di Ferdinando Boero
Il “Quotidiano” spesso pubblica articoli di docenti universitari che contestano i sistemi di valutazione della ricerca universitaria. Ultimo quello di Enrico Mauro giovedì scorso. Le critiche sono puntuali e fondatissime: i libri vanno letti, per essere giudicati. Però è anche vero che la lettura delle primissime pagine, e delle ultime, e della bibliografia può immediatamente permettere di capire se un testo vale la pena di esser letto oppure no. Esiste una consistente porzione dell’editoria scientifica che offre occasioni di pubblicazione a pagamento a chi voglia costruirsi un curriculum. Ricevo ogni giorno offerte da parte di riviste ad accesso libero che mi invitano a pubblicare i miei articoli presso di loro. Pagando, s’intende. Un giornalista scientifico ha inviato articoli taroccati a decine di queste riviste. Articoli palesemente fasulli. E tutti sono stati accettati. Lo stesso vale per gli editori “locali” che pubblicano testi di docenti che si fabbricano così un curriculum scientifico a pagamento. Basta pagare e tutto viene pubblicato. Spesso sono le stesse Università a sobbarcarsi le spese di pubblicazione, comprando in anticipo un numero sostanzioso di copie, che poi finiscono nei fondi delle biblioteche. Non arriveranno mai nelle librerie e nessuno mai li leggerà. Servono solo agli autori, per gonfiare il proprio curriculum.
Sappiamo quali sono queste riviste e sappiamo quali sono questi editori. Lo sanno tutti, nel mondo accademico. Per me, per principio, se un autore pubblica la sua opera in questo modo, non merita il tempo necessario per la lettura dei suoi prodotti. Le tribune che ha scelto lo squalificano. Che ne scelga di migliori. Ci sono riviste che hanno un comitato di redazione rigorosissimo, e altre che non hanno filtri per la scelta di cosa pubblicare.
Comprendo però ogni accusa al sistema di valutazione. Solo che, e continuo a ripeterlo dopo la pubblicazione di ogni articolo critico nei confronti della valutazione, vorrei vedere anche la proposta di altre modalità di valutazione. Invece di solito non ce ne sono, come se la valutazione fosse una iattura dalla quale liberarci al più presto. Se le cattive valutazioni sono una iattura, lo è anche l’assenza di valutazioni, e lo è anche la valutazione basata su cattiva informazione.
Se un giovane (assieme ai propri genitori) deve decidere dove iscriversi all’Università, è normale che aspiri a frequentare un Ateneo di valore. Valuta le varie opzioni e sceglie. I criteri possono essere moltissimi. L’ammontare delle tasse, la piacevolezza del clima della città che ospita l’Università, le scelte dei propri amici, e molto altro. Rimane però al primo posto, nella serie di criteri di valutazione, il prestigio dell’Università. Perché le Università non sono tutte uguali. Le valutazioni si fanno eccome. Se ci sono valutazioni ufficiali, con criteri espliciti, l’arbitrarietà delle opinioni formatesi per “sentito dire” diminuisce. Se le valutazioni sono basate su criteri inattendibili, è interesse delle Università pretendere che siano effettuate in modo differente, proponendo alternative. Trovare le magagne delle attuali valutazioni è assolutamente necessario e, parallelamente, è necessario proporre valutazioni migliori. Il costo delle valutazioni non è indifferente. Pretendere “comitati di lettura” che leggano veramente tutto quanto prodotto e che poi esprimano giudizi dettagliati su ogni opera è costosissimo. Se un libro viene pubblicato da Oxford University Press, una casa editrice rigorosissima nella scelta di cosa pubblicare, e un altro è pubblicato da un editore locale che, a pagamento, pubblica qualunque cosa venga proposta, la differenza è deducibile anche senza leggere i libri. E’ verissimo che, ogni tanto, Oxford pubblichi libri di scarso valore, e che l’editore locale pubblichi lavori di grande valore. E’ però inopportuno che un autore che produce libri di grande valore si accontenti di pubblicarli presso editori di scarso rilievo. Il sistema di valutazione deve incoraggiare gli autori a valorizzare quanto più possibile le proprie opere, collocandole presso editori di prestigio. So, da colleghi che operano in aree umanistiche, che l’Agenzia di Valutazione ha stilato elenchi di riviste ed editori ritenuti di livello superiore rispetto ad altri, secondo criteri non condivisibili. L’Agenzia, comunque, manda un numero rilevante di prodotti (articoli o libri) ad esperti che li valutano direttamente, proprio per mediare tra una valutazione della collocazione editoriale rispetto all’effettivo contenuto dell’opera. E ci sono casi in cui prodotti collocati presso editori o riviste di prestigio siano poi valutati meno rispetto a prodotti collocati in modo meno congruo, e che prodotti collocati “male” si rivelino invece ottimi. Non esiste un modo perfettamente oggettivo di valutare alcunché, ma questo non giustifica la non valutazione. Perché, alla fine, le valutazioni vengono fatte comunque. Prima di tutto dagli studenti che decidono dove iscriversi. E’ doveroso, da parte di ogni Università, chiedere di essere valutata in modo esplicito e questo conviene soprattutto alle Università meno prestigiose nominalmente. Oggi ho ricevuto uno studente salentino che si è iscritto in una prestigiosissima Università italiana e che, ora, vuole fare la sua tesi di laurea presso l’Università del Salento. Ha pagato le tasse in quell’Università però vuole usufruire dei servizi offerti dalla nostra Università perché li ha valutati di qualità superiore. Quando ha deciso dove iscriversi ha “valutato” e ha deciso che valesse la pena andarsene. Per poi accorgersi che sotto casa aveva di meglio. Migliaia di studenti pugliesi abbandonano la Puglia per andare altrove per conseguire un titolo di studio. Lo fanno in base a una personale valutazione. Magari per accorgersi poi di avere sbagliato. L’unica arma che abbiamo per farli restare, e per attirare studenti da fuori regione, è il buon esito delle valutazioni di quel che facciamo e la conseguente pubblicizzazione dei risultati. Un’Università il cui personale rifiuta a priori le valutazioni produce la situazione attuale: gli studenti se ne vanno.
L’Università deve valorizzare al massimo quel che di buono ha da offrire e deve cercare di far aumentare il livello medio del resto, in modo da aumentare il proprio prestigio e la propria attrattività. Dovendo scegliere tra un’Università ai vertici delle valutazioni attuali e di una che dice che le valutazioni non servono, avendo magari ottenuto basse valutazioni, dove mandereste i vostri figli? La risposta la conosciamo, la danno le migliaia di studenti che abbandonano la Puglia. Dobbiamo fare in modo che restino qui e non conosco altro modo che un’offerta di alta qualità, e l’alta qualità deve essere certificata da qualcosa. Qualcosa che si chiama valutazione. Intanto troviamo criteri migliori e applichiamoli al nostro interno.
[“Nuovo Quotidiano di Pugllia”, venerdì 31 marzo 2017]