Dimenticare

 

di Luigi Scorrano

Dimenticare apre alla nostra riflessione uno scenario che ha aspetti positivi e un’altra i cui aspetti diremmo genericamente negativi. Insomma, da una parte i buoni, dall’altra i cattivi. Ma le divisioni rigide non sempre sono veritiere e dobbiamo concedere un poco, quando valutiamo il dimenticare come una facoltà complessa della nostra mente, alla possibilità di sbagliare. Dimenticare aiuta a mettere da parte esperienze sgradevoli, rimuove errori, ci apre spazi nuovi ad esperienze che riteniamo tutte sicure perché forti di quanto prima avevamo respinto e considerato magari con un severo metro di giudizio. Ci sono, però, cose che non riusciamo o non vogliamo dimenticare.

Non siamo disposti, ad esempio, a dimenticare un’offesa il cui ricordo tendiamo ad ingigantire per rafforzare il nostro rancore. Ci confermiamo nella memoria di un episodio spiacevole e subiamo, più che non determiniamo il comportamento che ne scaturisce.

La nostra mente è ferma al torto subito, vero o immaginario che sia; non trova ragioni di perdono oppure solo di umana tolleranza. Ogni voce che inviti alla comprensione è destinata a cadere nel vuoto; di porgere l’altra guancia è un suggerimento che nemmeno ci sfiora. Il cuore indurisce in una posizione che vuol essere di fermezza ed è solo forma di una irragionevole ostinazione.

Ricordare significa rivivere: ciò che ha potuto ferirci ritorna insistente alla memoria, rinverdisce malanimo e desiderio di dare una risposta a quello che ci è accaduto.

Questa tenace memoria nasce da una dimenticanza profonda: quella del precetto cristiano del perdono se si è cristiani; quella di un costume di riflessione se ad altri valori si guarda, a un comportamento civile che mette  tra le sue virtù laiche la tolleranza o, ancor più, una gentilezza d’animo che comprende e sa trovare una parola ragionevole da opporre al desiderio di violenza di chi medita ritorsione e vendetta.

Dimenticare sembra un sogno, quando si  guardi alle situazioni che sono sotto i nostri occhi. Si dimenticano le promesse di realizzare un bene che sia comune; si dimentica il proprio ruolo per imporre il proprio potere; non ci si ricorda delle troppe iniziative fondate su bugiarde buone intenzioni; e tanto altro potrebbe essere sottoposto alla nostra attenzione.

Nei testi sacri spesso leggiamo che gli uomini dimenticano Dio, che li ha sorretti in tutte le circostanze più difficili della loro vita. Come Caino, dimenticano d’aver ucciso il fratello; dimenticano di soccorrere il bisognoso, di curare le ferite di chi è stato assalito quando camminava sicuro per la strada… Dimenticano quello che vedono, perché preferiscono dimenticare velocemente. Dimenticano i danni procurati alla società da azioni condannabili; dimenticano che ci sono popolazioni disperate che tendono verso di loro le mani supplicando e non ricevono nemmeno uno sguardo pietoso; dimenticano il dovere della solidarietà.

Troppe dimenticanze, davvero! Davanti a quelle, colui che porta la sua pietra per la costruzione di un mondo migliore ha ceduto ad una pericolosa illusione? O vede ancora davanti ai suoi occhi fiorire l’erba tenace della speranza?

C’è chi sa che dimenticare non serve.

[“Il Galatino” a. L n. 4 del 24 febbraio 2017, p. 4]

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