Antonio Stanca, Universum A-31


24-01-2004, olio su MDF, cm 39,8 X 39,8.
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Manco p’a capa 224. Se la persona giusta non è nel posto giusto…

di Ferdinando Boero

L’identità del Movimento 5 Stelle è riassunta nel titolo di un articolo del FQ: Stato sociale, Carta e lotta alla corruzione. Non si parla di ambiente, transizione ecologica, sostenibilità. Nello Statuto del movimento, le cinque stelle sono: beni comuni, ecologia integrale, giustizia sociale, innovazione tecnologica, economia eco-sociale. L’ecologia ha una stella, e parte di un’altra. Biodiversità ed ecosistemi hanno un ruolo rilevante … che voglio di più? Il problema, come ho rimarcato altre volte, è che a tradurre in azioni questi principi si reclutano persone che non li riconoscono, come Roberto Cingolani, chiamato al Ministero della Transizione Ecologica nel governo Draghi. Un ministero voluto fortissimamente dal M5S, visto l’esito delle negoziazioni di Conte con la Commissione Europea, tornato con 209 miliardi in buona parte da dedicare alla transizione ecologica. Il M5S accettò di appoggiare Draghi perché accettò di perseguire la transizione ecologica. Beppe Grillo lo definì un grillino. Una bella battuta comica.

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L’Eretico barocco di Simone Giorgino: per un cambiamento di prospettiva

di Antonio Devicienti

Si provi a riflettere partendo dal titolo (Eretico barocco) e dal sottotitolo (Una linea meridiana nella poesia italiana del Novecento) del libro di Simone Giorgino pubblicato da Carocci nel settembre del 2024: l’aggettivo anteposto al sostantivo (quindi enfatizzato) sembra dare al sintagma un movimento e un’originalità che sorprendono e incuriosiscono rispetto a un più piano “barocco eretico” (ma anche l’iniziale minuscola di “barocco” è esplicito segnale di una prospettiva inedita – Carmelo Bene direbbe, forse, “un barocco di meno”), mentre il sottotitolo rimanda senza dubbio alcuno al Pensiero meridiano di Franco Cassano; il particolare in alta definizione e in bianco e nero proveniente dalla facciata di Santa Croce a Lecce che domina la copertina contribuisce al formarsi di uno spazio di lettura e di pensiero che, anticipo, fa di questo libro un’opera notevolissima per argomentazioni, materiali documentali, orizzonti dischiusi.

In linea di tempo Eretico barocco segue Carta poetica del Sud. Poesia italiana contemporanea e spazio meridiano (Musicaos, Neviano 2022) ed è proprio il concetto di spazio (geografico)a essere il fulcro dei cinque macro-saggi che costituiscono Eretico barocco; ogni macro-saggio, articolato al suo interno in parti di numero e lunghezze variabili, è dedicato a un esponente della poesia salentina contemporanea (Girolamo Comi, Raffaele Carrieri, Vittorio Bodini, Vittorio Pagano e Carmelo Bene).

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Gaetano Minafra, Arte sacra 7. Madonna

Legno, colori acrilici e foglia oro, argento e pietre preziose, cm. 50 X 35, 2018.
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Un ponte sul mondo: tutto in una cabina

di Antonio Errico

Tarda sera d’autunno. Pioviggina. L’uomo ha bisogno di telefonare e il cellulare si è scaricato. Pensa che ci sarà una cabina, che da qualche parte ci sarà pure una cabina. In piazza, forse. In piazza la cabina non c’è. Si ferma davanti al bar. Tre ragazzi fumano e ridono. Chiede dove può trovare una cabina. I ragazzi si guardano. Dicono: quale cabina. Una cabina telefonica, dice l’uomo. I ragazzi non ridono più. Si guardano ancora, increduli. L’uomo capisce che cosa stanno pensando e si giustifica. Dice: il cellulare ce l’ho ma si è scaricato.  Allora i ragazzi riflettono qualche secondo. Poi dicono che non c’è una cabina, che comunque loro non sanno se da qualche parte c’è una cabina. Uno dà voce nel bar, all’uomo che sta dietro il banco. L’uomo al banco risponde che già la cabina non c’era quando serviva, figuriamoci adesso che non serve più. Ride. Dalla tasca posteriore dei pantaloni, uno dei ragazzi tira fuori un cellulare e dice all’uomo: ma scusa, chiama con questo. L’uomo dice: no, non vorrei approfittare. Ma chiama, dice il ragazzo, che tengo i minuti gratis.

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Il labirinto del sacro

Come appariva quel «Medioevo»[1].

di Mauro Di Ruvo


Museo della storia di Marsiglia, rappresentazione di Marsiglia, attribuita a un collaboratore di Anton Ronzen, olio su tela, 1517 [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]

In un atto scritto per la monacazione del nobile Guglielmo, visconte di Marsiglia, redatto agli inizi dell’XI secolo, leggiamo:

Per iniziativa della misericordia di Dio onnipotente e col consenso della sua benevola clemenza – lui che non vuole la morte del peccatore, ma che al contrario si converta e viva – io Guglielmo, visconte di Marsiglia, mentre giaccio sul mio letto, nella malattia che il Signore stesso mi ha inviata, sono attorniato dai fratelli del monastero del beato Vittore, cioè da Guffredo, posto alla testa del suddetto monastero dall’abate Garnerio [di Psalmodi] come priore, e dagli altri confratelli; e questi, secondo il costume dei servi di Dio, hanno cominciato a suggerirmi che era venuto per me il momento di abbandonare la milizia del secolo, al fine di militare per Dio. Perciò, toccato grazie a Dio dalle loro esortazioni, ho sacrificato la mia chioma e secondo la regola di san Benedetto ho ricevuto l’abito monastico.[2]

Si tratta, come è evidente, di un episodio che non era affatto rado nell’Alto Medioevo, appartenente invece ad una larga schiera di gestes che sembravano essersi ascritte a una etichetta consuetudinaria sin dalla fine dell’VIII secolo, tra la Francia merovingica e quella carolingia, e che avrà ancora per molti secoli notevole influsso nella storia dell’Occidente cristiano. Era questa divenuta man mano più una pratica di moda cui ogni famiglia aristocratica era spinta, quasi per principio, a seguire attraverso la rappresentanza di alcuni suoi membri eletti piuttosto che una vera scelta vocazionale che esigeva il passaggio ad un altro statuto esistenziale, ad un tenore di vita non più civile, ma pur sempre strettamente elitario. In tal caso vi è un esponente della nobiltà guerriera (miles) che avvertendosi in prossimità di morte compie il passaggio tipico dei guerrieri delle chansons all’eremitaggio o alla clausura all’interno delle tepide e serene mura del monastero, dopo una vita trascorsa nel clamore delle armi e della mondanità[3]. Ma sebbene tali “imprese” abbiano dall’inizio costituito un modello di santità paradigmatica non solo nell’ammirazione del ceto nobiliare ma soprattutto di quello clericale e popolare, ben presto si riduce a un puro atto di tradizione e splendida recitazione da cerimoniale di rango. I frati monaci, da «servi di Dio» hanno suggerito sul letto di morte a Guglielmo di convertirsi all’altra milizia, quella del Signore. Ma era una scelta che rientrava a bene vedere nella volontà, sia del suo rango di appartenenza che dell’ordine monastico benedettino, di trasmettere ancora una volta l’immagine di un monachesimo aristocratico, per conservarne presso i fedeli il senso dell’altezza morale e della nobiltà propria della dedizione a Dio. L’idea che anche i migliori, i sovrani e i regnanti non potessero fare a meno di Dio, anzi, che loro più di tutti dovessero essere i più vicini alla nobiltà spirituale, i più idonei al modello di santità, forniva un esempio di grande eloquenza e potente suggestione presso la massa dei fedeli. «Molti tuttavia cercano di realizzare almeno simbolicamente quest’ideale, che appare come una garanzia di salvezza» ma per necessitas «non tutti possono farsi eremiti».[4]

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Ettore Catalano, Il complesso di Chirone

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Su Metamorfosi di Antonio Prete

di Giuseppe Tinè

Metamorfosi

Non c’è pensiero o affetto

che si perda nel nulla.

Amori e turbamenti fluttuano nell’aria,

sono nube, pulviscolo di luce.

O vapore lunare.

.

Nello schiudersi del fiore,

o nel formarsi di una stella,

quel che accade ha lo stesso respiro

del tuo desiderio.

Niente muore davvero.

.

Per questo qualche volta una nuvola

ha forma d’animale, o sopra le ali

di una farfalla c’è il disegno di una rosa:

figure di un legame, parvenze fuggitive

di una trama condivisa.

.

O forse questo è solo il sogno

di una metamorfosi.

Un sogno che la parola oppone

al silenzio che la abita,

la materia al vuoto che l’assedia.

 

***

Ad aprire il Convito delle stagioni, è subito una domanda: la domanda sul nulla, sul durare o lo svanire nel nulla di pensieri ed affetti. Prete ipotizza qui, assai più che non affermi, che nessun pensiero, nessun affetto, può perdersi nel nulla. Gli amori e i turbamenti – quanto cioè di (leopardianamente) più caldo e vivo, di più intenso e patito – abbiamo vissuto, continua (o potrebbe), egli dice, a fluttuare nell’aria, come (cioè nella forma) – ed è qui la prima, tutta materiale, “metamorfosi” – nube, pulviscolo di luce; o, anche, vapore lunare. Nube, pulviscolo di luce, vapore lunare: immagini del fluttuare, appunto. 

Infinito è infatti per Prete, ancora una volta leopardianamente, solo il desiderio della vita, il suo respiro: il suo materiale respiro che si tramuterebbe e continuerebbe qui negli elementi – anch’essi naturali e materiali – della nube, del pulviscolo di luce, del vapore lunare: dove il termine “pulviscolo” e “vapore” intendono suggerire, appunto, insieme con quella del loro fluttuare, anche l’idea della loro “fisicità”. Perciò niente muore (o morirebbe) davvero.   

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Guerra totale

di Paolo Vincenti

Di fronte alla drammatica escalation nel Vicino Oriente, tutto l’Occidente si interroga su quali ripercussioni potrebbe avere un conflitto su larga scala, ma soprattutto ci si chiede a quale livello di barbarie giungeranno i sanguinari mastini della guerra che governano le nazioni coinvolte. I bombardamenti dell’Iran su Israele non lasciano margini di speranza. La pioggia di fuoco che si è abbattuta alcune notti fa su Tel Aviv, di una potenza anche superiore agli attacchi missilistici di aprile, che avevano avuto più che altro uno scopo dimostrativo, fanno capire che l’Iran ormai fa sul serio. Fino ad ora, abbiamo assistito al fallimento di ogni mediazione diplomatica e ogni appello al cessate il fuoco, anche ai più alti livelli, è stato vano. L’Iran vuole spazzar via Israele, è la sua missione dichiarata da sempre. Israele vuole abbattere “l’asse del male” e, per far questo, attaccare e distruggere il paese degli ayatollah, che questo asse sorregge. La guida suprema dell’Iran, Khamenei, ha intimato ad Israele di non reagire, altrimenti sarà la fine. Difficile, quasi impossibile, che le parole del leader sciita vengano ascoltate dal premier israeliano Netanyahu che ha già annunciato una terribile risposta. Caldeggiato dagli Stati Uniti, Netanyahu fa bellicose dichiarazioni di pesanti conseguenze per la repubblica islamica.

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Pietro Pascali – Daniele Capone, Le contrade di Bacco. Nardò e le terre dell’Arneo

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Cerimonia di intitolazione dell’Istituto Comprensivo di Ruffano a Aldo de Bernart – Ruffano, 14 ottobre 2024

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Parole, parole, parole 31. La Settimana della lingua italiana nel mondo

di Rosario Coluccia

S’intitola «Settimana della lingua italiana nel mondo» la manifestazione internazionale, nata nel 2001 con lo scopo di promuovere la lingua italiana in tutto il mondo. L’iniziativa, sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, fu “inventata” nel 2001 da Francesco Sabatini, allora presidente e oggi presidente onorario dell’Accademia della Crusca; si sviluppa grazie alla collaborazione tra l’Accademia della Crusca e la Direzione generale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, e ha luogo ogni anno nella terza  settimana di ottobre. Oltre a Crusca e Ministero degli Esteri, sono coinvolti enti e soggetti vari: Consolati italiani e Istituti italiani di cultura all’estero, associazioni di italiani all’estero, cattedre di italianistica e di romanistica delle università straniere, Comunità Radiotelevisiva Italofona, RAI Italia e Società Dante Alighieri, ecc. Ogni edizione è consacrata a un tema specifico, trattato in un libro curato dall’Accademia della Crusca con il coinvolgimento di specialisti operanti in Italia e all’estero.

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Taccuino di traduzioni 3. Paul Celan e les dames de Venise: un’interpretazione

di Antonio Devicienti


Alberto Giacometti, Le donne di Venezia, 1956, bronzo (foto del1964).

Les dames de Venise

Keine von euch

sah die los-

schwirrende Keule

euch gegenüber?

Dieser scheinbar

Schreitende

wars.

Le donne di Venezia

Nessuna di voi

vide la clava che vol-

teggiando s’avventava?

È stato

questi che sembra

camminare lento.

(L’edizione di riferimento è Paul Celan, Die Gedichte. Kommentierte  Gesamtausgabe, Suhrkamp Verlag, Frankfurt a. M. 2005).

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Presentazione de L’ombra di Tancredi nei luoghi della cintura di Lecce – Trepuzzi, 12 ottobre 2024

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Telecamere

di Paolo Vincenti

Tra esigenze di sicurezza e diritto alla privacy, ci dibattiamo ogni giorno nel dubbio assillante se sia giusto che la nostra vita, spiata da migliaia di occhi elettronici soprattutto nelle grandi città, venga monitorata 24 ore su 24 in ogni nostro spostamento. La presenza pervasiva di dispositivi di sicurezza ci rende praticamente ostaggi della modernità, come in una grande Seahaven, l’isola artificiale del Truman show. La paura della criminalità, che è connaturata nella società contemporanea, porta il pubblico e il privato a munirsi di sempre più sofisticati sistemi di controllo e videosorveglianza e determina, come effetto opposto, la conseguenza che nessuno si senta più al sicuro e cerchi di difendersi come meglio può da ladri, assassini ed aggressori, con una corsa ad armarsi che fra poco in Italia ci farà competere con il record di porto d’armi a scopo personale detenuto dagli Stati Uniti. Sicché, dal risveglio fino alla buonanotte, ciascuno di noi vive in una bolla artificiale in cui una miriade di telecamere segue ogni nostro passo, ogni respiro, qualsiasi mossa. Monitorati dagli occhi elettronici, per strada, in banca, nei parcheggi dei supermercati, all’ufficio postale, nei negozi, può venire da pensare alla suggestiva e complottistica tesi del “potere invisibile”. Ma è una suggestione. La totale perdita della privacy invece è una triste realtà, un male necessario per alcuni, una aberrazione per altri.

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Come e perché Giorgia Meloni sta “facendo la Storia” dell’incompetenza in Economia

di Guglielmo Forges Davanzati

Prendiamo sul serio la recente dichiarazione di Giorgia Meloni secondo la quale il Governo da lei presieduto “sta facendo la Storia” e proviamo a verificare se, sul piano della politica economica (ovvero, una parte importante, se non la più importante dell’azione complessiva di un esecutivo), sono stati introdotti elementi di significativa discontinuità e, se sì, con quali risultati. Questa valutazione è importante anche perché può costituire la base per un bilancio del biennio trascorso da Meloni a Palazzo Chigi.

La legge di bilancio in discussione in questi giorni reitera un mix di misure già sperimentate sia dal centro-sinistra, sia dal centro-destra, a partire dai primi anni Novanta. Fu, quella, una fase nella quale si decise di accelerare la transizione dal modello di economia mista prevalente negli anni Sessanta-Settanta (con rilevante intervento dello Stato, sia per la fornitura di servizi di welfare, sia come produttore di beni attraverso le imprese pubbliche) al modello di economia di mercato deregolamentata.

Tutti i principali provvedimenti annunciati o già realizzati da questo Governo (dalle agevolazioni fiscali alle imprese, alla reintroduzione dei voucher, al taglio dei finanziamenti alle Università, alle privatizzazioni, alla spending review) sono già stati sperimentati e costantemente ripetuti proprio a partire dalla svolta dei primi anni Novanta. È interessante poi osservare che i due principali “cavalli di battaglia” di Giorgia Meloni – il rinnovo annuale una tantum del taglio del cuneo fiscale e la Legge sull’autonomia differenziata – non solo non rappresentano nulla di nuovo nella nostra Storia recente, ma sono sempre stati i punti di forza di Governi di centro-sinistra.

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Manni: quarant’anni in Terra d’Otranto

di Antonio Prete

Lecce, 1984. Una rivista letteraria è l’inizio: “l’immaginazione”. Un bimestrale stampato con frugale domesticità, ma che già accoglie sin da subito presenze attive sulla scena culturale del Paese. Il Salento, o Terra d’Otranto, come un tempo si chiamava, è una penisola che a partire dalle prime cinquecentesche tipografie ha sempre avuto piccole, diffuse, esperienze di editoria, corrispondenti a quel certo fervore culturale che Croce nella Storia del Regno di Napoli riconosce, motivandolo con la distanza, e sostanziale autonomia, della città e provincia di Lecce nei confronti di Napoli capitale. Alla rivista, che da subito è sostenuta da una rete di collaborazioni, per il tramite di intellettuali come Maria Corti o Romano Luperini, segue dopo alcuni mesi il primo libro: Segni di pace. Lingua di pace. Un’antologia di poeti che intervengono ciascuno con il proprio linguaggio e il proprio timbro di scrittura sulla grande – urgentissima anche oggi – questione della pace. Ci sono, nell’Antologia, Caproni, Luzi, Zanzotto, Sanguineti, Volponi, Leonetti, Malerba, Pagliarani. Ci sono anche Amelia Rosselli, Antonio Porta, Biancamaria Frabotta, e altri. L’antologia è introdotta da Romano Luperini. Un’antologia di poeti sulla pace è una sorta di fondazione che ha già in sé l’asse che caratterizzerà negli anni a venire l’attività editoriale: l’esperienza letteraria, con le sue plurali ramificazioni di stili e di forme, non separata dallo sguardo sulla realtà che diciamo politica, la ricerca letteraria animata sempre da una tensione civile. 

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L’autonomia differenziata aumenta le disuguaglianze e disgrega il Paese – Avetrana (Ta), 12 ottobre 2024

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L’ostacolo del “fabulare”. La finzione autobiografica dantesca nell’opera volgare dell’Alighieri. Capitolo II. Le due “macule”

di Gianluca Virgilio

In Convivio I, i, 14-15 l’Alighieri espone il piano dell’opera:

                 “La vivanda di questo convivio saràe di quattordici maniere ordinata, cioè quattordici canzoni sì d’amor come di vertù materiate, le quali sanza lo presente pane aveano d’alcuna oscuritade ombra, sì che a molti loro bellezza più che loro bontade era in grado. Ma questo pane, cioè la presente disposizione, sarà la luce la quale ogni colore di loro sentenza farà parvente.” (Conv. I, i, 14-15)

La potenzialità digressiva della scrittura, fondata sulla teoria dei quattro sensi d’interpretazione della poesia, autorizza senza dubbio un piano così vasto dell’opera. L’esegeta darà “luce” alle proprie canzoni, perché tutti possano comprenderle nel loro autentico e profondo significato, perché il lettore non si soffermi solo sulla loro “bellezza”, ma possa apprezzare anche anche la loro “bontade”[1]. Per una piena comprensione delle canzoni allegoriche, l’autore ha chiarito che d’ora innanzi il rapporto col lettore dovrà essere mediato dal suo commento; se qualche vizio era nell’opera poetica del passato (e tuttavia, come si è visto, “altra” era l'”intenzione” dell’Alighieri) ora al Convivio spetta il compito essenziale di eliminarlo. Mostrando come devono essere interpretate le canzoni poste in apertura di ogni trattato (ad eccezione del I che funge da introduzione), l’autore in realtà vuole insegnare al lettore in che modo dovrà rileggere e intendere anche le rime giovanili, in particolar modo quelle antologizzate nella Vita Nuova. Pertanto assistiamo ad un implicito tentativo di assimilare quest’opera al Convivio; infatti, per qualche ragione, che ora ci accingiamo ad indagare, secondo il giudizio del narratore del Convivio, la Vita Nuova non è stata compresa nel suo vero e profondo significato. Il Convivio, come si è visto, deve soccorrerla, le deve “giovare”[2].

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Trasmissioni radio 18. Immaginando Julio Cortázar a Parigi

di Antonio Devicienti

Quante città sanno essere anche una biblioteca, anche una macchina delle storie, anche un collidere e mescidarsi d’innumeri universi? Non molte, a ben pensarci. E Parigi sembra possedere in grado supremo tale capacità.

Passeggiava, da solo, imboccando da Rue Martel dove abitava la Rue du Faubourg Poissonnière. Lavavano la strada secondo l’uso parigino, facevano scorrere l’acqua lungo le canalette incavate sotto il ciglio dei marciapiedi. Nelle tasche dell’impermeabile aveva sempre quadernetti e penne, ma gli bastavano la memoria e la fantasia. E lo sguardo.

S’ebbe un sobbalzo del respiro quando vide un ritratto del Che sagomato con lo spray su di un muro. Ogni notte gli ritornava in sogno il Comandante, la folla raccolta a salutarlo prima della partenza per la Bolivia e l’Oceano che restituiva il suo odore dal Lungomare dell’Avana. Sempre si risvegliava dopo il sogno nella penombra del suo appartamento, il ronzio del frigorifero dalla cucina, qualche motocicletta in strada, la luce dei lampioni attraverso le tende tirate. Talvolta si alzava, accendeva il giradischi mantenendo il volume bassissimo: Miles, la tromba di Miles, il sassofono di Coltrane. Teneva la luce spenta, scostava i tendaggi. Decideva che sarebbe andato a Saint Sulpice, la mattina dopo. Intanto, insieme con il jazz, ascoltava il respiro di Carol, tendeva l’orecchio a quel respiro, ai sogni che fanno sostare in un altro luogo mentre, contemporaneamente, si sta qui, adesso. Essere due persone in un solo corpo, due storie in una sola mente, due tempi dentro il medesimo presente.

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