di Enrico De Vivo
per Amedeo
C’era una volta un giovane studente, che era arrivato sulle rive di un fiume e guardava un coccodrillo impigliato nelle erbacce dure di una secca. L’animalaccio si divincolava, menava la coda di qua e di là, storceva le fauci allargandole o stringendole con violenza. Ma sempre più come un cappio inesorabile, le erbacce dure e resistenti, anzi resistentissime, gli si stringevano intorno all’ampio collo, soffocandolo a poco a poco.
Il giovane studente esitò, osservando il povero coccodrillo soccombente davanti ai suoi occhi. Infine si risolvette a intervenire per liberarlo, non sopportando quella vista orribile di quella morte orribile per un animale che – per quanto orribile – era pur sempre un essere vivente. Così pensava lo studente, e gli sembrava un pensiero degno e altissimo. Decise allora di avvicinarsi. Con poche mosse ben calibrate districò le erbacce durissime e resistenti, lasciando all’animale libertà di movimento per scivolar via dalla terribile secca.
Messa in salvo la pelle, il coccodrillo si diresse con un balzo netto e orizzontale verso lo studente, apprestandosi ad afferrarlo all’altezza dei calcagni. Lo studente, stupefatto oltre che spaventato, cercava di sfuggire alle grinfie dell’animalaccio, che ormai inesorabilmente era sul punto di addentarlo. Ebbe, nello stesso momento, un sussulto e un’intuizione. Esclamò, rivoltò all’animale: “Fermati, amico, io ti ho appena salvato la vita, e tu vuoi mangiarmi? Sei un ingrato!”. E il coccodrillo: “Ti sbagli, io sono un coccodrillo, ingrato non so che cosa significhi”. E il giovane studente: “Hai ragione fino a un certo punto. In fondo, siamo entrambi esseri viventi e …”. “Poche storie”, ribatté il coccodrillo, già stufo di discorrere, “io coccodrillo devo mangiare te giovane e tenero uomo. Stop”. “Concedimi solo un minuto”, implorò lo studente, “chiediamo il parere di qualcuno che possa giudicare la questione da un punto di vista imparziale”.
Proprio in quel momento, si trovava a passare da quelle parti una volpe, che aveva adocchiato la scena e si era sistemata dietro un cespuglio per assistere all’imminente macabro spettacolo. “Signora volpe”, chiamò lo studente, “volete giudicare voi se il coccodrillo qui presente ha ragione in una certa questione che vi sottoporrò?”. La volpe, senza esitare, rispose di sì, ma a una condizione: che poi lo studente la ospitasse a casa sua, possibilmente facendola dormire insieme alle sue galline nel pollaio, perché lei amava molto la compagnia delle galline, eccetera eccetera…. Lo studente, che non aveva molta scelta, acconsentì.
La volpe, allora, fattasi avanti, chiese di ricostruire la scena iniziale dal vivo per poter giudicare correttamente sulla questione. Era una volpe seria, lei, – diceva – non si sarebbe mai azzardata a esprimere un giudizio che poteva valere la vita o la morte, senza aver prima soppesato e valutato de visu ogni più piccolo particolare.
Lo studente anche stavolta acconsentì, e anche il coccodrillo, stranamente senza batter ciglio né fauci, acconsentì. Come in un veloce flashback, i tre presero a ricostruire la scena iniziale, provvedendo a legare per la gola il coccodrillo alle erbacce nella secca terribile. Una volta imprigionato il coccodrillo, la volpe disse allo studente: “Eccoti servito, adesso possiamo andare, sei salvo”.
E così, mentre il giovane studente ancora meditava sul tranello che la volpe era riuscita a metter su in un battibaleno con somma scaltrezza, il coccodrillo, soffocando pian piano tra divincolamenti e agitazioni di coda, si spense tra orrendi spasmi, schiumando bava di colore verdognolo. “Allora, andiamo?”, chiese la volpe, impaziente di recarsi a fare compagnia alle galline.
“Certo, andiamo”, rispose il giovane studente, che, afferrato prontamente un sacco che non si sa come aveva con sé, ve la rinchiuse, abbandonandola tra i cespugli e tornandosene infine a casa felice e contento. Oltre che, come si dice a Napoli, “imparato”.