Presentazione di Antonio Costantini, Il sistema difensivo del Salento – Nardò, 19 gennaio 2025

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Manco p’a capa 236. Per un apprendimento scolastico induttivo

di Ferdinando Boero

Il Ministro dell’Istruzione e del Merito ha chiesto ad una commissione di esperti di aggiornare i programmi dei primi anni di formazione. Tornerebbero Storia e Geografia al posto di Geostoria, si reintrodurrebbe, anche se facoltativo, il latino, e si dovrebbero di nuovo imparare le poesie a memoria, affiancate alla mitologia e allo studio della Bibbia. Lodevole l’introduzione di musica.
Non trovo nulla che riguardi le scienze. Ma forse i resoconti non sono accurati. Le scienze dell’ambiente, l’ecologia, hanno uno spazietto nell’Educazione Civica ma non è detto che chi ne sa di educazione civica ne sappia di ecologia.
Ho svolto i miei studi quando i programmi erano così. Ho imparato le poesie a memoria (Ei fu siccome immobile…) ho seguito l’ora di religione dalle elementari al liceo, ho imparato i sette re di Roma e le Guerre di Indipendenza, con le date degli avvenimenti che caratterizzano la storia occidentale, e le capitali, i fiumi e i monti. E tabelline, espressioni, teoremi con dimostrazione.

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Brutta gente

di Paolo Vincenti

A volte capita di incontrare quelle persone che si credono forti ma sono solo dei poveracci o peggio sono “forti coi deboli e deboli coi forti”, secondo il noto detto popolare. Sono dei cani, vili coi lupi, come dice Orazio[1]: “riempi il bosco di spaventosi latrati, poi annusi il cibo che ti gettano”[2]. Che fare quando si incontrano questi pessimi esponenti del genere umano? Saggiare la pazienza di Giobbe? Restare indifferenti e non curarsi di loro? È facile quando questi insolenti non interferiscano nelle nostre vite, altrimenti diventa difficile ignorarli. Allora, scendere a patti, fare dei compromessi in funzione del cosiddetto quieto vivere? A volte sono talmente ipocriti e codardi che verrebbe di riferire loro la massima di Sidonio Apollinare, In praetoriis leones, in castris lepores, cioè leoni quando sono nel palazzo ma delle lepri sul campo di battaglia, un po’ come i governanti del mondo che dichiarano guerre ma poi se fossero mandati a combattere sul fronte resterebbero in vita una frazione di secondo. Quando essi ingeriscono nei nostri affari e diventano assillanti, è comprensibile arrabbiarsi? Si può passare alle vie di fatto, prendendoli a calci o a pugni? Molto dipende dalla disposizione d’animo di ciascuno e anche dalle circostanze in cui ci si trova. Io non ho una risposta valida a prescindere. Mi regolo di conseguenza, mi arrabatto, come ho sentito dire qualche sera fa Vittorio Feltri in una intervista alla trasmissione televisiva Belve. Ecco, per la reazione nei confronti dei meschini non esiste un brocardo da applicare, non si può essere apodittici. Dipende anche dal grado di intimità, amicizia o parentela delle persone che abbiamo davanti. Si può mandare a fanculo a cuor leggero un lontano conoscente, è più difficile, ma si fa, con un amico, quasi impossibile con un parente prossimo, un congiunto come un padre, una madre, un fratello. Quando ci sono vincoli di consanguineità, si soffre in silenzio, si vedono le storture nel comportamento del proprio congiunto, si vorrebbe prendere le distanze ma per ragioni sentimentali o addirittura economiche non lo si può fare e la convivenza diventa un inferno.

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Antonio Stanca, Universum A-40


08-05-2004, olio su MDF, cm 80,2 X 80,2.
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Luigi Latino, fra arte e pensieri – Galatina, 19 gennaio 2025

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Carteggio Mario Marti – Gianluca Virgilio 3. Infanzia salentina

a cura di Gianluca Virgilio

Mario Marti lettore di Infanzia salentina, di cui molte pagine si possono leggere in questo sito. Lusingato dai suoi amichevoli complimenti, avanzo la richiesta di “due paginette scritte di suo pugno sulla sua infanzia”, di lui nato nel 1914, da affiancare a quelle che Antonio Prete, nato nel 1939, aveva posto all’inizio del libro (leggi in questo sito Marangella). Nella mia fantasia, avrebbero figurato bene un continuum temporale secolare, come preludi a Infanzia salentina, essendo io nato nel 1963. L’idea fu bocciata.

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Inchiostri 140. La scrittura è porosa

di Antonio Devicienti

Non è casuale il fatto che ogni singola parola scritta si trovi tra due spazi bianchi (tra due silenzi, per quanto brevissimi).

Senza quei due “vuoti”, senza quei due silenzi non si renderebbero visibili i segni che (pur convenzionali) rendono percepibile e leggibile la singola parola.

E c’è un bianco anche prima e dopo ogni segno alfabetico, riprova visibile che tasselli di silenzio (o di vuoto) più o meno grandi sono il vero tessuto sotteso a tutto quello ch’è scritto (e quindi che è leggibile).

La porosità della scrittura è solidale con la porosità del mondo.

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Gaetano Minafra, Arte contemporanea 6. Apparizione lunare

Terre abbinate con colori acrilici, metallo, plex e pietre preziose, cm. 53 x 53, anno 2020.
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Sugli scogli 27. Calma piatta

di Nello De Pascalis

Corpi divorati dalla noia

non hanno onde

da cavalcare, né vele.

È calma piatta, qui,

è cecità: un venir meno

alle urgenze.

Un chiodo fisso:

se si alza il vento

che sia tornado,

tempesta e assalto

a smuovere coscienze impigrite.

Parafrasando Joplin:

ho amato mille posti di mare,

ma sempre torno

tra odiose iniquità

e voli obliqui di nibbio.

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La grandezza di Leopardi così diversa per ciascuno

 di  Antonio Errico

Giacomo Leopardi non esiste. Certo, ha avuto un tempo della vita vera, ma poi si è trasformato in una gigantesca figura dell’immaginario. Così, ognuno di noi ha il suo Leopardi – dentro – che solo un po’ è com’è stato veramente, soltanto un poco e a volte molto vagamente.

Sergio Rubini ha raccontato il suo Leopardi. Quando si racconta di un gigante, può anche accadere che il modo in cui la storia viene raccontata a qualcuno non piaccia. Proprio perché si tratta di un gigante.  Però, al di là di ogni considerazione, di ogni interpretazione personale e sentimentale, il film di Rubini trova il suo significato essenziale nel fatto d’essere riuscito a richiamare l’attenzione dei ragazzi. Che se uno di loro, uno soltanto, andrà a rileggersi L’infinito, allora vorrà dire che il film un miracolo lo ha compiuto.

Ognuno di noi ha il suo Leopardi dentro: se lo è configurato nel corso degli anni, lo ha elaborato, ha lasciato che si stratificasse, lettura dopo lettura, con la lettura degli stessi versi in tempi diversi. In tempi diversi ognuno di noi ha dato un significato ulteriore a quella reticenza terribile e stupenda che esplode alla fine del Sabato del villaggio, per esempio: “altro dirti non vo’”. A quindici anni significa una cosa, a trenta un’altra, a cinquanta un’altra ancora. A quindici anni ci si domanda che cosa non vuole dire, a trenta si comincia ad intuire, a cinquanta lo si capisce perfettamente, e si capisce perfettamente che ha fatto bene a non fartelo capire quando ne avevi quindici.

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Convegno Internazionale su Schopenhauer – Lecce, 15-16 gennaio 2025


Il 15 e 16 gennaio si svolgerà a Lecce un importante convegno internazionale su Schopenhauer che, oltre all’alto valore scientifico, avrà anche un profondo significato morale, dal momento che sarà dedicato a Sossio Giametta. Non a caso, si aprirà il giorno del primo anniversario della sua morte, avvenuta il 15 gennaio 2024.
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Taccuino di traduzioni 16. Philippe Jaccottet

di Antonio Devicienti

Plus aucun souffle.

Comme quand le vent du matin

a eu raison

de la dernière bougie.

Il y a en nous un si profond silence

qu’une comète

en route vers la nuit des filles de nos filles, nous l’entendrions.

.

Cessato ogni soffiare.

Come quando il vento del mattino

ha soverchiato

l’ultima candela.

C’è in noi un silenzio così profondo

che una cometa –

sulla rotta incontro alla notte delle figlie delle nostre figlie –

noi l’udremmo.

Nota: Appartengono al libro pubblicato nel 1969 e intitolato Leçons i versi che ho scelto di tradurre qui; lezioni sempre apprese e mai date queste di Jaccottet il quale, anzi, in un altro suo testo si definisce l’ignorante.

Chi scrive lo fa sempre in veste di allievo, di apprendista, di scolaro del mondo e della natura, dell’esistenza e del pensiero – per questo appare fondante la dialettica tra silenzio e suono che, nelle abissali distanze di spazio e di tempo, prepara la scrittura non quale accensione di sapienza, ma quale umile traccia di chi sta in ascolto, di chi imparando dal silenzio sommessamente parla (scrive).

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Una lettera di… 17: una lettera di Giacinto Urso (nel trigesimo della scomparsa)

di Antonio Lucio Giannone

Lecce 23. XI. 2010

Chiarissimo Prof. Giannone,

Seguo, con interesse e anche con commozione, il Suo impegno per far conoscere appieno Vittorio Bodini, mio maestro d’italiano nel Liceo “Colonna” di Galatina negli anni ’40.

Rammento le sue lezioni di letterato ma anche di gioioso ispanista, amante delle belle ragazze attraverso un carteggio epistolare, che, ogni tanto, passava a me – capo classe – per il riscontro. Uno  dei tanti segni della sua soave “stravaganza”.

Tra l’altro, io non conoscevo una parola di spagnolo, né potevo surrogare i suoi pensieri d’amore.

Aggiungo che noi alunni – acerbi nel giudizio – lo consideravamo un “folle letterato”.

Invece, il prof. Bodini nascondeva in sé immensi talenti, che, oggi, tornano a sbocciare nel suo, finalmente, riconosciuto valore poetico. Grazie anche a lei.

Con sentite cordialità.

Giacinto Urso

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Carteggio Mario Marti – Gianluca Virgilio 2. “Cosa vuoi, caro Gianluca! Alla mia età…”

a cura di Gianluca Virgilio

A partire dalla lettera del 9 giugno 2009 Marti mi darà del tu mentre io manterrò il lei di rispetto fino alla fine della nostra corrispondenza. Marti esprime ancora il suo apprezzamento e la sua gratitudine per l’articolo che gli avevo dedicato. Inoltre, afferma di non ricordare il nostro primo incontro a Soleto nell’agosto del 1993 (in effetti erano passato sedici anni!). Infine, il suo pensiero va a mio padre, Giuseppe Virgilio, suo vecchio alunno al Liceo “Colonna” di Galatina settant’anni prima. Sui rapporti tra Giuseppe Virgilio e Mario Marti, si leggano, in questo sito, i seguenti articoli:

“Un legame molto solido e molto antico”: lettera di Mario Marti a Giuseppe Virgilio

“Reminiscenze antiche”: lettera di Mario Marti a Giuseppe Virgilio

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Letteratura latina medievale oltre il canone scolastico

di Antonio Montefusco

Il corposo (più di 700 pagine) volume curato da Francesco Stella (in collaborazione con Lucie Doležalová e Danuta Shanzer), dedicato alle letterature latine – al plurale – dell’epoca medievale e moderna, Latin Literatures of Medieval and Early Modern Times in Europe and Beyond. A millennium heritage, John Benjamins, Amsterdam, 2024, è uno strumento che modifica in profondità la nostra percezione dei fenomeni culturali pre-moderni. Il sottotitolo – “a millennium heritage”, e cioè “un patrimonio millenario” – disloca già questa percezione secondo le linee più recenti e aggressivamente aggiornate della riflessione sull’eredità culturale (racchiusa nell’anglismo heritage) e sottrae una disciplina classicamente accademica come la Letteratura latina medievale al destino di puro specialismo che le è riservato nel senso comune, e a volte anche degli studenti di lettere. In uno dei capitoli introduttivi, la studiosa francese Pascale Bourgain mostra come questa enorme riserva di testi e opere sia allo stesso tempo strumento e oggetto di incomprensione per gli studiosi dell’antichità e del medioevo. Possiamo percepire le latinità medievali e moderne come decadenza oppure come strumento di rallentamento dello sviluppo inarrestabile delle lingue volgari o addirittura come una lunga congerie di fonti inaffidabili perché sottoposte continuamente alle pressioni del potere e a una percezione distorta se non addirittura superstiziosa della realtà.

Pregiudiziali di questo tipo hanno pesato, e pesano ancora, nello spazio ridotto che la disciplina universitaria ha nei nostri ordinamenti – per non dire nelle scuole, dove il latino è relegato a un canone ristrettissimo che non varca il IV secolo e che non arriva alla ventina di autori, nonostante gli esametri di Geoffrey de Monmouth dedicati a mago Merlino abbiano ben poco da invidiare a Tibullo e Virgilio, così come la prosa cancelleresca di Tommaso da Capua e Pier della Vigna non è inferiore a quella di Cicerone o di Tacito. Da lungo tempo Francesco Stella (oltre che curatore, autore di uno dei saggi più programmatici del libro) insiste sul ritardo ormai non più sopportabile con l’esigenza di offrire alla coscienza degli studenti un quadro perlomeno europeo, se non globale, della latinità.

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Luigi Latino, Essential

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Gioventù salentina 6. Il centro sociale di Via Marche. Il racconto di Massimiliano Martines (2 ottobre 2006)

a cura di Gianluca Virgilio

Massimiliano, quando e dove sei nato?

Il 14 aprile del 1974, a Galatina, dove ho passato tutta la mia infanzia e giovinezza, fino a ventuno anni circa.

Quale lavoro svolgevano i tuoi genitori?

Mia madre era insegnante, adesso è in pensione, mio padre è un impiegato INPS.

Che tipo di cultura (politica, religiosa e quantaltro) avevano i tuoi genitori?

Mia madre non ha una cultura politica, ha sempre votato quello che io le consigliavo (con un pizzico di controvoglia credo). Mio padre invece è stato sempre di centro, ondivago tra la democrazia cristiana e il partito repubblicano, con cui è anche stato candidato. I suoi punti di riferimento sono stati Beniamino De Maria, col quale ha lavorato per anni, e Nino Lisi. Adesso si dice di destra, ma lo fa per contrastarmi bonariamente: è la modalità che utilizza per intavolare una qualche discussione con me che tendenzialmente mi chiudo a riccio e dialogo poco coi miei genitori, mentre quando si parla di politica mi infervoro e divento un po’ più loquace. Ecco, credo che sia proprio questo: un bonario velleitarismo, un modo per comunicare a me e  ai miei fratelli (seppure in misura minore) la voglia e il desiderio che ha di parlare con noi, ma lo fa nella maniera sbagliata, in quanto le sue posizioni rispecchiano l’adesione a un ruolo che non gli compete, ridicolo direi, quello di “padre con dei valori da difendere”. A me questo conservatorismo posticcio mi fa sorridere, se non proprio arrabbiare. Alla fine credo che se mio padre vivesse a Bologna, invece che a Galatina, parlerebbe in maniera diversa, purtroppo l’ambiente incide molto nella definizione delle tendenze e trangugia avidamente anche le sensibilità più accese.

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Per Aldo

di Paolo Vincenti

Aldo D’Antico era uno dei miei più grandi amici. Gli devo molto. Quando ho iniziato a scrivere e pubblicare è stato uno dei primi a credere in me e ad incoraggiarmi. Nutrivo per lui una stima immensa ed un affetto che credo di poter dire fosse del tutto ricambiato. “Paulucciu!” mi chiamava, con la sua voce squillante, rispondendo al telefono o nei nostri incontri, con un misto di tenerezza e sfottò. La nostra frequentazione era assidua, tanti i progetti realizzati insieme, tanti ancora quelli da realizzare e che ormai non troveranno compimento. È triste per me sapere che non è più. Nel 2007, dopo qualche anno di scritture in cui mi ero occupato prevalentemente di cronache culturali parabitane, decidemmo di realizzare un volume che raccogliesse quei miei scritti, perché non andassero perduti, e fu così pubblicato dal Laboratorio editore, Di Parabita e di Parabitani. Il libro si focalizzava sulla città e sulla sua storia, sui personaggi illustri, sugli studiosi parabitani, fra cui Aldo de Bernart, Ortensio Seclì, Mario Cala, dei quali tracciavo un esaustivo (per quel momento) profilo bio-bigliografico, e poi sui poeti, saggisti, artisti. Il libro era arricchito da una nota finale di Aldo D’Antico e una Postfazione di Aldo de Bernart.

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Citazioni 27. Il Poeta e il sacrista: una lettera portata dal vento

“Carlo Porta, trovandosi un giorno in cima del Duomo, fa le sue occorrenze. Si forbisce con una lettera, che il vento porta poi via. Ma la raccoglie un sacrista, che leggendovi il nome di Porta (di cui era entusiasta), va a portarla alla casa di questi. Nè la lettera era sudicia per essere Porta, come il più de’ letterati, stitico… Il sacrista trova il Poeta a tavola: gli espone il perché della visita. Porta ne lo ringrazia di cuore, e per dimostrargli in qualche modo la sua riconoscenza, toglie da un piatto tre o quattro biscotti, li avvolge nella restituitagli lettera, e dona il tutto al sagrista. -“

Carlo Dossi, Note azzurre 2742, Adelphi, Milano 1988 (II edizione), p. 272.

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Site transitoire

di Antonio Prete

                                      a Jean-Paul Philippe

Dove l’onda di creta trascolora

rugosa e s’abbrunisce sul crinale

difeso dalla linea dei cipressi,

dove un resto di dolcezza trascorre

sulla pelle arida d’un giallo perso

nel verde settembrino,

                                        il tuo basalto

si leva contro l’incendio che avvampa, 

laggiù, tra terra e cielo.

Corpo glorioso sull’altare viola

del tramonto.  

                        Finestra che incornicia

torri e destini, nuvole  e pensieri.

.

La pietra grida alla sera il suo azzardo :

poter dare una forma

a questa privazione d’infinito.

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