di Paolo Maria Mariano
Shakespeare and Company ha la porta d’ingresso collocata nel punto in cui il marciapiede di rue de la Bûcherie ha un avvallamento lieve mentre costeggia la Senna lungo la Rive Gauche. L’edificio è del sedicesimo secolo ed era, un tempo, un monastero, La Maison du Mustier. La libreria, Shakespeare and Company, è al piano terra. Il primo piano è stato abitato fino al 14 dicembre 2011 da George Whitman che nel 1951 l’inaugurò, chiamandola all’inizio Le Mistral e poi rinominandola con l’attuale denominazione nell’aprile del 1964, in onore del quattrocentesimo compleanno di Shakespeare e in ricordo dell’omonima libreria di Sylvia Beach in rue de l’Odeon, dove si erano intrattenuti anni prima Heminghway, Geltrude Stein, Francis Scott Fitzgerald, Ezra Pound, Eliot. Di fronte all’ingresso, il lato destro di Notre Dame sale in alto, gioiosamente severo. È il chilometro zero: da lì cominciano per convenzione le strade di Francia. Se si apre la porta, si entra in un mondo antico inglese, fatto di libri in inglese, una sorta di altro universo popolato da scrittori di lingua inglese e da chiunque cerchi un libro in inglese, sia o meno capace di leggerlo. George Whitman era nato a East Orange il 12 dicembre 1913: quel mondo, così tipicamente vecchia Inghilterra, è stato invece inventato da un americano del New Jersey. Ho creato questa libreria come un uomo che scrive un romanzo, costruendo ciascuna stanza come un libro, e mi piacciono le persone che aprono la porta come aprono un libro, un libro che porta nel mondo magico della loro immaginazione. Così George Whitman affermava. E poi aggiungeva che nella sua iniziale intenzione si doveva trattare una sorta di utopia sociale mascherata da libreria. Così c’era gente che aiutava nella gestione, gente che prendeva momentaneamente i libri per leggerli non potendo comprarli – una libreria ma anche in parte una biblioteca, quindi –, infine gente che comprava i libri, com’è naturale che sia perché il negozio sopravviva. Presto diventò un rifugio letterario per espatriati. Tanti scrittori, veri scrittori, non scriventi, secondo la distinzione di Barthes, si sono attardati nelle piccole stanze della libreria, con gli scaffali fino al tetto, o su per la scala stretta, nelle salette di lettura, accanto alla postazione con la macchina per scrivere, dove sono state composte tante piccole autobiografie, lasciate lì dalla gente di passaggio, o infine sul sofà, un piccolo letto, in verità, dove tanti scrittori non abbienti sono stati ospitati quando il negozio chiudeva, a completa discrezione di George Whitman. Lawrence Ferlinghetti, poeta della beat generation, amico della sorella di George, Henry Miller, Anaïs Nin, James Joice, Julio Cortázar, nei primi anni, Jonathan Safran Foer e Dave Eggers più di recente appartengono alla lista di chi si è attardato in quella libreria. Gli ultimi due sono stati visti anche dal grande gatto bianco che alloggia comodo al primo piano, preferendo apparentemente la sala di lettura più grande.
Una libreria è un luogo dove si vendono idee. Il librario ha un ruolo educativo non irrilevante quando consiglia un libro, soprattutto a chi non è aduso alla lettura frequente. E questo ruolo può essere negativo se il libraio indica scritti effimeri nel timore di spaventare il cliente e nel voler sbrigativamente soddisfare il suo desiderio superficiale. Al contrario, ha un ruolo positivo, anzi, costruttivo quando stimola il cliente con letteratura robusta, portatrice di valori estetici duraturi. Così è quando si guardano i libri in evidenza negli scaffali o sui pochi banchi di Shakespeare and Company e si ha una qualche esperienza per valutare come sono stati scelti. Si può allora pensare che nelle giuste misure una libreria può indicare strade, suggerire di aprire porte e finestre, lasciando entrare aria fresca.