di Antonio Errico
Se non fosse per la circostanza particolare che il fatto continua a procurare danni culturali, storture di pensiero, equivoci, pregiudizi, suggestioni e condizionamenti vari, si potrebbe anche, con tranquillità, relegare il tutto nella sfera dei ragionamenti inutili, dei luoghi comuni, della retorica vacua.
Ma probabilmente non si può evitare di considerare con preoccupazione o stupore, a seconda delle posizioni di ciascuno, che, a millennio ampiamente cominciato e dopo un Novecento culturalmente straordinario, ancora resista e sia anche diffusa la contrapposizione tra pensiero umanistico e pensiero scientifico e, di conseguenza, tra le loro applicazioni, i loro esisti, le loro espressioni. Non è bastata la lezione psicologica di Jerome Bruner, né quella narrativa e saggistica di Italo Calvino. Tanto per fare due, ma essenziali, riferimenti. Per non pochi, la scienza continua a stare, per fatti suoi, da una parte; la poesia – termine con cui qui si compendia ogni forma d’arte- continua a stare, per fatti suoi, dall’altra.
Una volta, Leonardo Sinisgalli scrisse: “La Scienza e la Tecnica ci offrono ogni giorno nuovi ideogrammi, nuovi simboli, ai quali non possiamo rimanere estranei o indifferenti, senza il rischio di una mummificazione o di una fossilizzazione totale della nostra coscienza e della nostra vita. (…) Scienza e Poesia non possono camminare su strade divergenti. I poeti non devono avere sospetti di contaminazione. Lucrezio, Dante e Goethe attinsero abbondantemente alla cultura scientifica e filosofica dei loro tempi senza intorbidare la loro vena. Piero della Francesca, Leonardo e Durer, Cardano e Della Porta e Galilei hanno beneficiato di una simbiosi fruttuosissima tra la logica e la fantasia”.
Quando Sinisgalli scriveva queste cose era il 1951. Sinisgalli era poeta, laureato in ingegneria elettronica e industriale, esperto di architettura, grafica, pubblicità, design. Dunque possedeva conoscenze diverse, diverse modalità di comunicazione, sapeva decifrare e interpretare codici diversi.
Scienza e poesia non possono camminare su strade divergenti, diceva, dunque. Le motivazioni sono molte, moltissime. Ma fra le molte, moltissime motivazioni, ce n’è una che forse diventa imparagonabile con qualsiasi altra, che viene prima, che è più importante, che ha più valore, probabilmente anche più senso perché contempera e sintetizza ogni altro senso, che più di ogni altra rappresenta un uomo, una comunità, una civiltà.
È la più semplice delle motivazioni, e la più preziosa; è questa: la scienza è espressione di libertà; la poesia è espressione di libertà.
Libertà di pensare e ripensare, di fare e di rifare, di creare e ri-creare, di esprimere, di riformulare, di oltrepassare i confini di qualcosa, di scombinare l’acquisito, di scomporre e ricomporre conoscenze, di immaginare l’inimmaginato, di dire il non detto, oppure di dire in modo diverso il già detto. Di opporsi a chi intende, dichiaratamente o celatamente, negare libertà.
Scienza e poesia si sviluppano in tempi di libertà, oppure costituiscono le condizioni per tempi di libertà. L’una e l’altra hanno la finalità ansiosa di dare di più. L’una e l’altra muovono dalla necessità di colmare un vuoto, rispondono ad un bisogno, intendono neutralizzare una mancanza. L’una e l’altra cercano quello che è oltre.
La ricerca è libertà. La ricerca, come libertà, a volte si paga a prezzo caro: molto caro.
Fare nomi di scienziati che hanno pagato a prezzo molto caro la loro libera ricerca, sarebbe scorretto nei confronti di coloro che non vengono nominati. Fare nomi di poeti, di artisti, che hanno pagato a prezzo molto caro le parole di una – una sola- poesia, sarebbe scorretto nei confronti degli altri. Per questo non ne facciamo.
Certo, si potrebbe anche negare che scienza e poesia siano due forme di libertà che si manifestano con metodi e forme diverse. Certo, si ha libertà anche di negare, e di chiudere il discorso a questo punto. Ma se non si nega, se si condivide l’affermazione, allora non si riesce a capire per quale ragione ancora persista la contrapposizione tra scienza e poesia. Se non si nega, non si dovrebbe fare altro che individuare, progettare, realizzare modi per far convergere la ricerca di libertà che l’una e l’altra conducono. In ogni luogo in cui far questo risulta possibile, e non c’è luogo in cui non sia possibile. La convergenza produrrebbe una ricerca almeno raddoppiata, comunque più forte perché integrata, e forse i vantaggi che se ne trarrebbero sarebbero significativamente maggiori. Rinunciare ad una o all’altra, produce invece vantaggi minori, quindi mancanze: la mancanza di una libertà.
Allora è necessaria, indispensabile, una condivisione degli orizzonti verso cui tende la ricerca, anche se per andare verso l’orizzonte si percorrono strade differenti.
Allora è necessario, indispensabile, che lo sviluppo scientifico abbia una costante, sistematica, strutturale relazione con la dimensione di sviluppo dell’essere. Perché quello che conta, essenzialmente, al principio e alla fine di ogni percorso di ricerca, di ogni sperimentazione, indipendentemente dal fatto che riguardi – che so- le cellule staminali o la simbologia del poetico, consiste nel determinare condizioni per stare bene o meglio su questa trottolina pirandelliana cui fa da sferza un fil di sole, su un granellino di sabbia impazzito che gira e gira e gira senza posa.
Contrapporre sapere scientifico e sapere umanistico, formare un pensiero che escluda uno dei due, oltre che rinunciare ad un sapere, o indurre alla rinuncia, comporta la rinuncia ad una libertà.
Ad un sapere non si rinuncia. Ad una libertà non si rinuncia.
Ognuno dovrebbe essere, anche soltanto per se stesso, un umile fisico e un umile poeta, allo stesso tempo. Dice Cicerone nel “De oratore”: “Siano pure detti poeti anche coloro che i greci chiamano fisici, dal momento che il fisico Empedocle scrisse un poema egregio”. Eppure, nonostante i secoli e le dimostrazioni che sono venute dalla scienza e dalla poesia, noi perseveriamo, in molte occasioni, a contrapporre i fisici ai poeti, la scienza all’arte, senza riuscire a comprendere che sono una maniera per dire con forme diverse e diverse lingue che siamo liberi o cerchiamo libertà. Che lo si dica con un verso, una formula, una musica, un colore, il silenzio in una scena di teatro, il senso rimane quello identico: siamo liberi o cerchiamo libertà.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, giovedì 2 febbraio 2017]