L’elogio di Eusebia, donna lungimirante

di Pietro Giannini

Alla morte di Constantino, mentre i suoi figli erano designati come Augusti, un tumulto militare eliminò il resto dei suoi parenti maschi. All’eccidio sopravvissero solo i figli del fratellastro Giulio Costanzo, cioè Giuliano e Gallo. Tenuto sotto stretta sorveglianza, Giuliano si dedicò agli studi letterari e filosofici, cui si sentiva particolarmente incline. Da tali studi fu distolto nel 355, quando l’Imperatore Costanzo lo nominò Cesare e gli affidò il governo della Gallia, allora percorsa da torbidi interni. A caldeggiare con vigore questa nomina era stata la moglie dell’Imperatore, Eusebia, che aveva dissipato alcuni sospetti che gravavano sul giovane principe, aveva insistito sul suo nome contro il parere della corte imperiale e aveva vinto alcune titubanze dello stesso Giuliano, che esitava ad abbandonare la tranquillità dei suoi studi. Giunto in Gallia, Giuliano sentì il dovere di sdebitarsi nei confronti dei sovrani scrivendo due elogi per Costanzo e l’elogio di Eusebia. Se però l’elogio di Costanzo rientrava nella tradizione del basilikòs logos, era eccezionale l’elogio dell’Imperatrice, che, secondo la consuetudine del tempo, poteva trovare posto solo nell’elogio dell’Imperatore. Invece qui, pur motivata dalla gratitudine verso Eusebia, affermata nei capitoli iniziali, troviamo una trattazione autonoma che tocca i punti canonici relativi a: “la patria, i genitori e come si sposò e con chi” (cap. 3). Così veniamo a sapere che Eusebia è di origine macedone, è nata a Tessalonica, è figlia di un console e per le sue doti personali è stata prescelta come moglie dall’Imperatore. Naturalmente queste scarne notizie trovano ben altro sviluppo nel testo, che dà ad esse lo sviluppo richiesto da un discorso di lode sia sul piano dei temi narrativi (della inventio, potemmo dire), che sono arricchiti da continui riferimenti storici e mitologici, sia sul piano della esposizione (della elocutio, quindi) che si avvale di una lingua elegante e retoricamente sostenuta e da frequenti citazioni (soprattutto da Omero).

Tutti questi aspetti del contenuto e della forma (di cui si può dare qui solo sommario cenno) sono ben presenti nel lavoro di traduzione e commento fatto da Adele Filippo nella recente edizione dell’elogio pubblicata con la consueta cura dall’Editore Fabrizio Serra, con il contributo del Dipartimento di Studi umanistici dell’Università del Salento e dalla Fondazione Puglia. La traduzione segue da vicino il testo greco offrendone una lettura chiara ed elegante; il commento illustra esaurientemente i vari referenti del testo ma si sofferma con particolare attenzione sulla sua articolazione argomentativa e sulle strategie discorsive che alimentano il contatto con il pubblico, cui l’elogio era destinato. Una Introduzione e due indici (dei luoghi citati e delle parole), curati da Marco Ugenti, arricchiscono il volume.

Entrando brevemente nel merito del testo, e seguendone la traduzione, possiamo osservare che, volendo celebrare le virtù di Eusebia (e cioè “la sua intelligenza e bontà e moralità e umanità e clemenza e liberalità”, cap. 8) Giuliano ricorda in particolare due sue doti.

La prima è la sua capacità di farsi amare dal marito, e qui il paragone ovvio è con la Penelope omerica della quale (dice Giuliano) “questo, in particolare… ammiro, l’avere… indotto il marito ad amarla fortemente e teneramente, disdegnando, come dicono, nozze divine e sprezzando non meno la parentela dai Feaci”, cap. 8). Si può rilevare, en passant, che Penelope è anche un termine di confronto per la madre di Eusebia alla quale, rimasta vedova, nessuno osò rivolgersi come pretendente, mentre la moglie di Ulisse molti giovani si proposero come marito (cap. 6): una matrona romana entro una cornice greca.

La seconda è la sua umanità, per cui ella interviene presso l’Imperatore per fargli usare, nei casi possibili, una particolare indulgenza nei processi; in tal modo Eusebia “diviene partecipe delle decisioni del marito e sollecita il sovrano, per natura mite e nobile ed amabile, più confacentemente a quelle sue inclinazioni naturali e indirizza l’esercizio della giustizia al perdono”, cap. 8).

Naturalmente larga parte hanno nell’esposizione gli interventi dell’Imperatrice in favore di Giuliano, che culminano nel colloquio decisivo avuto con lei: “Ed io, non appena fui, per la prima volta, al cospetto di lei, ebbi l’impressione di vedere, come edificata in un tempio, la statua della modestia. Un sentimento di rispetto m’invase l’animo e tenni gli occhi, assai a lungo, saldamente fissi al suolo, finché ella mi incitò a farmi coraggio e: «Alcuni appoggi – disse- già li possiedi, te ne verranno anche altri con l’aiuto di Dio, se solo sarai fedele e leale nei nostri confronti»”. Le parole dell’Imperatrice, riportate da Giuliano, testimoniano la sua benevolenza ma anche un certo pragmatismo. Pragmatismo che lo storico Zosimo mette all’origine vera della scelta di Eusebia, come commenta Adele Filippo: “Se… la fortuna gli fosse stata propizia, il giovane Cesare, secondo Eusebia, avrebbe ascritto a Costanzo il merito dei suoi successi, se, invece, fosse morto, sarebbe scomparso l’ultimo superstite della stirpe imperiale, ipotetico aspirante al potere” (p. 152). Ma di ciò non vi è traccia nel discorso, e non altera la lode tributata, così come non incide su di essa il fatto, riferito sempre da Giuliano, che ella, sfruttando la benevolenza dell’Imperatore “ricolmò di onori tutta la sua parentela e i congiunti…; e non solo ai parenti procurò… vantaggi, ma anche a chiunque seppe legato da vincolo di ospitalità acquisito con gli avi della madre”, cap. 10). Una prassi normale per quei tempi. Ma, tra gli atti compiuti dall’Imperatrice nei suoi confronti, quello che ha reso “straordinariamente felice” Giuliano è stato il dono di una grande quantità di libri “di filosofi e di validi storici e di numerosi retori e poeti” (cap. 15) che egli ha portato con sé in Gallia, alcuni dei quali lo accompagnano anche nelle campagne militari.

Tuttavia la formazione letteraria e retorica, acquisita con i suoi studi, non gli consente di ricevere l’apprezzamento dei “beati sofisti” del tempo che diranno che egli “avendo messo insieme fatti di poco conto e insulsi, li riferisca come se si trattasse di qualcosa di notevole”. Una polemica, non isolata nell’opera di Giuliano, con la quale egli, contro gli artifici della retorica ufficiale, rivendica il suo metodo consistente nel “dire la verità come viene”(cap. 17).

L’atteggiamento di Giuliano rivela la sua personalità schietta e talvolta rude, come egli stesso ama rappresentarsi nel Misopogon, “L’odiatore della barba”, scritto contro i raffinati Antiocheni, opera magistralmente edita da Carlo Prato.

La menzione di Carlo Prato non è casuale. Nella nota introduttiva sulla tradizione manoscritta Adele Filippo ricorda che la sua edizione si basa su “appunti e scambi di vedute” avuti con lui quando egli progettava di dare una edizione dell’opera omnia dell’Apostata, progetto interrotto dalla sua morte (p. 21). I riflessi di queste discussioni traspaiono nei criteri cautamente conservativi che Adele Filippo adotta nella contitutio textus e in alcune felici scelte testuali. Gli “scambi di vedute” sono (come ella stessa dichiara) “frutto di una frequentazione continua e di un lavoro a tavolino fianco a fianco”. L’espressione ci restituisce un’immagine di Carlo Prato che chi ha avuto la fortuna di lavorare con lui conosce bene: quello dello studio condotto “fianco a fianco”, senza gerarchie che si traducessero in collocazioni di sapore cattedratico, ma nella modestia di un lavoro comune da compiere, in cui tutti potevano essere nello stesso tempo maestri ed allievi.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, martedì 3 gennaio 2017, p. 29]

 

 

Questa voce è stata pubblicata in Recensioni e segnalazioni e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *