Iuncturae augura ai suoi lettori e ai suoi scrittori Buone Feste

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Per una critica della ragione militare

di Antonio Prete

Nelle guerre in corso l’orrore, giorno dopo giorno, è addomesticato, reso tollerabile perché evocato come notizia tra le notizie, come accadimento quotidiano e usuale: la stessa parola guerra finirà con essere rubricata accanto a voci come borsa, sport, cronaca nera e di costume. Le tante testimonianze di reporter e giornalisti esposti al pericolo ci trascorrono dinanzi agli occhi, con la loro immensa gravità, senza che l’indignazione dal singolo si estenda alla moltitudine, senza che il sapere del dolore sconfinato si trasformi in un grido, senza che la conoscenza diventi denuncia assidua e corale delle responsabilità.

E anche laddove alcune parole potrebbero avere in sé una più adeguata corrispondenza alla sconfinata violenza messa in atto, si ricorre ad attenuazioni, a distinzioni, a rassicuranti comparazioni storiche: la parola genocidio, usata per indicare quel che accade a Gaza, è apparsa e continua ad apparire a molti impropria (anche se il Papa e alcune inchieste delle Nazioni unite l’hanno adoperata). Un’anestesia del tragico permette di non introdurre il turbamento e l’angoscia nel ritmo delle giornate e nelle quotidiane occupazioni.

Se nei decenni trascorsi alcune guerre provocavano tra intellettuali, scrittori, artisti, forti prese di posizione, appelli condivisi, analisi – penso a quel che accadde con la prima guerra del Golfo – ora l’indignazione non trova le vie di una sua rappresentazione diffusa. E persino le condanne emesse, su certificata e incontestabile documentazione, da una Corte internazionale di giustizia suscitano riserve, distinzioni, tentativi di neutralizzazione.

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Luigi Latino, La linea quasi scura

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Dell’arte del costruire o del Salento che continua a stupire

di Hervé Cavallera

   Con una regolarità ormai pluritrentennale (la prima strenna risale al 1989) a fine anno le leccesi Edizioni Grifo presentano dei preziosi volumi, a tiratura limitata, che si ammirano sia per la bellezza delle figure sia per il contenuto mai banale, anzi destinato a sollecitare ulteriori letture.

     La strenna di quest’anno è Salento. L’arte del costruire dal Medioevo al Neoclassicismo (272 pagine in grande formato di cm. 35×25, copertina cartonata con sovraccoperta e cofanetto stampati a colori) con oltre trecento immagini. L’autore è Mario Cazzato, architetto e apprezzato storico dell’arte (da ricordare i suoi tanti volumi sul Salento), nonché segretario della Società Storica di Terra d’Otranto e condirettore della “Rivista Storica del Mezzogiorno”.

     L’intento del volume è di offrire, con un taglio storico, un’esauriente illustrazione delle opere architettoniche (chiese, castelli e quant’altro) che dal Medioevo all’Ottocento preunitario sono state edificate in Terra d’Otranto, fornendoci, come prima mai era accaduto, un completo quadro degli artefici che si sono susseguiti nel corso del tempo. In questo modo il volume ha ottenuto almeno tre risultati che tra loro si fondono: l’essere una attenta ricostruzione del contributo artistico che Terra d’Otranto ha fornito alla nazione nel corso dei secoli; l’illustrazione  accurata di artisti spesso sconosciuti ai più e che invece hanno lasciato un segno in opere che ogni giorno continuiamo ad osservare; la raffigurazione nel complesso e nei particolari – ottime le fotografie – di gioielli architettonici che si estendono dal capo di Leuca al Brindisino e al Tarantino. E tutto questo fa di Salento. L’arte del costruire dal Medioevo al Neoclassicismo, stampato in solo 700 copie numerate, un libro insostituibile, peraltro arricchito, per chi vuole approfondire, di una più che esauriente appendice bibliografica.

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Gioventù salentina 3. Il racconto di Carlo Gervasi (31 ottobre 2006)

di Gianluca Virgilio

Carlo, quando e dove sei nato?

Nel 1952, a Galatina.

Che tipo di educazione ti hanno dato i tuoi genitori?

Un’educazione molto rigida, specialmente in rapporto alle mie intemperanze scolastiche. Io dedicavo poco tempo allo studio, e allora i miei genitori, pur di farmi studiare, mi mandavano al doposcuola. Mio padre era un imprenditore agricolo e mia madre casalinga. Mi hanno dato un’educazione cattolica, ma senza troppe costrizioni. Andavo la domenica a messa, ma solo fino al primo liceo; da allora ci vado solo in certe circostanze, la notte di Natale, per esempio, quando si crea quell’atmosfera festiva che tanto mi piace.

Come è avvenuta la tua formazione culturale e politica?

Io ho vissuto di riflesso e dopo molti anni una parte della vita di mia madre, che ora ti racconterò. Mia madre era figlia di Carmine D’Amico, il fondatore della Clinica, socialista e amico personale di Saragat e di Matteotti – una sera ricordo a casa ospite il figlio di Matteotti -. Mio nonno fu componente della Costituente per i socialisti, dirigente nazionale del partito socialista, poi diventato partito socialdemocratico, sole nascente, maggioritario rispetto a Nenni, antifascista della prima ora. La vicenda è questa: durante la seconda guerra, da più parti qui si paventava che gli alleati sarebbero sbarcati a Brindisi. Mio nonno temeva che da questa zona sarebbe passata la prima linea; siccome mio nonno era sposato con una donna di Soresina (Cremona), ritenne opportuno, dopo l’8 settembre, mandare la moglie e le tre figlie dai parenti. Intendeva toglierle dal pericolo, in realtà la storia prese un’altra piega. La Puglia non fu toccata, mentre Cremona, che faceva parte della Repubblica sociale, divenne l’epicentro della guerra. Così per due anni la comunicazione di mia madre con Galatina fu interrotta, solo qualche lettera arrivava tramite il Vaticano. Qui mio nonno stava con il CLN in una situazione in cui resistenza non ce n’era, mia madre, invece, visse il periodo della resistenza a Soresina e la caduta della Repubblica sociale con la reazione fortissima della resistenza. Mia madre diceva sempre che i fascisti avevano avuto dei comportamenti non condivisibili, ma i comunisti erano peggio per quello che hanno fatto dopo. Molte sue amiche che avevano appoggiato il fascismo – mia madre raccontava – furono messe alla berlina, rasati i capelli, trascinate in piazza. Lo zio Tino, che ospitava i miei familiari, era un signore benestante, non si era mai interessato di politica, amava solo la caccia; subì un attacco dei comunisti che gli spararono alla porta. Tutti questi fatti raccontati da mia madre io li ritrovavo anni dopo, nel Sessantotto, quando c’era lo scontro in piazza, nei giornali “Il Candido”, “Lo specchio”, “Il borghese”. La sinistra aveva l’egemonia culturale e non faceva filtrare questi racconti, che potevano sembrare troppo spinti ovvero una reazione estrema alla forza dell’antifascismo. A distanza di anni, si è rilevato che quel discorso della destra aveva un suo fondamento, tant’è che se ne parla ancora.

Insomma, in famiglia io avevo un esempio di antifascismo moderato, mio nonno  -ricordo che, quando era costretto ad indossare la camicia nera, si metteva il camice che usava nella sala raggi-, e avevo un esempio di anticomunismo, per le vicende vissute in prima persona, in mia madre, che mi raccontava le cose che ti ho detto.

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Marcello Toma, Lettere dal fronte


Oil on panel, 35×28 cm.
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Parole, parole, parole 41. La marea montante dell’analfabetismo

di Rosario Coluccia

Il 6 novembre è uscita la 58a edizione del Rapporto Censis che interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese. Il Rapporto è uno specchio delle reazioni vissute dalla società italiana di fronte problemi complessi che ci troviamo ad affrontare: cambiamenti climatici e moltiplicarsi di eventi catastrofici, guerre, emigrazioni, insicurezza crescente, povertà. Non ho competenze specifiche per parlare di questioni così delicate, ma mi hanno colpito in modo particolare, i sintomi allarmanti di una crescente ignoranza che attraversa l’intera società.

Apparentemente non è così: cresce il numero dei laureati (più di 8 milioni, oltre il 18% della popolazione di età superiore ai 25 anni), si assottiglia sempre di più quello degli analfabeti (260.000, una percentuale minima, su una popolazione di oltre 58 milioni di persone). Sono dati in apparenza confortanti, paiono segnalare enormi progressi rispetto alle condizioni ancora di pochi di pochi decenni, quelli finali del Novecento, quanto avevamo un numero assai inferiore di diplomati e di laureati.  Ma non è così. Percentuali notevoli di italiani mostrano lacune spaventose in storia. Non parlo delle guerre puniche, che qualcuno anni fa invitava non studiare, dicendo che si trattavi di eventi lontani, che non avevano alcun rapporto con il mondo di oggi L’anno in cui Mussolini fu arrestato (1943) è ignoto per il 52% degli italiani, il 30,3 % non conosce l’anno dell’unità d’Italia (1861, eppure poco tempo fa ne abbiamo celebrato la ricorrenza dei 150 anni), la medesima percentuale non sa indicare chi era Giuseppe Mazzini. Non va meglio in letteratura: per il 41,1% L’infinito fu composto da Gabriele D’Annunzio e non da Leopardi; né in arte: per il 32,4% la Cappella Sistina fu affrescata da Giotto o da Leonardo; né in musica: per il 35,9%, l’Inno di Mameli (quello che sentiamo suonare e cantare prima delle partite della nazionale di calcio) fu composto da Giuseppe Verdi (senza neanche badare al fatto che ci sarà una ragione se l’Inno è detto “di Mameli”, appunto). Dati altrettanti sconfortanti riguardano la conoscenza della geografia o della matematica. Questa rubrica tratta di lingua italiana: molti compatrioti non sanno che correrò è futuro di correre.

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Metodo e passione. Studi sulla modernità letteraria in onore di Antonio Lucio Giannone

di Maria Dimauro

È all’insegna di plurime, stratificate “geografie sentimentali e poetiche”‒ parafrasando il titolo del contributo di Y. Gouchan (pp. 535-554) alla miscellanea Metodo e passione. Studi sulla modernità letteraria in onore di Antonio Lucio Giannone, a cura di Giuseppe Bonifacino, Simone Giorgino, Carlo Santoli, (Napoli, La Scuola di Pitagora, 2022). ‒ che prendono l’abbrivio e si svelano, inarcandosi lungo sessantadue contributi, le moltissime testimonianze di amici e colleghi italiani e stranieri in omaggio alla più che quarantennale attività scientifica e all’itinerario umano di Antonio Lucio Giannone. I due corposi tomi, che vanno a costituire questa preziosa miscellanea di studi, caratterizzati da un dinamismo tematico che contempla tuttavia un intimo, costante richiamo, fino all’intertestualità e alla citazione, al fecondo magistero di Giannone, alla sua poliedrica e ininterrotta, fruttuosa e appassionata attività di ricerca nel campo della letteratura contemporanea, sono significativamente inaugurati da un dittico dedicatorio che già ne dispiega, in nuce, direttrici esegetiche e ragioni affettive: Per Lucio,dei curatori Giuseppe Bonifacino, Simone Giorgino e Carlo Santoli, e una Lettera a Lucio di Simona Costa. In entrambi, infatti, è adombrata e insieme chiarita l’intitolazione complessiva di questi studi: dove nella diade di metodo e passione sono esaltati, in fertile embricatura, e come riportato dai curatori, «da un lato, la passione, in quanto modalità intrinsecamente etica di un bisogno estetico e di storia; e dall’altro […] il metodo, in quanto attenzione esaustiva al testo» (pp. XX-XXI).

E non sarà forse un caso che questa definizione s’attagli così compiutamente – come a sigillo di quasi cinque decenni di inesausta attività di ricerca e anche di “riscoperta” e “riattraversamento” di testi ai margini della tradizione acquisita e al di fuori delle maglie a volte troppo strette delle tassonomie canoniche – alla “lunga fedeltà” di Giannone alla lezione di maestri amati e dei quali ha raccolto a piene mani la non comune eredità, di “metodo” e “passione” come dal critico ribadito in una recente intervista.

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Presentazione di Massimo Galiotta, Arte e pensiero critico – Leverano, 23 dicembre 2024


Lunedì 23 dicembre alle ore 18:00, presso la Biblioteca di Comunità Piazza Coperta – Leverano Centrale (in Piazza della Costituzione a Leverano), Roberta Maci, docente di Lettere presso il Liceo “Galileo Galilei” di Nardò, laureata in Lettere Moderne presso l’Università del Salento e in Storia dell’Arte presso l’Università degli Studi di Verona, dialoga con Massimo Galiotta, critico d’arte, redattore della rivista Arte Trentina e autore del volume Arte e pensiero critico – Diario di un connoisseur. L’evento è organizzato dalle “Edizioni d’Arte Dusatti” di Rovereto, in collaborazione con il Comune di Leveranola e la rivista “Arte Trentina”
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Lecce romana, un marchio e le sue potenzialità

di Francesco D’Andria

Per chi si trovi a passare da Piazza S. Oronzo non è difficile spiare attraverso i teli che circondano l’area di scavo dell’anfiteatro romano, proprio sotto la colonna del santo Patrono. All’interno della zona recintata è possibile osservare la parte superiore dei pilastri che circondavano l’ovale del monumento romano, e tratti dei muri nella tecnica costruttiva tipica dell’età di Augusto: l’opus reticulatum, caratterizzato dall’elegante tessitura di piccoli conci romboidali tenuti insieme dalla malta. Ma gli scavi stanno anche facendo emergere una struttura a blocchi di pietra leccese in cui sembra possibile riconoscere parte di una fortificazione, forse il muro di difesa della città, forse di età angioina. Certamente in età medievale la cinta muraria dovette inglobare la mole dell’edificio teatrale romano seguendo poi, verso il lato occidentale della città, il percorso delle mura messapiche. Appare evidente già da questi primi indizi come nuovi elementi potranno emergere per ricostruire la storia della nostra città: dal livello attuale della piazza bisognerà scendere di almeno quattro metri per raggiungere il piano che gli antichi lupienses, nostri concittadini di duemila anni fa, calpestavano per entrare sulle gradinate della cavea e per assistere ai ludi dei gladiatori ed alle cacce di animali esotici (venationes). Non è da stupirsi che queste attività archeologiche abbiano suscitato un grande interesse in città, stimolando discussioni, proposte di valorizzazione, richieste di continuare gli scavi prontamente accolte dal Sindaco Adriana Poli Bortone che ha coinvolto lo stesso Ministro della Cultura Alessandro Giuli.

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I resti di babele 12. Il primato dell’essere umano nelle certezze dell’infinito

di Antonio Errico

L’Infinito che si manifesta nella luce di una tela di Caravaggio o nei colori della notte stellata di Van Gogh, la tecnologia non ce lo può dare. Quell’Infinito è una condizione che appartiene all’arte custodita dalle mani, alla felicità e alla sofferenza del pensiero, al trasalimento, all’insonnia, all’emozione, alla genialità, alla disperazione, al sentimento, all’intuizione, alla ragione. Al brivido improvviso di un’idea.  All’esperienza di esistere.  Al destino dell’umano.

La tecnologia non potrà mai concepire la musica di Mozart, un saggio di Montaigne, un racconto di Borges, la Divina Commedia, la Cappella Sistina, quello che appartiene alla meraviglia. Non lo potrà fare. Però, per prudenza, dovremmo dire: forse. Perché non si può escludere che l’evoluzione dell’intelligenza artificiale, per esempio, possa arrivare alla generazione di un’arte che non susciterà meno meraviglia. Forse la tecnologia ha possibilità e orizzonti che non possiamo nemmeno immaginare.

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Taccuino di traduzioni 14. Ingeborg Bachmann: il tempo dilazionato

di Antonio Devicienti

Verranno giorni anche più spietati:
il tempo accordato per l’abiura
sorge all’orizzonte.
Allaccia le scarpe!
Ricaccia i canilupo nei recinti
sul limitare della palude.
Raffreddatisi nel vento gl’intestini
dei pesci
miserandi ardono i fiori dei lupini
mentre scruti nella nebbia.
L’ora accordata per l’abiura
si fa visibile all’orizzonte.

In riva al mare l’amata
affonda nella sabbia che
le avviluppa i capelli
le spezza la parola
le prosciuga il nome
votato all’addio dopo ogni amplesso.

Non voltarti!
Allacciati le scarpe!
Respingi i cani!
Riaffida i pesci al mare!
Spegni la luce dei lupini!

Si preparano giorni peggiori.

DIE GESTUNDETE ZEIT

Es kommen härtere Tage.
Die auf Widerruf gestundete Zeit
wird sichtbar am Horizont.
Bald mußt du den Schuh schnüren
und die Hunde zurückjagen in die Marschhöfe.
Denn die Eingeweide der Fische
sind kalt geworden im Wind.
Ärmlich brennt das Licht der Lupinen.
Dein Blick spurt im Nebel:
die auf Widerruf gestundete Zeit
wird sichtbar am Horizont.

Drüben versinkt dir die Geliebte im Sand,
er steigt um ihr wehendes Haar,
er fällt ihr ins Wort,
er befiehlt ihr zu schweigen,
er findet sie sterblich
und willig dem Abschied
nach jeder Umarmung.

Sieh dich nicht um.
Schnür deinen Schuh.
Jag die Hunde zurück.
Wirf die Fische ins Meer.
Lösch die Lupinen!

Es kommen härtere Tage.

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Gaetano Minafra, Arte contemporanea 2. Oltre il tempo

Pezzi di legno colorato con colori acrilici, terra e acquerello, cm. 100 X 80, 2013,
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Ripensare la strategia per le aree interne

di Guglielmo Forges Davanzati

La popolazione residente nelle regioni più povere dell’Unione Monetaria Europea – quelle con un Pil pro capite inferiore al 75% della media dell’Unione – si è costantemente ridotta negli ultimi venti anni: in quelle aree, dal 2000 al 2023, per il combinato dell’aumento dei flussi migratori e della denatalità, il numero di residenti si è ridotto di circa 3 milioni, passando dal 28.83% al 26.73% popolazione europea. Il fenomeno è notevolmente accentuato nelle aree interne, definite tali se comprendono comuni che hanno una distanza superiore ai 20 minuti di percorrenza per il raggiungimento dei luoghi nei quali si erogano i servizi essenziali (ferrovie, scuole, ospedali). Appare opportuno sottolineare che le aree interne italiane devono essere tutelate perché principalmente in quei territori viene custodita e riprodotta la storia locale e una parte rilevante del patrimonio paesaggistico, naturale e culturale italiano. In altri termini, le aree interne vanno difese per la preservazione della storia e dell’identità collettiva e, quindi, come opposizione alla gentrificazione e all’overtourism.

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La più antica immagine di S. Antonio nella Basilica di Padova

di Rocco Orlando

     Nel tempio sacro di Padova si nota l’assenza di immagini puramente duecentesche che raffigurino Sant’Antonio. Mattia Tridello, a tal proposito, dice che, mentre ad Assisi dopo la morte del Poverello venivano realizzate immagini, dipinti e affreschi, questo non succedeva a Padova dopo la morte di S. Antonio, perché i fedeli non sentivano la necessità di una immagine del Santo in quanto c’era la presenza fisica e visibile della tomba.

     Quindi mancano ritratti contemporanei al Santo o eseguiti a pochi anni dalla sua morte. È dal 1300 che cominciano le raffigurazioni antoniane, non sempre concordanti riguardo allo stile figurativo e ai simboli. Nasce comunque la necessità di dare un volto al Santo”. E Luca Baggio nella sua “Iconografia di Sant’Antonio al Santo di Padova nel XIII e XIV secolo” avanza l’ipotesi che esistessero immagini antoniane duecentesche e che siano perdute.

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Gioventù salentina 2. Il racconto di Francesco Papadia: Storia della Show boys (19 ottobre 2006)

di Gianluca Virgilio

Francesco, quando e dove sei nato?

Sono nato nell’ormai lontano, ahimè, 7 novembre 1951, a Galatina.

Dove hai trascorso la tua infanzia e adolescenza?

Sempre a Galatina. Ho ricevuto un’educazione tradizionale, classica, in anni di rottura, di contestazione. Da noi questo movimento giungeva in maniera ovattata, ma si avvertiva ugualmente il conflitto tra tradizione e nuovi fermenti, le nuove idee.

Nelle tue scelte sportive, sei stato condizionato dai tuoi genitori?

No, mi hanno lasciato fare. La scelta fu mia, ma i miei genitori la rispettarono. In quegli anni era importante cavarsela bene a scuola. Se a scuola si andava bene, i genitori lasciavano fare.

Che tipo di scuola hai frequentato?

Il Liceo classico, quando si trovava nella sua vecchia sede, dal 1964-65 in poi. Tra l’altro, ho avuto tuo padre e tuo suocero come insegnanti, e poi ancora il prof. Luigi Vantaggiato. Inoltre, ho un grandissimo emozionante ricordo del prof. Vincenzo Palumbo, detto ‘Nzino, che passò con me dalla “Giovanni Pascoli” al Ginnasio, seguendomi da insegnante di Educazione fisica nel mio percorso scolastico. Capiva poco o niente della pallavolo, però aveva una grandissima passione per questo sport, ci faceva sempre giocare. Io ero una schiappa come giocatore, però sono convinto che fu lui per primo a farmi entrare in campo e a mostrarmi la strada. Vedi come sono le cose della vita, io sono arrivato alle soglie della A2, partendo da un maestro che non conosceva la pallavolo ed essendo una schiappa come giocatore! Questo professore organizzò un torneo tra le classi del Liceo, si rubavano i dieci minuti delle altre ore per finire le partite, ci faceva lavorare. Quest’uomo seminò tanto. Lui non lo sa, ma io gliene sono molto grato, non tanto per i risultati sportivi che poi sono venuti, quanto per avermi indicato la strada dell’impegno sociale, che per me è stata la pallavolo.

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Manco p’a capa 232. Credenziali? Ma mi faccia il piacere!

di Ferdinando Boero

Il 17 dicembre son finito in prima pagina sul giornale, anzi.. sul Foglio. Assieme a 139 colleghi, ho firmato l’appello che denuncia la visione “liberista” dello sviluppo urbanistico di Milano e che legittima le azioni di costruttori che non rispondono a visioni organiche dello sviluppo di una città. L’autore dell’articolo che mi menziona in modo irridente, tale Maurizio Crippa, laureato in storia del cinema, mi cita come esempio strampalato della compagine dei firmatari. Scrive: “Poi ci sono giuristi, docenti di Scienze aerospaziali, costituzionalisti che si occupano di diritti umani, ricercatrici di beni culturali, addirittura Ferdinando Boero dell’Università di Napoli, ordinario di Zoologia e Antropologia”. Addirittura. Ricevo spesso commenti ironici ai miei post: che ne sa uno zoologo di… e questo è parte della collezione. Non c’è niente di più ridicolo dell’abusato “lei non sa chi sono io!” per rispondere a ironie come quella del Crippa. Ma sono costretto a “mostrare le credenziali”, per spiegare la mia presenza nel gruppo di firmatari.
Colleghi di area giuridica mi hanno chiesto di aderire all’appello per il mio impegno in questioni ambientali, su cui ho qualche competenza, comprovata da una produzione scientifica per la quale la Commissione Europea mi ha chiesto di partecipare alla redazione di diversi rapporti sulla sostenibilità e la protezione e gestione di biodiversità ed ecosistemi. Ho coordinato progetti europei su temi che affrontano argomenti trattati dall’ecologia e, non a caso, il paese dovrebbe pianificare la transizione ecologica grazie a fondi europei. Devo spiegare a Crippa che c’entra l’ecologia con la transizione ecologica? Mi viene facile ricambiare la sua ironia citando la sua laurea in storia del cinema, per canzonare la sua autorevolezza in campo ambientale e urbano. Dovrebbe aver visto Mani sulla città, di Francesco Rosi, ma, evidentemente, non gli ha detto gran che. Mourinho direbbe: “zero tituli”. Ma, d’altronde, qualcosa si deve pur fare per campare.

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Ricordo di Giacinto Urso

di Maurizio Nocera

La sua ultima lettera è di qualche settimana fa: i suoi auguri delle feste di fine anno a margine della copertina del libro di Lino De Matteis, Storia del Grande Salento (Lecce, Edizioni Grifo, 2024). «Auguri di ogni bene, cari Maurizio e Consorte./ Soprattutto, salute e serenità siano vostre amiche.// Giacinto Urso,/ con i suoi 99 anni di età». Sul retro della busta di questa lettera non trovo la mia solita R di risposta, ed ora mi sento profondamente addolorato all’idea che forse non ho fatto in tempo a rispondergli. E forse
non mi ha letto un’ultima volta. Questo oggi mi provoca un immenso tormento. Ma, quando si è trattato di essere in corrispondenza con Giacinto, io sono stato sempre pronto a rispondergli. E se non lo facevo, egli, con una garbatezza che non ho mai riscontrato in
nessun altro, me lo faceva ricordare.
Da quanto tempo ci conoscevamo. Da molto. Sicuramente dagli anni ’70. Ogni anno
c’erano, oltre agli occasionali, quattro momenti di incontri ufficiali, ed erano quelli collegati a quattro date: le due canoniche, Natale e Pasqua, poi il 25 Aprile (festa della Liberazione nazionale dal nazifascismo) e il 2 giugno (festa della Repubblica). Alle feste canoniche si trattava sempre dello scambio di auguri mentre, per quanto riguardava il 25 Aprile, avveniva l’incontro a cui egli teneva di più.

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Antonio Stanca, Universum A-37


18-04-2004, olio su MDF, cm 80,2 X 80,2.
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Il tempo che fu e quello che sarà: “Mestieri del Novecento. Sulle coste del Salento”, il nuovo volume di Giuseppe Albahari

di Massimo Galiotta

Torno a scrivere di Giuseppe Albahari essenzialmente per due ragioni. Prima di tutto perché è stato il primo a credere in quello che facevo, e continuo a fare, offrendomi un’opportunità irripetibile: concedendomi uno spazio sulla rivista di “Ambiente, Nautica e Turismo” da egli stesso diretta; dunque gode, e godrà della mia stima e riconoscenza per il “tempo che sarà”. Il sentimento è tanto limpido e puro quanto il fatto che, seppur legati da un cordiale e compiaciuto di sé rapporto di amicizia, la nostra collaborazione sia cessata già da un paio d’anni, a causa delle note vicende legate alla quiescenza forzata a cui la rivista Puglia & Mare – per ragioni di mancanza di adeguate risorse economiche – si è dovuta sottomettere. Rivista trimestrale dedicata alla porzione liquida del pianeta blu (dal n.1, del marzo 2013-al n.40, del dicembre 2022), nata sulla scia della precedente “L’uomo e il mare”, che lo stesso Albahari diresse dal 1985 al 2012: in definitiva, con la pubblicazione della rivista L’uomo e il mare prima e Puglia & Mare dopo, si è assistito ad un intervento editoriale e culturale durato ben 37 anni.

Il secondo motivo che mi induce a scrivere di lui è l’uscita del suo nuovo libro, presentato al pubblico lo scorso 14 dicembre 2024, presso il “Salone Parrocchiale di Sant’Antonio da Padova” sul Lungomare Galilei a Gallipoli. L’evento, è stato l’atto conclusivo della XII edizione della Settimana della Cultura del Mare, kermesse ideata dallo stesso Albahari e portata avanti in stretta collaborazione con Alessandra Bray, Presidente dell’Associazione Puglia & Mare APS, nonché motore instancabile di numerose iniziative a favore di economia, cultura e ambiente in Puglia e in particolare nel Salento. L’edizione di quest’anno, la dodicesima, dal 26 al 31 ottobre, ha visto, tra le altre, la partecipazione della conduttrice televisiva Licia Colò, che la mattina del 30 ottobre, presso il teatro Italia, ha dialogato con Nicolò Carnimeo, docente di Diritto della Navigazione dell’Università di Bari, sul tema “MARE, un Eden da salvare”.

L’uscita del volume Mestieri nel Novecento. Sulle coste del Salento è una fatica condotta dall’autore da ormai molti anni, ma che vede la luce soltanto adesso per i tipi delle “Edizioni Puglia & Mare APS”: un censimento attento di arti e mestieri diffusissimi fino alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, poi pian piano abbandonati a causa dei cambiamenti della società e sulla spinta dell’inesorabile evoluzione tecnologica. Fanno parte della stessa collana il libro sull’antico carnevale di Gallipoli “Carri, chiacchiere e titori” (2022), di cui ho già avuto modo di scrivere in passato (testo apparso in prima istanza sulla rivista il filo di Aracne, e poi in rete sul sito diretto da Gianluca Virgilio www.iuncturae.eu); poi Onde e Risacche – Quando il mare era in bianco e nero (2022), resoconto di alcuni luoghi simbolo della città sullo ionio (la storica Tonnara attiva fino al 1973; i camerini in legno – o cambarini – per i «bagni di mare»; infine il Lido San Giovanni, storico lido del Salento, con la sua “rotonda sul mare” ed i numerosi personaggi dello spettacolo che vi soggiornarono).

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