come unico personale contributo possibile alla difesa della Polonia. Ne parla con Aniela Rozko, la ragazza con cui condivide sogni e tenerezze. A lei la storia che Czapski vuole raccontare non piace. Lo spinge invece a guardare in maniera più diretta alla distruzione che si prepara intorno a loro, a non sognare, dormendo sotto il tiglio, mentre le truppe si muovono: la Polonia è indifesa come una farfalla ed è inutile richiamare le glorie passate quando non si hanno i panzer tedeschi o si è dieci volte inferiori di numero alla popolazione sovietica. Sarebbe forse meglio guardare la realtà per come appare, analizzandola, non offuscandola con l’illusione. È cosciente Aniela che l’illusione aiuta a sopportare le angustie e lo ripete più volte a Czapski ma il cercare di capire può essere lanterna di luce maggiore per la vita, anche se il processo non ha mai fine.
Questo è l’antefatto e su questo duplice filo la narrazione si svolge nell’alternanza di presente e immaginazione della storia del ‘400 che appare in versioni diverse di un qualche capitolo dello stesso libro di Czapski. L’alternanza è condotta con mestiere: il narratore sembra non essere un avventizio. TC, l’autore, è attratto dalla poetica insita negli oggetti e nelle loro trasformazioni. Scrive di stati d’animo attraverso i mutamenti del paesaggio intorno ai protagonisti e mai si compiace di travagli psicologici fini a se stessi. È interessato alla metafisica degli oggetti. Segue, se così si può dire, la critica che Claudio Magris fa alla (completa?) disattenzione di György Lukács per la descrizione, in favore dell’acritica narrazione delle vicende umane.
Le vicende giungono al lettore non solo dai dialoghi tra Aniela e Tomasz, e dalle discussioni accese con il loro amico Richard, che a un certo punto li abbandona e si arruola volontario, ma anche (e in alcuni passaggi soprattutto) attraverso gli oggetti su cui lo sguardo dell’autore si sofferma. È questo il caso di un orologio che giunge dalla Svizzera a Czapski, regalo della nonna in viaggio perenne tra le alpi e la riviera francese. È anche il caso delle descrizioni degli armamenti in dotazione all’esercito polacco che Richard incontra nel suo periodo di preparazione all’utilizzo effettivo nell’esercito e di cui scrive con dettaglio ossessivo agli amici, comparando le armi con quelle che sono a disposizione dei soldati tedeschi, della cui natura i militari polacchi sono a conoscenza. Czapki e Aniela sono informati della morte di Richard a Katyn, morte non certa, ma probabile come per tutti gli ufficiali lì imprigionati: un colpo alla nuca preceduto dalla finzione dell’interrogatorio, nell’ipocrisia che intrise la pulizia di classe che i russi cercarono di compiere, eliminando migliaia di ufficiali polacchi nell’idea di distruggere una possibile classe dirigente per quel paese che figuravano ormai spartito con i tedeschi. Gli omicidi di Katyn popolano la seconda parte del romanzo di TC che si concentra sul ruolo dell’informazione e della mistificazione nell’esercizio delle funzioni di potere. Aniela cerca di attirare l’attenzione di Czapski sul reale andamento degli eventi, sulla strage di Katyn, soprattutto su come sia russi sia tedeschi (questi ultimi impegnati con i forni dei loro campi) divulgarono informazione alterata della vicenda, e sulla questione di Danzica. Il romanzo continua con porzioni epistolari: non ci sono più le lettere di Richard ai due amici ma lo sguardo del lettore arriva alla storia attraverso le missive che Aniela scrive a Jap van der Meulen, un prozio acquisito che considera come guida, un anziano professore di filosofia di Leida. Le lettere di Aniela non sono sempre inframmezzate dalle risposte dell’olandese: la storia impedisce un servizio postale completamente efficiente. Czapski s’imbatte in esse durante una visita inaspettata alla casa della famiglia di Aniela in un momento in cui la ragazza è ancora impegnata in una lezione di violoncello. Quella lettura furtiva, di cui quasi Czapski si colpevolizza, pur essendo una corrispondenza senza segreto alcuno, spinge il ragazzo a riconsiderare le discussioni con Aniela da un punto di vista che prima gli sfuggiva, una riflessione, questa, che porta la vicenda nel romanzo a prendere una direzione verso una conclusione non prevedibile da chi è spinto a leggere.
A proposito, la notizia della morte di Richard si scopre d’un tratto falsa: Richard aveva disertato prima di Katyn e la famiglia aveva avuto l’idea di nasconderlo dicendolo morto (in verità il lettore non riesce a saperlo esplicitamente ma lo intuisce) e finisce in Arizona a fare lo speculatore edilizio, grasso e calvo, perennemente sudato ma pieno di soldi, dimentico dei due amici, della Polonia. La foga patriottica è finita nel denaro.
TC, la cui frequentazione con la rappresentazione degli eventi storici della Polonia non è evidentemente limitata a superficiali e scarse letture d’occasione, traccia gli eventi attraverso la persistente ricerca di uno stile asciutto, caratterizzato da una scelta delle parole in funzione del ritmo musicale che esse creano del dipanarsi della pagina.
Butterfly Reasons è un libro scatola. Contiene almeno tre romanzi: la storia di Aniela e Tomasz, il romanzo che Czapski vuole scrivere e del quale si leggono capitoli che costituiscono una narrazione compiuta, il romanzo epistolare che coinvolge Jap van der Meulen. Il fondo di tutto è la ricerca di un’etica del rispetto di valori d’umanità. La critica emerge nelle descrizioni, negli sguardi, nelle vicende minute, narrate con lo spirito storico degli Annales; non è declamata e per questo è più efficace. Vi è anche, però, una forte attenzione dell’autore alla prosodia: le idee sono arricchite nel ritmo delle parole che si rincorrono sulle molte pagine di questo romanzo che aspirerebbe a contenere un mondo per l’iperbole delle sue dimensioni (personalmente preferisco opere più contenute ma ciò non mi esime dall’esprimere apprezzamento quando la lunghezza è giustificata dalla mancanza di perdita del ritmo della narrazione e non contiene eccessive naturali cadute di tensione nello stile, come mi appare in questo caso). La vicenda, come si vede, è articolata ma si può terminare qui di narrarla scrivendo le ultime parole di questo rigo.